Dal tempo della Chiesa al tempo del mercante
J. LE GOFF, Tempo della Chiesa e tempo del mercante,
Einaudi 1977, pp. 3-31.
Nel canto XV del Paradiso Cacciaguida parla
della campana della Badia, che suonava “terza e nona”, come simbolo di un mondo
che ormai non c’è più. Con l’affermarsi della società borghese, c’è bisogno di
un modo nuovo di misurare il tempo, più preciso e quindi più adatto alle
condizioni di lavoro urbano: si apre quel processo che porta all’invenzione
dell’orologio meccanico, attestato dal 1354 (1) (ma Dante sembra
alludervi in Paradiso X, 139-143 e XXIV, 13-15).
Precedentemente, la giornata di lavoro era intesa dal
sorgere del sole al tramonto, ed era scandita dal suono delle campane,
che segnavano le horae canonicae (c’è una sorta di identificazione
fra tempo della Chiesa e tempo del contadino) (2). Ma con l’affermarsi di
un’economia mercantile e con l’istituzione delle prime industrie tessili c’è
bisogno di misurare con precisione il lavoro operaio: ed ecco l’installazione
di torri campanarie con la funzione esclusiva di segnare le ore di inizio e di
fine del lavoro.
Ma, sul modo di concepire il tempo, è in gioco
anche una questione etica: secondo la Chiesa, il tempo appartiene a Dio, e
quindi non può essere venduto, non può essere fonte di guadagno: la condanna
dell’usura si basa proprio su questo assunto: l’usuraio trae guadagno dal
tempo; ma, a ben vedere, anche il mercante fa questo, in quanto compra e vende
le merci, sfruttando il tempo a proprio vantaggio (3). La Chiesa non può che
adattarsi, e il mercante, dal canto suo, si cautela con “opere di bene” (ricche
offerte e lasciti testamentari alla Chiesa).
Marginalmente, è interessante notare che la
scoperta del tempo (del valore che una merce acquisisce nel tempo) è
associata alla scoperta dello spazio (il tempo fondamentale è quello dello
spostamento di una merce da un luogo all’altro). Un fenomeno simile lo possiamo
riscontrare nell’evoluzione delle arti visive (4). La scoperta della prospettiva, che si realizzerà pienamente nel
Rinascimento, è associata alla scoperta del tempo precisamente
determinato (il trionfo del ritratto ne è il segno).
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1) E non a caso collocato sulla facciata del palazzo
comunale, che si erge in piazza, simbolicamente di fronte alla cattedrale, con
le sue campane.
2) Vedi la fantasiosa etimologia di Giovanni di
Garlandia: “Campane dicuntur a rusticis qui habitant in campo, qui
nesciant iudicare horas nisi per campanas.”
3) Il tempo del trasporto, quello del lavoro operaio,
quello della variazione del valore, ecc.
4) “Insieme con la prospettiva, la nuova pittura
scopre il tempo del quadro. I secoli precedenti hanno rappresentato i diversi
elementi sullo stesso piano, conformemente alla visione libera dalle servitù
del tempo e dello spazio, che esclude la profondità come la successione. Le
differenze di statura non esprimevano che la gerarchia delle condizioni
sociali e delle dignità religiose. Senza rispetto per le fratture temporali,
venivano giustapposti episodi successivi...” (p. 15). A dimostrazione di
ciò, si possono indicare rispettivamente Nicola Pisano (rilievi del
pulpito del Battistero di Pisa, rappresentanti la natività: 1260) e Donatello
(formella rappresentante il convito di Erode: 1423-27).
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