sabato 27 giugno 2015

Tempo della Chiesa e tempo del mercante


Dal tempo della Chiesa al tempo del mercante

 

J. LE GOFF, Tempo della Chiesa e tempo del mercante,
Einaudi 1977, pp. 3-31.

 

Nel canto XV del Paradiso Cacciaguida parla della campana della Badia, che suonava “terza e nona”, come simbolo di un mondo che ormai non c’è più. Con l’affermarsi della società borghese, c’è bisogno di un modo nuovo di misurare il tempo, più preciso e quindi più adatto alle condizioni di lavoro urbano: si apre quel processo che porta all’invenzione dell’orologio meccanico, attestato dal 1354 (1) (ma Dante sembra alludervi in Paradiso  X, 139-143 e XXIV, 13-15).

Precedentemente, la giornata di lavoro era intesa dal sorgere del sole al tramonto, ed era scandita dal suono delle campane, che segnavano le horae canonicae  (c’è una sorta di identificazione fra tempo della Chiesa e tempo del contadino) (2). Ma con l’affermarsi di un’economia mercantile e con l’istituzione delle prime industrie tessili c’è bisogno di misurare con precisione il lavoro operaio: ed ecco l’installazione di torri campanarie con la funzione esclusiva di segnare le ore di inizio e di fine del lavoro.

Ma, sul modo di concepire il tempo, è in gioco anche una questione etica: secondo la Chiesa, il tempo appartiene a Dio, e quindi non può essere venduto, non può essere fonte di guadagno: la condanna dell’usura si basa proprio su questo assunto: l’usuraio trae guadagno dal tempo; ma, a ben vedere, anche il mercante fa questo, in quanto compra e vende le merci, sfruttando il tempo a proprio vantaggio (3). La Chiesa non può che adattarsi, e il mercante, dal canto suo, si cautela con “opere di bene” (ricche offerte e lasciti testamentari alla Chiesa).

Marginalmente, è interessante notare che la scoperta del tempo (del valore che una merce acquisisce nel tempo) è associata alla scoperta dello spazio (il tempo fondamentale è quello dello spostamento di una merce da un luogo all’altro). Un fenomeno simile lo possiamo riscontrare nell’evoluzione delle arti visive (4). La scoperta della prospettiva, che si realizzerà pienamente nel Rinascimento,  è associata alla scoperta del tempo precisamente determinato (il trionfo del ritratto ne è il segno).
 
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1) E non a caso collocato sulla facciata del palazzo comunale, che si erge in piazza, simbolicamente di fronte alla cattedrale, con le sue campane.
2) Vedi la fantasiosa etimologia di Giovanni di Garlandia: “Campane dicuntur a rusticis qui habitant in campo, qui nesciant iudicare horas nisi per campanas.”
3) Il tempo del trasporto, quello del lavoro operaio, quello della variazione del valore, ecc.
4) “Insieme con la prospettiva, la nuova pittura scopre il tempo del quadro. I secoli precedenti hanno rappresentato i diversi elementi sullo stesso piano, conformemente alla visione libera dalle servitù del tempo e dello spazio, che esclude la profondità come la successione. Le differenze di statura non  esprimevano che la gerarchia delle condizioni sociali e delle dignità religiose. Senza rispetto per le fratture temporali, venivano giustapposti episodi successivi...” (p. 15). A dimostrazione di ciò, si possono indicare rispettivamente Nicola Pisano (rilievi del pulpito del Battistero di Pisa, rappresentanti la natività: 1260) e Donatello (formella rappresentante il convito di Erode: 1423-27).
 

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