Il "disimpegno" del Rinascimento
G. PROCACCI,
Storia degli italiani,
Euroclub
1981, pp. 119-21; 128-33; 149-50.
Col Rinascimento si accentuano quegli elementi di disimpegno
degli intellettuali, già riscontrabili nell’età dell’Umanesimo (gli
umanisti - Coluccio Salutati, Leonardo Bruni -
avevano teorizzato la preminenza della vita attiva e valorizzato l’impegno
civile; ma, a differenza di quel che succede altrove - si pensi ai grandi
riformatori religiosi (1) - gli intellettuali italiani (2) diffidano sempre del
coinvolgimento popolare, intendono la politica come un’attività riservata alla
elite dei dotti).
Tale atteggiamento, fondamentalmente aristocratico, ha
il suo centro nella Accademia neo-platonica, fondata da Marsilio Ficino
(1433-1499) e sostenuta prima da Cosimo e poi da Lorenzo de’ Medici.
E proprio il neo-platonismo, con i suoi caratteri iniziatici, (oltre ad interpretare
Platone in senso cristiano, leggendolo attraverso il filtro di Plotino
(3), Ficino si interessa anche della tradizione magico-ermetica, traduce Proclo,
Giamblico, i Libri ermetici ), con il suo mondo di modelli puri,
è all’origine del disimpegno del Rinascimento, cosiccome del classicismo
aristocratico (con la sua esaltazione, appunto, di modelli puri: di vita
cortigiana, nel Cortegiano, di lingua poetica, col petrarchismo,
ecc.) (4).
Il culmine di una simile concezione si avrà quando la
fusione tra Cristo e Platone, tra Umanesimo e pietà, sarà attuata nella Roma di
Leone X, Medici (1513-21).
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