lunedì 22 giugno 2015

Il "disimpegno" del Rinascimento


Il "disimpegno" del Rinascimento

G. PROCACCI, Storia degli italiani,
Euroclub 1981, pp. 119-21; 128-33; 149-50.

Col Rinascimento si accentuano quegli elementi di disimpegno degli intellettuali, già riscontrabili nell’età dell’Umanesimo (gli umanisti - Coluccio Salutati, Leonardo Bruni - avevano teorizzato la preminenza della vita attiva e valorizzato l’impegno civile; ma, a differenza di quel che succede altrove - si pensi ai grandi riformatori religiosi (1) - gli intellettuali italiani (2) diffidano sempre del coinvolgimento popolare, intendono la politica come un’attività riservata alla elite dei dotti).

Tale atteggiamento, fondamentalmente aristocratico, ha il suo centro nella Accademia neo-platonica, fondata da Marsilio Ficino (1433-1499) e sostenuta prima da Cosimo e poi da Lorenzo de’ Medici. E proprio il neo-platonismo, con i suoi caratteri iniziatici, (oltre ad interpretare Platone in senso cristiano, leggendolo attraverso il filtro di Plotino (3), Ficino si interessa anche della tradizione magico-ermetica, traduce Proclo, Giamblico, i Libri ermetici ), con il suo mondo di modelli puri, è all’origine del disimpegno del Rinascimento, cosiccome del classicismo aristocratico (con la sua esaltazione, appunto, di modelli puri: di vita cortigiana, nel Cortegiano, di lingua poetica, col petrarchismo, ecc.) (4).

Il culmine di una simile concezione si avrà quando la fusione tra Cristo e Platone, tra Umanesimo e pietà, sarà attuata nella Roma di Leone X, Medici (1513-21).

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