giovedì 11 giugno 2015

Verga: Rosso Malpelo


Rosso malpelo
 
Merito di Luperini è avere notato che questa novella è stata pubblicata nell’agosto del 1878 (a puntate, sul quotidiano romano "Fanfulla"); quindi precede le altre di Vita dei campi (tranne Fantasticheria, della cui stesura si ha notizia nel febbraio del 1878). E merito di Baldi è avere indicato nell’ "artificio della regressione" (ovvero, nella focalizzazione rigorosamente impersonale; ovvero, nell’eclisse dell’autore) (1) l’originalità narrativa della novella.
La regressione consiste nell’adozione di un punto di vista che non coincide con quello dell’autore, ma è interno al mondo rappresentato (è il punto di vista di un anonimo narratore, dello stesso livello sociale e mentale dei personaggi che agiscono nella vicenda) (2). L’effetto, di straordinaria efficacia, è dato dall’attrito fra tale punto di vista (che è quello fatalistico e rassegnato degli sfruttati stessi, che accettano come naturale lo sfruttamento) e l’oggettività stessa dei fatti (che è la negazione in atto di quei valori che dovrebbero governare una società umana: affetti domestici, pietas filiale, amicizia, solidarietà). E questo ci introduce all’altra radicale novità, rilevata da Asor Rosa: la scomparsa del populismo.
Il mondo rappresentato (quello infimo dei cavatori di rena) non è un mondo di buoni sentimenti: è un mondo sub-umano, governato dalla lotta per la sopravvivenza, e quindi dalla legge del più forte; la condizione sociale è accettata come una dato naturale (la violenza e la sopraffazione sono leggi di natura); non solo la ribellione è inconcepibile, ma manca anche ogni elementare solidarietà fra gli sfruttati (si veda come i compagni di lavoro - e valga per tutti zio Mommu, lo sciancato - non solo maltrattino Malpelo, ma anche deridano mastro Misciu, "Bestia").
A questa scuola cresce Malpelo: la violenza la subisce sia alla cava che in famiglia, dalla madre (che "non aveva mai avuta una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai") e dalla sorella ( che, nel dubbio che Malpelo sottraesse qualche soldo dalla paga "gli faceva la ricevuta a scapaccioni"); ben tre morti scandiscono la sua "educazione sentimentale" (al centro, fra quella del padre e quella di Ranocchio, la morte più significativa: quella del Grigio); sicché, non può che divenire "saggio" (3) e rovesciare sui più deboli (Ranocchio e il Grigio), a fine "pedagogico", la violenza che riceve dai più forti.
Ma Malpelo avverte, ancorchè confusamente, che c’è la possibilità di un mondo diverso, al di fuori di quello in cui vive lui; desidera, anche se non lo comprende appieno, un mondo fondato sull’amore (e non sulla violenza): quel mondo evocato dal calore dei calzoni di fustagno ("gli pareva che fossero dolci e lisci come le mani del babbo, che solevano accarezzargli i capelli "), dal pensiero che si potrebbe lavorare diversamente (come il manovale "cantando sui ponti, in alto, in mezzo all’azzurro del cielo, col sole sulla schiena "; o come "il contadino, che passa la vita fra i campi, in mezzo al verde, sotto i folti carrubbi, e il mare turchino là in fondo, e il canto degli uccelli sulla testa"), dal paradiso di cui gli parla Ranocchio ("dove vanno a stare i morti che sono stati buoni, e non hanno dato dispiaceri ai loro genitori"), dal pianto della madre di Ranocchio per il figlio morente (e qui Malpelo ha bisogno di un alibi, per continuare ad accettare il proprio mondo: la madre di Ranocchio piangeva perché "il suo figliolo era sempre stato debole e malaticcio, e l’aveva tenuto come quei marmocchi che non si slattano mai. Egli invece era stato sano e robusto, ed era malpelo, e sua madre non aveva mai pianto per lui, perchè non aveva mai avuto timore di perderlo.").
In conclusione: la "disperata rassegnazione" di Malpelo sembra essere la stessa del conservatore Verga; l’autore presta al personaggio la sua stessa sfiducia sulla possibilità di cambiare la condizione umana (determinata, darwinianamente, dalla legge della sopravvivenza del più forte), il suo scetticismo nei confronti di ogni possibilità di progresso; si è "vinti" proprio nel tentativo di progredire: il "bell’affare di mastro Bestia" ricorda il "bell’affare" dei Malavoglia (il trasporto dei lupini) e il "bell’affare" di mastro don Gesualdo (il matrimonio con Bianca).
Ma proprio per questo, quest’opera rappresenta, senza infingimenti (senza pietismi e senza speranze consolatorie), la verità della condizione popolare; e quest’opera, come nessun’altra, riesce a comunicare con forza la inaccettabilità di quella condizione; il lettore non può non pensare alla responsabilità degli uomini, non della natura, quando s'intravvede la figura dell’ingegnere (era a teatro, e "non avrebbe cambiato la sua poltrona con un trono, quando vennero a cercarlo per il babbo di Malpelo, che aveva fatto la morte del sorcio"); e non può non sentire, insieme a Malpelo, il bisogno di un mondo diverso, che sia la negazione di quel mondo in atto.
 
NOTE
2) La prima pagina è esemplare: dietro l’apparenza della narrazione oggettiva, appaiono via via i punti di vista del paese ("aveva i capelli rossi perchè era malizioso e cattivo "), della sorella ("c’era anche da temere che ne sottraesse una paio, di quei soldi "), del padrone ("e in coscienza erano anche troppi per Malpelo "), dei minatori ("andava a rincantucciarsi col suo corbello tra le gambe... come fanno le bestie sue pari ", "solo un minchione come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare a questo modo dal padrone "), di mastro Misciu ("tutto è pericolo nelle cave, e se si sta a badare a tutte le sciocchezze che si dicono, è meglio andare a fare l’avvocato ").
3) Malgrado sia analfabeta, è il più "intellettuale" dei personaggi verghiani (se Jeli, secondo la definizione di Asor Rosa, è "il primo uomo del mondo", Malpelo è "l’ultimo"): è lui che svela la verità di quel mondo (l’asino "va picchiato, perchè non può picchiare lui; e s’ei potesse picchiare, ci pesterebbe sotto i piedi e ci strapperebbe la carne a morsi "; commenta Spinazzola: "nessun testo letterario dell’Ottocento italiano ha sostenuto con tanta fermezza che operare il male significa soltanto conformarsi al dettame della natura "); ed è sempre lui che espone la sapienza silenica (se l’asino "non fosse mai nato, sarebbe stato meglio ").

 

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