martedì 11 aprile 2017

(V) La poesia di Montale: Mosca e la svolta di Satura


La svolta di Satura
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Drusilla Tanzi (Mosca)

1.      Satura è pubblicata nel 1971, e raccoglie poesie scritte dopo il 1964 (quindi dopo un lungo silenzio, coincidente con il periodo del boom economico e con l’affermarsi della moderna società di massa). Sono ancora quattro sezioni: Xenia I e Xenia II (il termine indicava in latino i doni che si fanno ad un ospite nel momento in cui abbandona la casa che lo ha accolto; le poesie sono infatti “donate”, come un’offerta votiva, alla moglie morta. Drusilla Tanzi, indicata col senhal di Mosca); Satura I e Satura II, in cui prevalgono temi polemici e parodici (il titolo, che è anche quello della raccolta, indica sia l’intento satirico dei componimenti, sia, nel suo significato etimologico di satura lanx, la varietà degli argomenti e dei motivi ispiratori).

2.      La novità (una vera e propria svolta) consiste nell’abbassamento del tono, sia nelle scelte tematiche che lessicali; è una poesia che tende alla prosa, che sembra rinunciare ad ogni ricercatezza retorica e che, tematicamente, prende spunto da episodi della quotidianità, privati, o comunque di cronaca più che di storia. Si veda in Piove la chiara parodia de La pioggia nel pineto di dannunziana memoria o ne La poesia l’effetto dissacratorio ottenuto usando facili rime baciate (questione-ispirazione, produce-conduce, surgelante-importante); ma si veda anche la polemica Lettera a Malvolio, in cui Montale rivendica la propria coerenza intellettuale ed accusa l’interlocutore-antagonista (Pasolini) di opportunismo.

3.       Caratteristica è anche l’autocitazione parodica, con cui l’autore riprende, ironicamente, motivi e oggetti di sue poesie precedenti (c’è quasi una negazione del valore simbolico e cognitivo che quegli elementi possedevano originariamente; e comunque, certamente, un sorridere sulla presunzione della propria poesia, ma anche, ambiguamente, un voler riproporre, su un registro più basso, la dignità e la coerenza del proprio percorso intellettuale: si veda in Botta e risposta I la molteplicità di riferimenti a cose e persone degli Ossi e delle Occasioni).



Mosca



4.      Quanto a Mosca, si tratta di una figura femminile ben diversa sia da Clizia (di cui non possiede la valenza divina e salvifica) che da Volpe (di cui non possiede la vitalità quasi animalesca): la sua capacità è quella di vedere (pur essendo le sue pupille “tanto offuscate”) dietro il velo della realtà che appare, di riconoscere e demistificare gli inganni delle ideologie, e dunque di guidare, col suo solido buon senso, il poeta stesso nel groviglio del mondo. Dunque si potrebbe dire che la figura di Clizia sta a quella di Mosca come la poesia delle raccolte precedenti (con il suo tono alto, i suoi rimandi metafisici, le sue allegorie) sta alla poesia di Satura (con il suo tono basso, che non vagheggia grandi valori, ma che tuttavia non rinuncia ad esistere e a pronunciare qualche parola di verità). Leggiamo Ho sceso dandoti il braccio:

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

Le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.



Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.



5.      Ma sono anche le poesie in cui ricorre il pensiero dei morti, in cui torna l’idea di una contiguità fra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. E’ un’idea molto pascoliana e già presente ne Le occasioni (ricordate La casa dei doganieri e quel verso finale: “Ed io non so chi va e chi resta”), ma anche ne La bufera (L’arca, A mia madre, Voce giunta con le folaghe, Proda di Versilia). Ed ecco in Satura, una poesia di quattro versi, dedicata Mosca:



Avevamo studiato per l'aldilà

un fischio, un segno di riconoscimento.

Mi provo a modularlo nella speranza

che tutti siamo già morti senza saperlo.


(IV) La poesia di Montale: da Clizia a Volpe alle "Conclusioni provvisorie"


Volpe e L’anguilla
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Maria Luisa Spaziani (Volpe)

1.      Ma è una speranza che va delusa. L’incarnazione nella storia dei valori, cristiani e umanistici, non si realizza. Ecco allora la scoperta di un altro valore, quello della vitalità e della forza degli istinti. Se Clizia è la donna-angelo, portatrice di valori intellettuali e morali, un’altra figura femminile, la Volpe (al secolo la poetessa Maria Luisa Spaziani) rappresenta il mondo concreto, tutto terreno e materiale, dell’eros e della passione. Volpe – presente nella terza raccolta, La bufera e altro è l’anti-Beatrice che può garantire solo una salvezza “privata” per il poeta, non per “tutti”, come invece era annunciato da Clizia.
2.      A Volpe sono associate allegorie di animali (l’anguilla, il gallo cedrone) che indicano la strada della salvezza non nella cultura o nei valori cristiani, ma nel fango (e nella vitalità) dell’eros e degli istinti. L’anguilla, che risale dall’acqua e dalla melma alle vette degli Appennini per andare a riprodursi, diventa in particolare l’emblema di questa celebrazione della pura forza biologica. E’ “sorella” di Clizia, ma testimone di una speranza che si annida in basso, nel terreno, non in alto, nel cielo.

L’anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli[1] di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri[2] o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde[3] che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito[4];
l’iride breve[5], gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?

3.      Qui al topos montaliano del paesaggio arso e desolato (ribadito più volte: pozze d’acquamorta, i disseccati ruscelli pirenaici, morde l’arsura e la desolazione, incarbonirsi, bronco seppellito) si contrappone la inesauribile vitalità dell’anguilla, indicata da immagini di luce e di energia (guizzo, torcia, frusta, freccia d’Amore, anima verde, scintilla, iride breve).
4.      Il “gemellaggio” fra l’iride-anguilla e l’iride di Clizia (è lei, secondo tutti gli interpreti, la donna cui il poeta si rivolge con la domanda retorica nei versi finali), ed anche la comunanza del fango in cui sono immersi sia l’anguilla che Clizia, sembrano indicare la via di salvezza nella tenacia con cui la forza vitale, la potenza dell’eros, resistono alla negatività della storia.

La struttura “anguillare” del testo

5.      Una riflessione va fatta anche sulla struttura originale del testo. Qualcuno ha parlato di “struttura anguillare”. Infatti l’alternanza fra versi lunghi (di 14 sillabe) e versi brevi (di 7 sillabe) sembra richiamare sia il profilo dell’anguilla sia il suo modo di procedere a zig zag. Ma anche la struttura sintattica può ricordare il corpo allungato dell’anguilla. La poesia è infatti costituita da un unico lungo periodo interrogativo (una interrogativa retorica), che comincia con il complemento oggetto (l’anguilla) e finisce con il soggetto e il verbo (puoi tu non crederla). In mezzo, una serie di apposizioni che definiscono il significato letterale ed allegorico dell’anguilla.  L’ultima parola (sorella, tecnicamente il predicativo dell’oggetto), richiama fonicamente (è quasi in rima) l’oggetto cui si riferisce (l’anguilla del primo verso). Ma l’anguilla è richiamata anche dal ricorrere di parole in cui è presente la doppia liquida (la elle): capello, gorielli, ancora anguilla, ruscelli, scintilla, seppellito, gemella, quella, brillare, sorella.

Le Conclusioni provvisorie: Il sogno del prigioniero

6.      Ma una salvezza solo privata, non “per tutti” (tale è definita in Anniversario: “il dono che sognavo / non per me ma per tutti / appartiene a me solo”) equivale a una sconfitta, ed ecco l’ultima sezione de La bufera (Conclusioni provvisorie), composta di due sole poesie, in cui nella prima (Piccolo testamento) si preannuncia la catastrofe del mondo occidentale, cui resiste soltanto la fiammella di una poesia che ha continuato, flebile ma tenace, a denunciare la negatività dell’esistenza; e nella seconda (Il sogno del prigioniero) si denuncia la condizione di prigionia in cui si vive (è una condizione esistenziale, a prescindere da riferimenti a lager nazisti o gulag staliniani, che pure sono evidentemente il motivo ispiratore) ed in cui si può solo sognare una vita diversa (cito il verso finale, bellissimo: “il mio sogno di te non è finito”: non è finita la speranza in un mondo diverso, ma quel tu rimanda ancora una volta ad una figura femminile; che sia Clizia o Volpe non importa, perché ogni significato allegorico porta in sé anche un significato letterale, e allora questa è anche la dichiarazione di un amore che non si estingue, di un amore che solo può liberare dalla prigionia, può salvare dalla negatività dell’esistenza: L’attesa è lunga, / il mio sogno di te non è finito).

Albe e notti qui variano per pochi segni.

Il zigzag degli storni[6] sui battifredi[7]
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d'aria polare,
l'occhio del capoguardia dello spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolio dalle cave, girarrosti
veri o supposti - ma la paglia é oro,
la lanterna vinosa é focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.

La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
può salvarsi da questo sterminio d'oche ;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d'altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel paté
destinato agl'Iddii pestilenziali.

Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull'impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
sciorinate all'aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati[8] dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo è il minuto -

e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito. L'attesa é lunga,
il mio sogno di te non e finito.

Le Conclusioni provvisorie: Piccolo testamento

7.      Leggiamo Piccolo testamento:

Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d’officina
che alimenti
chierico rosso o nero.
Solo quest’iride posso
lasciarti a testimonianza
d’una fede che fu combattuta,
d’una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, del Hudson, della Senna
scuotendo l’ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.
Non è un’eredità, un portafortuna
che può reggere all’urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l’estinzione.
Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio
non era fuga, l’umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.

8.      Si era nel dopo guerra, in tempi di feroci polemiche sul ruolo degli intellettuali, e da sinistra si accusò Montale di essere un piccolo borghese, incapace di comprendere i conflitti della storia, di partecipare, con la sua scrittura, alle lotte per il progresso sociale. Montale rispose così:  L'argomento della mia poesia (...) è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio (...). Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia.” 
9.      Piccolo testamento è ancora una risposta a quelle accuse. La donna a cui il poeta si rivolge può essere Clizia o Volpe. Non conta, perché qui è il poeta che difende la sua testarda coerenza, il senso della sua poesia che è rimasta sempre fedele ad una ostinata ricerca morale, mai sedotta da dogmi e ideologie (da lume di chiesa o d’officina / che alimenti / chierico rosso o nero).
10.   Certo, quella della poesia è una luce debole (traccia madreperlacea di lumaca, smeriglio di vetro, tenue bagliore) che non può reggere alla violenza della storia (all’urto dei monsoni); ma è pur sempre una luce, e chi è capace di vederla e riconoscerla potrà salvarsi quando spenta ogni lampada / la sardana si farà infernale, quando le forze del male che agiscono nella storia prenderanno il sopravvento (la poesia è scritta nel 1953, e si sente qui l’angoscia per la possibilità di una catastrofe nucleare).


[1] Rigagnoli.
[2] Fossati.
[3] Viva, vitale.
[4] Ramo secco, ricoperto di terra.
[5] La stessa anguilla, o i suoi occhi.
[6] Gli uccelli, ma anche gli aerei.
[7] Le torri di guardia.
[8] Ciambella toscana di pane dolce.

(III) La poesia di Montale: Clizia, l'angelo visitatore


Clizia e Nuove stanze
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Irma Brandeis (Clizia)


1.      Ma la figura femminile più significativa, fra le tante che compaiono nell’opera di Montale, è senz’altro quella di Clizia. Clizia è presente sia ne Le occasioni, sia nella terza raccolta, La bufera e altro (1956). E’ lo pseudonimo (o, alla provenzale, il senhal) dietro cui si cela un’italianista americana, Irma Brandeis, conosciuta da Montale a Firenze fra il 1932 e il 1939, quando la donna, di origine ebraica, tornò negli USA a seguito delle leggi razziali. Clizia è nella mitologia greca la ninfa innamorata del sole, ovvero del dio Apollo; da questi rifiutata, si trasforma in eliotròpio o girasole e conserva il suo amore guardando sempre verso il sole. Nell’opera di Montale diventa una novella Beatrice, una sorta di donna-angelo, o “visiting angel”, un angelo visitatore. Come la Beatrice dantesca, così Clizia, che ha come punto di riferimento la luce del sole, può indicare una via d’uscita dalla realtà negativa in cui viviamo, può guidare alla salvezza.

2.      Ma Clizia è la sacerdotessa di una religione laica, perché Apollo è anche il dio della poesia e dunque la sua fedeltà ad Apollo rappresenta la fedeltà ai valori della cultura e dell’intelligenza in un mondo che sempre più sembra negarli, un mondo su cui incombe l’oppressione delle dittature e infine la catastrofe della guerra. In questo senso due poesie estremamente significative sono Nuove stanze (Le occasioni), scritta nella consapevolezza dell’imminenza della guerra, e La primavera hitleriana (La bufera e altro), scritta in occasione dell’incontro tra Hitler e Mussolini, avvenuto a Firenze nel maggio del 1938. In entrambe Clizia rappresenta la speranza che l’intelligenza e la cultura possano avere la meglio sulla barbarie che incombe.

3.      Certo, in Nuove stanze persiste il dubbio che il potere di Clizia, ovvero della cultura, sia insufficiente: “follia di morte non si placa a poco / prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo, / ma domanda altri fuochi…”, ovvero altre armi, armi diverse da quelle della cultura. Ma nel finale è affermata con forza la certezza che lo sguardo di quegli “occhi d’acciaio” possa resistere alla violenza dello “specchio ustorio” e infine vincere: “… Ma resiste / e vince il premio della solitaria / veglia chi può con te allo specchio ustorio / che accieca le pedine opporre i tuoi / occhi d’acciaio.” La leggiamo:



Poi che gli ultimi fili di tabacco

al tuo gesto si spengono nel piatto

di cristallo, al soffitto lenta sale

la spirale del fumo

che gli alfieri e i cavalli degli scacchi

guardano stupefatti; e nuovi anelli

la seguono, più mobili di quelli

delle tua dita.



La morgana[1] che in cielo liberava

torri e ponti è sparita

al primo soffio; s'apre la finestra

non vista e il fumo s'agita. Là in fondo,

altro stormo si muove: una tregenda

d'uomini che non sa questo tuo incenso,

nella scacchiera di cui puoi tu sola

comporre il senso.



Il mio dubbio d'un tempo era se forse

tu stessa ignori il giuoco che si svolge

sul quadrato e ora è nembo alle tue porte:

follìa di morte non si placa a poco

prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo

ma domanda altri fuochi, oltre le fitte

cortine che per te fomenta il dio

del caso, quando assiste.



Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco

tocco la Martinella[2] ed impaura

le sagome d'avorio in una luce

spettrale di nevaio. Ma resiste

e vince il premio della solitaria

veglia chi può con te allo specchio ustorio

che accieca le pedine opporre i tuoi

occhi d'acciaio.



Clizia e La primavera hitleriana



4.      Questa stessa speranza ne La primavera hitleriana assume anche connotati religiosi. La leggiamo:



Folta la nuvola bianca delle falene impazzite[3]

turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette[4], 

stende a terra una coltre su cui scricchia 

come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona

ora il gelo notturno che capiva[5] 

nelle cave segrete della stagione morta[6], 

negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai[7].



Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale 

tra un alalà di scherani, un golfo mistico[8] acceso

e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito, 

si sono chiuse le vetrine[9], povere 

e inoffensive benché armate anch’esse 

di cannoni e giocattoli di guerra, 

ha sprangato il beccaio che infiorava

di bacche il muso dei capretti uccisi, 

la sagra dei miti carnefici[10] che ancora ignorano il sangue 

s’è tramutata in un sozzo trescone[11] d’ali schiantate, 

di larve sulle golene[12], e l’acqua séguita a rodere 

le sponde[13] e più nessuno è incolpevole.



Tutto per nulla, dunque?[14] – e le candele 

Romane[15], a San Giovanni, che sbiancavano lente

l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii[16] 

forti come un battesimo nella lugubre attesa 

dell’orda (ma una gemma[17] rigò l’aria stillando

sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi 

gli angeli di Tobia, i sette,[18] la semina 

dell’avvenire) e gli eliotropi nati 

dalle tue mani – tutto arso e succhiato 

da un polline che stride come il fuoco

e ha punte di sinibbio[19]



                                      Oh la piagata

primavera[20] è pur festa se raggela 

in morte questa morte![21] Guarda ancora 

in alto, Clizia, è la tua sorte, tu

che il non mutato amor mutata serbi[22], 

fino a che il cieco sole che in te porti[23]

si abbàcini nell’Altro e si distrugga 

in Lui[24], per tutti. Forse le sirene, i rintocchi 

che salutano i mostri nella sera

della loro tregenda[25], si confondono già 

col suono che slegato[26] dal cielo, scende, vince – 

col respiro di un’alba che domani per tutti 

si riaffacci, bianca ma senz’ali 

di raccapriccio[27], ai greti arsi del sud…[28]



5.      Clizia qui è portatrice di una salvezza non più individuale, ma “per tutti” (ripetuto due volte, ai vv. 37 e 41). E il cupo pessimismo che domina nelle prime strofe e che ha il suo culmine nella domanda “Tutto per nulla, dunque?”, il pessimismo su una possibilità di salvezza affidata all’intelligenza e alla cultura in un mondo popolato da demoni (“il messo infernale”, la “tregenda” – parola questa che ricorre anche in Nuove stanze, e significa proprio un’adunanza di diavoli) pronti a scatenare l’orrore della guerra, sembra superato già in quella parentesi nella terza strofa, laddove una stella cadente pare presagire la possibilità di un riscatto, evocato dal riferimento biblico agli angeli di Tobia. E’ un ottimismo del cuore e della volontà, ribadito in conclusione, nell’ultima strofa, così come è ribadita la valenza religiosa che Clizia sembra assumere: non più solo intelligenza e cultura, ma novello Cristo (“cristofora”), mediatrice fra cielo e terra, che si annulla, si sacrifica (si abbàcini nell’Altro e si distrugga in Lui) per l’intera umanità (per tutti).



[1] Il miraggio.
[2] Campana di Firenze che annunciava un pericolo.
[3] Montale ricorda che ci fu quel giorno un’invasione di farfalle bianche, e poi una morìa a causa del freddo improvviso.
[4] I parapetti dell’Arno.
[5] Era contenuto,
[6] L’inverno
[7] Si susseguono fino alle rive sabbiose dell’Arno.
[8]Nel teatro,dove avvenne l’incontro, lo spazio riservato all’orchestra .
[9] In festa.
[10] Ossimoro, a indicare i bottegai in festa.
[11] Immonda danza.
[12] Gli argini del fiume.
[13] Tutto procede come se tutto fosse naturale.
[14] Non è servita la presenza di Clizia, il valore della cultura?
[15] I fuochi d’artificio.
[16]Per la partenza di Clizia.
[17] Una stella cadente, una cometa.
[18] Nella Bibbia simboleggiano la semina del bene, destinata a dare frutti nel futuro.
[19] E’ un vento freddo del nord.
[20] La primavera ferita dal freddo e dalla caduta di farfalle.
[21] Se fa morire col suo gelo la morte rappresentata dall’orda.
[22] Come nell’epigrafe – Né quella che a veder lo sol si gira – sono versi tratti da un sonetto attribuito a Dante.
[23] La luce segreta dell’amore che conservi.
[24] Si annulli nella luce accecante del sole.
[25] Convegno di demoni.
[26] Disceso.
[27] Quelle delle farfalle.
[28] Torna il motivo dell’aridità, qui correlativo oggettivo di un mondo devastato dall’ideologia nazifascista. Ai “greti arsi del sud” si contrappongono i “ghiacci e le riviere” del nord, ove si sta recando Clizia.