QUESITI DI LATINO (classe V)


1)     Traducete il seguente passo: "Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, et mare scrutantur; si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre, trucidare, rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant." (Agricola, XXX).

 "Ladroni del mondo, dopo che a loro che tutto devastano sono venute meno le terre, scrutano anche il mare; se il nemico è ricco, sono avidi, se è povero sono ambiziosi, loro che non l'oriente non l'occidente ha saziato: soli fra tutti con uguale intensità bramano la ricchezza e la povertà. Con falsi appellativi chiamano impero il rubare, il trucidare, il rapinare  e chiamano pace dove fanno un deserto".

2)     Dite chi sta parlando, qual è il senso di queste parole e qual è il senso complessivo del discorso che sta facendo.

Calgaco, il capo dei Caledoni, sta rivolgendosi ai suoi uomini prima della battaglia decisiva contro i Romani.  Dice che i Romani usano nobili parole come "impero" e "pace", ma la loro è solo una brutale opera di conquista, perché il loro desiderio è sempre e soltanto quello di impadronirsi di ogni terra esistente, ricca o  povera che sia. Il senso complessivo del discorso di Calgaco è appunto questo: i Romani non sono portatori di civiltà, ma sono massacratori degli altri popoli, stupratori di donne e sfruttatori delle ricchezze altrui; e quindi, se non si vuole fare la fine degli altri popoli sottomessi, non resta che battersi e sconfiggerli.

3)     defuere: dite tempo, modo, persona e il verbo a cui appartiene questa forma verbale.

 Terza persona plurale del perfetto indicativo di desum. 

4)     imperium: che cos'è in analisi logica?

Predicativo dell'oggetto, rappresentato dai tre infiniti auferre, trucidare, rapere. 

5)     Dite di quale periodo storico trattavano gli Annales di Tacito e quali sono le parti che ci sono rimaste.

Gli Annales trattavano della dinastia giulio-claudia, e quindi andavano dalla morte di Augusto (14 d. C.) alla morte di Nerone (68 d. C.). Ci sono rimasti, con lacune, i primi sei libri (relativi al principato di Tiberio) e gli ultimi sei, peraltro mutili della parte finale (relativi al principato di Claudio e a quello di Nerone fino al 66 d. C.).

6)     Nel Somnium Scipionis come viene spiegata la ragione per cui noi uomini non sentiamo l’armonia delle sfere celesti?

Non la sentiamo perché le nostre orecchie ne sono assordate: allo stesso modo in cui coloro che abitano vicino alle cascate di Catadupa perdono il senso dell'udito e non ne sentono più il frastuono (ed anche allo stesso modo in cui coloro che fissano il sole perdono il senso della vista).

7)     "Si natura negat, facit indignatio versum, qualemcumque potest". Che cosa intende dire Giovenale con questa famosa affermazione?

"Se la natura lo impedisce, è l'indignazione che crea il verso, come può". Giovenale intende dire che, anche se la natura gli ha negato doti poetiche, tuttavia lo sdegno nei confronti della depravazione dilagante lo spinge ugualmente a scrivere versi, belli o brutti che siano.

8)     Nella favola di Amore e Psiche (interna al romanzo di Apuleio), Psiche viene punita per la sua curiosità. Spiegate, sinteticamente, di che si tratta.

Amore, il figlio di Venere, si era innamorato di Psiche, l'aveva portata nel suo castello e l'aveva fatta sua sposa. Però a Psiche era stato proibito di vedere lo sposo, che la visitava solo di notte. Ma una notte lei, spinta dalle invidiose sorelle, lo guarda illuminandolo con una lucerna; una goccia d'olio bollente cade dalla lucerna su Amore, che si sveglia e fugge via. In seguito a ciò Psiche dovrà affrontare una serie di durissime prove prima di riottenere la felicità perduta.   

9)     Traducete il seguente passo: "Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto: omnibus, qui patriam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo, qui omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur." (Somnium Scipionis, 5)

Ma perché tu sia, o Africano, più alacre a proteggere lo Stato, sappi questo: per tutti coloro che hanno salvato, sostenuto, accresciuto la patria c'è in cielo un luogo ben definito, dove godono beati della vita eterna; infatti per quel dio supremo, che regge tutto il mondo, non c'è niente, perlomeno di ciò che avviene in terra, di più gradito di quelle società umane, fondate sul diritto, che si chiamano Stati; coloro che li governano e li mantengono integri, di qui partiti qui ritornano.

10) Contestualizzate brevemente il passo e spiegate in che senso si può dire che la concezione qui espressa differisce sostanzialmente da quella cristiana.

Scipione l'Africano maggiore, apparso in sogno a Scipione Emiliano (poi, Africano minore), gli indica la Via Lattea e gli dice che qui sono destinati a vivere in eterno coloro che in vita hanno operato per il bene dello Stato. E' questa una concezione che valorizza la vita attiva, di cui la politica è l'espressione più alta; la ritiene un'attività nobile e ritiene degni del paradiso coloro che l'hanno praticata disinteressatamente. La concezione cristiana, invece, valorizza la vita contemplativa, la preghiera e l'astinenza dalle passioni terrene (e quindi anche dalla politica, che le implica necessariamente).

11) Ad tutandam rem publicam: di che proposizione e di che costruzione si tratta?

Si tratta di una proposizione finale resa con ad più l'accusativo del gerundivo.

12) Conservaverint, adiuverint, auxerint: dite il tempo e il modo, e quindi come si spiega tale modo.

Sono dei perfetti congiuntivi. Il congiuntivo si spiega come "caratterizzante" (ma anche come "eventuale").

13) Dite quali sono i tre generi della retorica classica e in quali occasioni si esercitano.

Sono il genere giudiziario (e si esercita in tribunale, in occasione dei processi), deliberativo (e si esercita nelle pubbliche assemblee, quando si tratta di prendere decisioni politiche), epidittico o dimostrativo (si esercita per dar prova del proprio talento, sostenendo una tesi, lodando o biasimando qualcuno).

14)"Hominem pagina nostra sapit", "Lasciva est nobis pagina, vita proba": che cosa intende dire Marziale con queste parole, tratte da due suoi epigrammi?

Dicendo "la mia pagina ha sapore di uomo" Marziale vuole polemizzare con la poesia "alta", piena di riferimenti mitologici e perciò libresca, astratta dalla realtà, mentre i suoi semplici epigrammi, proprio con la loro bassezza e volgarità, parlano di uomini concreti e della vita reale. Ma se qualcuno pensasse che chi scrive simili cose sia un uomo di costumi corrotti, Marziale risponde che "scurrile è la mia pagina, la vita è onesta", e cioè volgare è la realtà che io voglio descrivere, non certo la mia vita, che invece è pura.

15) Nel Dialogus de oratoribus, qual è la tesi di Curiazio Materno a proposito della decadenza dell’oratoria?

Curiazio Materno sostiene che la causa della decadenza dell'oratoria è politica: l'avvento del principato (e quindi di un regime in cui le decisioni politiche sono prese dal principe) ha determinato la fine del dibattito politico, proprio del regime repubblicano (in cui le decisioni sono prese dopo discussioni in cui si contrappongono diverse tesi). In uno Stato che non consente il libero confronto delle idee, l'oratoria non ha più il terreno in cui crescere, e quindi non può che decadere.

16) Nell'Agricola, da quale accusa Tacito intende difendere il suocero e qual è l’argomento principale che usa a questo fine?

L'accusa al suocero era quella di essere stato complice del regime dispotico di Domiziano. Tacito sostiene che Agricola era un uomo onesto e capace e che, quando il principe si rivela un tiranno, non è bene che simili uomini si ritirino dalla vita politica o facciano un'opposizione sterile, ma è bene che partecipino alla vita politica ai più alti livelli al fine di ridurre, per quanto possibile, il carattere malefico di quel regime e i suoi effetti dannosi per la collettività.

17) La concinnitas è una caratteristica dello stile di Cicerone. Di che si tratta?

La concinnitas è la disposizione armoniosa, simmetrica delle parole nella frase e delle frasi nel periodo.

18)Traducete il seguente passo: “Post autem apparatu regio accepti, sermonem in multam produximus noctem, cum senex nihil nisi de Africano loqueretur… Deinde, ut cubitum discessimus, me et de via fessum, et qui ad multam noctem vigilassem, artior quam solebat somnus complexus est. Hic mihi (credo equidem ex hoc quod eramus locuti; fit enim fere ut cogitationes sermonesque nostri pariant aliquid in somno tale, quale de Homero scribit Ennius, de quo videlicet saepissime vigilans solebat cogitare et loqui) Africanus se ostendit…” (Somnium Scipionis, I, 2)

In seguito, accolti con un lusso degno di un re, protraemmo la conversazione fino a tarda notte, mentre il vecchio non parlava di niente (altro) se non dell’Africano… Quindi, quando ci allontanammo per andare a dormire, mi colse un sonno più profondo del solito, sia perché ero stanco per il viaggio, sia perché ero stato sveglio fino a tarda notte. A questo punto mi apparve (in sogno) l’Africano (credo a causa di ciò di cui avevamo parlato: accade infatti generalmente che i nostri pensieri e discorsi producano nel sonno qualcosa di simile a ciò che Ennio scrive di Omero, a proposito del quale evidentemente spessissimo da sveglio soleva pensare e parlare.

19) Spiegate il senso complessivo del brano (chiarendo quindi chi è che sta parlando in prima persona, chi è il senex indicato nella seconda riga, chi è Ennio e a che proposito viene citato).

Scipione Emiliano (che parla in prima persona) sta raccontando di quando, in occasione dell’assedio di Cartagine durante la III guerra punica, ebbe modo di incontrare Massinissa (il senex), re di Numidia, vecchio alleato dei Romani ai tempi della II guerra punica, grande amico ed estimatore di Scipione l’Africano (vincitore di quella guerra e nonno, per adozione, dell’Emiliano). Il fatto che abbiano parlato così a lungo dell’Africano fa sì che, subito dopo, l’Emiliano lo veda in sogno, così come succedeva ad Ennio (poeta epico latino delle origini, autore degli Annales) che vedeva in sogno Omero, perché appunto a lui pensava e di lui parlava tutto il giorno.

20) Cubitum: di che forma verbale si tratta e qual è la sua funzione?

E’ un supino attivo con valore finale (in quanto dipende da un verbo di moto).

21) Vigilassem: di che forma verbale si tratta e come si spiega il modo usato?

Forma sincopata per vigilavissem, è piuccheperfetto congiuntivo attivo, prima persona singolare. E’ usato il congiuntivo perché si tratta di una relativa impropria con valore causale.

22) Solebat: di che forma verbale si tratta e che proposizione è quella a cui appartiene?

Imperfetto indicativo attivo, prima persona singolare. La proposizione è una comparativa.

23) Pariant: di che forma verbale si tratta e che proposizione è quella a cui appartiene?

Presente congiuntivo attivo, terza persona plurale. La proposizione è una completiva di tipo dichiarativo

24) Che cosa sono le Philippicae e perché si intitolano così?

Le Philippicae sono 14 orazioni pronunciate da Cicerone contro Antonio. Si chiamano così perché, per la loro violenza accusatoria, ricordano le famose orazioni che, nel IV sec. a. C., l’oratore greco Demostene aveva pronunciato contro Filippo di Macedonia.

25) Che cosa si indica con i termini “atticismo” e “asianesimo”?

I due termini indicano due opposti stili dell’oratoria. Si chiama “atticista” lo stile semplice, stringato, lessicalmente povero, proprio di certi oratori ateniesi (i modelli sono Lisia e Isocrate, V-IV sec. a. C.); “asiano” è invece lo stile ridondante e ricco di artifici retorici, proprio di certi oratori dell’Asia minore (il modello è Egesia di Magnesia, III sec. a. C.).

26) Che cosa sono le Verrine e perché si intitolano così?

Le Verrine sono sette orazioni (di cui solo due effettivamente pronunciate) composte da Cicerone per sostenere l’accusa nel processo per concussione intentato dai Siciliani contro l’ex governatore della Sicilia, Gaio Verre (e da costui, appunto, prendono il loro nome).

27) Sulla base della vostra conoscenza di Seneca e Lucrezio, dite quali sono le differenze fondamentali fra stoicismo ed epicureismo.

Quella epicurea è una filosofia materialista che esorta alla ricerca del piacere, nega l’intervento degli dei nelle vicende terrene e, professando il principio del “vivi nascosto”, predica l’astensione dalla vita politica. Per lo stoicismo invece si deve praticare la virtù, esiste un principio divino e razionale (un “logos”) che governa l’universo, e dunque c’è una “provvidenza” divina che riguarda la vita degli uomini e c’è un dovere, per l’uomo saggio, di partecipare alla vita politica, ovvero di operare perché anche la struttura della società si uniformi al grande ordine dell’universo.

28) Dite quali sono gli elementi che ci consentono di collocare il Satyricon in età neroniana.

Il carattere del personaggio di nome Petronio, che vive alla corte di Nerone e di cui parla Tacito negli Annales, ben si addice all’autore del romanzo, che, pur narrando vicende immorali e volgari, sembra avere cultura e buon gusto. All’interno del testo, più che di indizi “materiali” (il fatto che si nominino un attore e un gladiatore dell’età neroniana o il fatto che si parli degli horti pompeiani, che non potevano più esistere dopo l’eruzione del 79 d. C.), bisogna tener conto di aspetti tematici: certe espressioni di Trimalcione alla cena sembrano essere parodia di Seneca; certi componimenti poetici di Eumolpo (la Troiae halosis e il Bellum civile) sembrano essere, rispettivamente, parodia di Nerone e polemica con Lucano (e parodia e polemica hanno senso quando ci si rivolge a un pubblico contemporaneo, dunque di età neroniana, che le può capire).

29) Quale insegnamento morale vuole darci Cicerone nel De Officiis, quando ci racconta la favola di Gige?

Tramite la favola di Gige (costui, profittando di un anello grazie al quale poteva rendersi invisibile, aveva commesso una serie di misfatti ed era giunto in tal modo ad impadronirsi del regno di Lidia) Cicerone vuole insegnarci che la legalità e la moralità vanno rispettate perché sono giuste in sè, non perché, altrimenti, si viene puniti. Dunque l'uomo giusto e onesto non commette azioni illegali e immorali, anche se sa che queste non saranno scoperte e lui non sarà punito.

30) Perché si può dire che la favola di Amore e Psiche ripete, in piccolo, il senso del romanzo entro cui è collocata?

Entrambe le vicende hanno un significato mistico-allegorico. Sia Psiche che Lucio (il protagonista dell'Asino d'oro) sono puniti per la loro curiosità (Psiche ha voluto vedere il volto del suo sposo, viene quindi cacciata e costretta ad affrontare difficilissime prove; Lucio ha voluto conoscere le arti magiche, viene quindi trasformato in asino ed è costretto, in tale veste, a vivere molte e dolorose peripezie). Per entrambi però le prove costituiscono un percorso di purificazione e ascensione, al termine del quale acquisiscono una condizione superiore: Psiche viene accolta fra le divinità e Lucio, tornato uomo, viene iniziato ai misteri della dea Iside, di cui diventa sacerdote.

31)Traducete il seguente passo: “Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet. At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum inminens in caput suum avertere; in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant. Deinde eiusdem adrogantiae proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos: non habemus illos hostes sed facimus.”

“Così accade che  parlino (male) del padrone costoro ai quali non è consentito di parlare in presenza del padrone. Ma quelli per i i quali c’era la possibilità di parlare non solo in presenza dei padroni, ma anche con gli stessi  (padroni), quelli, la cui bocca non era cucita, erano pronti a porgere il collo per il padrone, ad attirare sul proprio capo un pericolo imminente; parlavano nei banchetti, ma tacevano sotto tortura. Quindi si diffonde quel  proverbio (frutto) della stessa arroganza: ci sono tanti nemici quanti servi. Non abbiamo quelli come nemici, ce li rendiamo tali.”

32) Spiegate il senso della contrapposizione che Seneca sottolinea: “in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant

 “Parlavano nei banchetti, ma tacevano sotto tortura”: Seneca si riferisce ad un tempo passato (non a caso usa l’imperfetto) in cui i padroni trattavano con rispetto gli schiavi (ad esempio, consentivano loro di parlare durante i banchetti), per cui gli schiavi ricambiavano questo rispetto con una fedeltà assoluta al padrone, difendendolo da ogni eventuale accusa, anche se torturati.

33) Quali argomentazioni usa Seneca per sostenere il dovere di trattare gli schiavi con umanità?

L’argomentazione filosofica è che tutti gli uomini sono uguali, in quanto partecipi dello stesso logos universale. Più concretamente, l’uguaglianza è visibile nel fatto che liberi e schiavi nascono dallo stesso seme, fruiscono dello stesso cielo, vivono e muoiono allo stesso modo. E’ solo la sorte che ha fatto sì che qualcuno diventasse schiavo e qualcun altro padrone, e  la stessa sorte può, un domani, rovesciare quella condizione: e dunque è bene trattare lo schiavo nel modo in cui vorremmo essere trattati noi nella sua condizione.

34) Spiegate la differenza di pensiero fra epicureismo e stoicismo nei confronti della religione.

Gli epicurei  ritengono che gli dei vivano negli intermundia, in condizione di atarassia, e dunque siano assolutamente indifferenti alle vicende umane: gli uomini pertanto non devono né temerli né venerarli, la religione non è altro che una superstizione da cui bisogna liberarsi. Gli stoici invece pensano che ci sia una presenza divina nell’universo, che si manifesta come logos, ovvero come ordine razionale e provvidenziale che governa sia la natura che le vicende degli uomini. La religione dunque ha senso in quanto ci induce a riconoscere ed accettare tale ordine razionale e provvidenziale. (*)

35) Spiegate e motivate il diverso atteggiamento dell’epicureismo e dello stoicismo in merito alla partecipazione alla vita politica

Gli epicurei  sostengono che ci si debba astenere dalla vita politica, in quanto questa, eccitando le passioni, provoca turbamento (il che contraddice l’obiettivo del piacere che si deve perseguire e che consiste nella mancanza di turbamento). Gli stoici invece ritengono doveroso per il saggio partecipare alla vita politica, in quanto costui, comprendendo il logos (ovvero l’ordine razionale dell’universo), è capace di operare, tramite l’attività politica, perché l’ordine sociale si conformi a tale ordine cosmico.

36) Come ci spieghiamo la rottura, che avviene nel 62, fra Seneca e Nerone, con il conseguente ritiro del filosofo a vita privata?

Seneca, in collaborazione col prefetto del pretorio Afranio Burro, rappresentava gli interessi del senato presso la corte di Nerone. Ma Nerone diventa sempre più autonomo e in particolare, morto Burro nel 62, diventa sempre più difficile per Seneca orientare in senso filo-senatorio le scelte politiche dell’imperatore. Quindi Seneca non può che ritirarsi, perché il principe non governa con saggezza, ma in modo dispotico (secondo la filosofia stoica, non governa in coerenza con il logos universale). Ma la verità storica è che Nerone intende affermare il potere del principe contro quello del senato.

37) Che cos’è e di che cosa tratta l’Apokolokìntosis?

L’Apokolokìntosis è una satira menippea (ovvero un componimento, misto di prosa e versi, di intonazione parodistica). Nello specifico, la parodia è nei confronti  di Claudio che, una volta morto, vorrebbe essere divinizzato (il titolo infatti gioca su due parole: “apotheòsis”, che vuol dire divinizzazione, e “kolokynte”, che significa zucca; e quindi andrebbe inteso come “divinizzazione di quello zuccone di Claudio”). Ma gli dei lo respingono dall’Olimpo, lo mandano negli inferi dove viene condannato a giocare a dadi con un bussolotto senza fondo ed a fungere da segretario di un liberto (di Claudio era nota sia la passione per i dadi, sia la sottomissione ai suoi liberti).

38) Perché possiamo dire che l’Apokolokìntosis è decisamente in contraddizione con la Consolatio ad Polybium? 

L’Apokolokìntosis è una satira dura nei confronti di Claudio, che viene deriso per i suoi difetti e le sue debolezze (e quindi può essere vista anche come una sorta di vendetta personale di Seneca nei confronti dell’imperatore che l’aveva condannato all’esilio). Nella Consolatio ad Polybium invece, scritta proprio durante l’esilio in Corsica, Claudio viene presentato come un imperatore grande e buono: infatti in quest’opera (rivolta a Polibio, un potente liberto di Claudio) Seneca vuole compiacere l’imperatore perché questi  gli consenta di tornare a Roma.

(*) Qualcuno ha scritto che, per lo stoicismo, Dio sarebbe il “principio passivo” e la materia il “principio attivo”. Ora, a parte che, caso mai, sarà il contrario (basta un po’ di buon senso per capirlo), mi chiedo dove abbiate preso una simile informazione, visto che io non mi sono addentrato in tali sottigliezze filosofiche, ma mi sono limitato a sottolineare la differenza per quanto riguarda la concezione del logos e della provvidenza.

 39) Traducete il seguente passo, tratto dal De brevitate vitae: « Audies plerosque dicentes: 'a quinquagesimo anno in otium secedam, sexagesimus me annus ab officiis dimittet.' Et quem tandem longioris vitae praedem accipis? Quis ista sicut disponis ire patietur? Non pudet te reliquias vitae tibi reservare et id solum tempus bonae menti destinare quod in nullam rem conferri possit? Quam serum est tunc vivere incipere cum desinendum est! »

Sentirai molti che dicono: “ A cinquant’anni mi ritirerò a vita privata, a sessant’anni mi dimetterò da ogni impegno”. E chi hai come garante di una vita più lunga? Chi consentirà che le cose vadano come programmi? Non ti vergogni di riservare a te stesso gli avanzi della vita e di destinare alla saggezza solo quel tempo che non può essere impiegato in nessuna altra attività? Quanto è tardi cominciare a vivere  quando si deve smettere!

40) Spiegate il senso della contrapposizione fra otium (in otium secedam) e officia (sexagesimus me annus ab officiis dimittet).

Gli officia sono gli impegni e gli affari (di qualsiasi tipo: politico, economico, sociale) che occupano la nostra giornata e ci sottraggono il tempo che dovremmo riservare a noi stessi. L’otium è invece il tempo libero, in cui possiamo riappropriarci della nostra vita, dedicandoci alla lettura dei buoni autori e alla riflessione filosofica.

41) Nel De brevitate vitae Seneca dice che non solo il volgo ignorante accusa ingiustamente la natura, ma l’ha fatto anche un uomo sapiente come Aristotele. Di che cosa, precisamente, Aristotele si sarebbe lamentato?

Aristotele si sarebbe lamentato del fatto che la natura ha concesso una vita lunga agli animali e troppo breve agli uomini (i quali invece dovrebbero averla più lunga, visto che, a differenza degli animali, sono destinati a grandi imprese).

42) Secondo il racconto che ne fa Tacito negli Annales, per quali aspetti il suicidio di Petronio differisce da quello di Seneca?

Il suicidio di Seneca è un suicidio stoico, mentre quello di Petronio ne è quasi una parodia. Seneca affronta la morte con dignità, conforta gli amici, dice nobili parole sull’immortalità dell’anima, detta massime filosofiche. Petronio affronta la morte come un ultimo piacere di cui godere (chiude e riapre le ferite), non parla di argomenti seri ma ascolta versi giocosi e poesie leggere, distribuisce ad alcuni schiavi doni ad altri frustate, infine detta un resoconto di tutte le nefandezze sessuali di Nerone.

43) Quali indizi di carattere culturale ci consentono di collocare il Satyricon in età neroniana?

Un indizio culturale è senz’altro il riferimento polemico di Eumolpo al Bellum civile di Lucano (dunque siamo in un’epoca, quella neroniana, in cui quel poema era conosciuto e dei caratteri di quel poema si discuteva). Un altro riferimento significativo, sempre di Eumolpo, è a un poemetto sulla presa di Troia (e noi sappiamo che proprio Nerone aveva scritto un poema su tale argomento: Troiae halòsis). Infine, le affermazioni di Trimalchione sul dovere di trattare umanamente gli schiavi, evocano – seppure in maniera ridicola – il pensiero di Seneca (e dunque, ancora, ci rinviano all’età di Nerone).

44) La fabula milesia della matrona di Efeso si conclude con queste parole: “e il giorno dopo la gente era lì a chiedersi in che modo il morto fosse salito sulla croce”. Facendo brevemente riferimento a ciò che è successo, spiegate il senso di questa battuta finale.

Un soldato, che faceva la guardia a delle croci a cui erano appesi dei condannati, trascura il suo dovere perché impegnato a “consolare” una vedova, che sembrava voler morire di fame presso la tomba del marito defunto. Siccome i parenti di un crocefisso approfittano dell’assenza della guardia per sottrarre dalla croce un cadavere e dargli sepoltura, la vedova trova la soluzione per salvare il soldato dalla punizione che lo attende: fa appendere sulla croce vuota il cadavere del marito. E dunque il giorno dopo la gente (che conosceva quel morto, immaginiamo) non può che meravigliarsi, come dice la battuta finale.

45) I caratteri parodistici del Satyricon si riconoscono sia nella vicenda centrale (parodia dell’Odissea), sia in vicende marginali (ad esempio, la vicenda della matrona di Efeso è parodia di un famoso episodio dell’Eneide). Spiegate brevemente come si realizza la parodia in ambedue i casi.

I caratteri parodia dell’Odissea si riconoscono dal fatto che, mentre Ulisse è un eroe che affronta un viaggio avventuroso, sempre perseguitato dal dio del mare, Nettuno, nel Satyricon il protagonista, Encolpio, è tutt’altro che un eroe, affronta avventure di tipo erotico ed è perseguitato dal dio della virilità, Priàpo. Quanto alla matrona di Efeso, la vicenda comica dell’amore fra il soldato e la vedova è parodia di quella tragica fra Enea e Didone, nell’Eneide (in  particolare, anche Didone è vedova, e viene esortata dalla sorella Anna a cedere ad Enea, così come la matrona di Efeso viene esortata dall’ancella a cedere al soldato).

46) In che senso possiamo dire che il Bellum civile di Lucano si pone in antitesi rispetto all’Eneide di Virgilio?

L’Eneide era un poema che esaltava la grandezza di Roma, e in particolare il carattere provvidenziale del principato di Augusto. Nel Bellum civile di Lucano invece si esaltano gli ideali repubblicani e si indica nel principato non il punto più alto della storia romana, ma l’esito infausto di una guerra fratricida (quella civile, appunto) e l’inizio della decadenza.  Inoltre, mentre Virgilio rispetta i canoni tradizionali del poema epico, prevedendo l’intervento degli dei nelle vicende umane, Lucano non rispetta quei canoni, ma intende basarsi su una ricostruzione storica di quelle vicende (che del resto sono storiche e non mitiche come quelle dell’Eneide).

47) All’inizio del suo poema, Lucrezio ricorda il sacrificio di Ifigenia. Di che cosa si tratta e che cosa vuole dimostrare il poeta con quell’episodio? (max. 10 righe)

Secondo il mito, Ifigenia, figlia primogenita di Agamennone (il comandante della spedizione greca contro Troia), venne sacrificata agli dei perché questi concedessero un viaggio felice alla flotta in partenza. Lucrezio vuole dimostrare a Memmio (a cui sta dedicando il De rerum natura) che non è empia la filosofia epicurea, ma piuttosto lo è la religione, che prevede fra i suoi riti un’infamia come il sacrificio umano.

48) Più volte, nella sua opera, Cicerone dimostra disprezzo per l’epicureismo. Come ce lo spieghiamo? (max. 7 righe)

Per Cicerone, che è un conservatore e tradizionalista, la devozione religiosa e la partecipazione alla vita politica sono il fondamento della convivenza civile in generale, e della società romana in particolare. Pertanto la filosofia epicurea gli appare negativa sia per il suo materialismo che nega l'intervento degli dei nelle vicende terrene, sia perché, professando il principio del "vivi nascosto", predica l'astensione dalla vita politica. 

49) "Ti prego, padre ottimo e santissimo, dal momento che questa è la vita, come sento dire dall’Africano, perché indugio sulla  terra? Perché non mi affretto a venire qui da voi?". E’ Scipione l’Emiliano che si esprime così nel Somnium   Scipionis. Dopo  aver brevemente spiegato qual è il senso della domanda che pone e a chi è rivolta, dite qual è il senso della  risposta che ottiene. (max 10 righe)

L'Emiliano si rivolge al padre Emilio Paolo e gli chiede se non sia giusto e doveroso il suicidio, visto che così l'anima potrebbe liberarsi dalla prigione del corpo e tornare alla sua vera sede, che è in cielo. Emilio Paolo gli risponde che il suicidio non è lecito, perché agli uomini è stato assegnato da dio il dovere morale di governare la terra e solo quel dio, non l'uomo,  può decidere quando sia giunto per l'anima il momento di uscire dal corpo.

50) Che rapporto c’è fra il De re publica e il Somnium Scipionis e come ci spieghiamo il fatto che quest’ultimo si sia conservato integro attraverso il medioevo? (max. 7 righe)

Il Somnium Scipionis è l’ultimo libro del De re publica, un trattato di filosofia politica in sei libri: ed infatti, dopo aver definito lo Stato ideale nei cinque libri precedenti, nel Somnium si parla della ricompensa ultraterrena che spetta a chi ha ben operato per il bene dello Stato. Quest’ultimo libro, a differenza del resto dell’opera, si è conservato integro attraverso il medioevo perché trattava di un argomento (l’immortalità dell’anima) particolarmente caro alla mentalità cristiana.

51) "Quaeso, pater sanctissime atque optume, quoniam haec est vita, ut Africanum audio dicere, quid moror in terris? quin huc ad vos venire propero?"  Dopo aver tradotto e appropriatamente contestualizzato nel Somnium Scipionis la suddetta domanda, dite qual è il senso della risposta che ottiene. (max 10 righe)

“Ti prego, padre ottimo e santissimo, poiché questa è la vita, come sento dire dall’Africano, perché indugio in terra? Perché non mi affretto a venire qui da voi?”. Questa domanda viene posta da Scipione Emiliano al proprio padre Lucio Emilio Paolo, dopo che Scipione l’Africano gli ha detto che la vera vita non è quella sulla terra, ma quella in cielo, dopo la morte. Si tratta, dunque, di una domanda sulla liceità del suicidio, e Paolo risponde che il suicidio non è lecito, perché gli uomini non possono venir meno al compito affidato loro dal dio supremo, ovvero al compito di governare la terra.

 52) Confrontate brevemente il pensiero sul suicidio espresso nel Somnium Scipionis con quello stoico e con quello cristiano. (max. 7 righe)

Per la ragione suddetta, il suicidio non è ammesso nel Somnium Scipionis. Allo stesso modo la religione cristiana ritiene assolutamente inaccettabile il suicidio, in quanto solo Dio può dare e togliere la vita. Al contrario, la filosofia stoica approva il suicidio (anzi, la ritiene una scelta necessaria) quando le condizioni esterne (e cioè, politiche) non consentono di vivere in armonia con il “logos” universale.

53) Facendo riferimento ai versi che abbiamo letto, dite quali argomenti usa Lucrezio per dimostrare che non bisogna avere paura della morte

Lucrezio sostiene che l’anima, essendo composta di atomi, è mortale come il corpo. Quindi, al momento della morte, niente di noi sopravvive: gli atomi, che componevano la nostra individualità, tornano a vagare come prima che nascessimo. E dunque, come non abbiamo sentito alcun dolore quando i cartaginesi, al tempo della 2ª guerra punica, portarono morte e distruzione in Italia, poiché non eravamo ancora nati, così niente potrà darci dolore quando saremo morti, poiché non ci saremo. E se anche un domani gli atomi che adesso compongono la nostra individualità dovessero riaggregarsi allo stesso modo, quell’individuo sarebbe un’altra persona senza alcuna memoria di una vita passata; e dunque ciò che eventualmente gli capitasse non ci riguarderebbe affatto.

54) Traducete il seguente passo  e, in particolare, spiegate il senso dei due versifinali (che vogliono dire? In che cosa consiste la “culpa” di cui si parla?): Quod <si> iam rerum ignorem primordia quae sint, / hoc tamen ex ispsis caeli rationibus ausim / confirmare aliisque ex rebus reddere multis, / nequaquam nobis divinitus esse paratam / naturam rerum: tanta stat praedita culpa.”

“E se anche ignorassi quali sono i principi delle cose, tuttavia oserei affermare in base alla stessa osservazione razionale delle cose celesti (del cielo)  e (oserei) sostenere in base a molti altri fatti questa verità, (cioè) che la natura non è stata affatto creata per noi da una provvidenza divina: di così grande colpa (difetto, imperfezione) essa è dotata”. Lucrezio vuol dire che non c’è un ordinamento provvidenziale della natura a favore dell’uomo: basta guardare la realtà del mondo in cui viviamo per accorgersi che, al contrario, la natura è imperfetta, difettosa, rispetto ai bisogni della vita umana, essa è ostile all’uomo: lo dimostra il fatto che i luoghi vivibili per l’uomo sono pochi (essendo il mondo, in gran parte, occupato dalle acque, dalle foreste, da zone troppo fredde o troppo calde), che anche in quei pochi, per sopravvivere, bisogna lavorare con fatica e sfidando le avversità del clima; e infine, che l’uomo è sfavorito anche rispetto agli animali, a differenza dei quali nasce nudo, piangente e bisognoso di ogni aiuto.

 

 

 






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