STIL NOVO (schede)

La novità del dolce stil novo

A. RONCAGLIA, in Pazzaglia, vol. I, p. 217;
U. BOSCO, in Giudice-Bruni (4ª), vol. I, p. 140.
 
Secondo Roncaglia, visto che solamente con Dante si può parlare di una “angelicazione” della donna, ovvero di una spiritualizzazione religiosa dell’amore (giacché prima, e ancora fino a Guinizzelli, si tratta di una trasposizione metaforica di immagini dal linguaggio religioso al linguaggio profano), la novità di Guinizzelli consiste nell’approfondimento teologico-filosofico di detta metafora: come le intelligenze angeliche attualizzano la potenza di Dio, così la donna traduce in atto, cioè in amore, la potenza del cor gentile.
Così si spiega anche l’insistenza sull’elemento visivo della luminosità: corrisponde proprio a quella teologia della luce che da S. Bonaventura giungeva a Bologna attraverso Bartolomeo da Bologna (Dio è luce, e tanto più luminose sono le creature vicine a lui).
Bosco invece, partendo dalla famosa terzina dantesca (“Io mi son un che quando / amor mi spira, noto, ed a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando ”), rileva che qui si mette l’accento sull’amore come pura interiorità (a prescindere, quindi, dalle vicende esterne: illusioni e delusioni, speranze e disperazioni; Bosco sottolinea: a prescindere anche dall’interpretazione romantica che ci vede una dichiarazione di sincerità sentimentale), come introspezione, cioè analisi del meccanismo di perfezionamento che si realizza nel poeta-amante (1): tant’è vero che la donna tende a scomparire come protagonista, a favore del protagonismo assoluto del poeta, che medita sull’essenza dell’amore, sul processo intimo che lo sta perfezionando (2).
Ecco perché la richiesta di corrispondenza, il desiderio di appagamento sensuale (presenti dai provenzali ai siciliani) tende a scomparire: si tratta qui di un amore-virtù che ha valore di per sé (3).

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1) o anche, direi, del meccanismo di abbattimento, nel caso di Cavalcanti.
2) o abbattendo.
3) Ma questo sarebbe più propriamente l’approdo di Dante, secondo quanto dice Bosco nel commento al XXIV del Purgatorio (vedi scheda).

 
Stilnovismo e cor gentile
 
M. I., vol. III,
pp. 707-710.
 
In Guinizzelli è posto il nesso tra amore e cor gentile: l’amore alberga spontaneamente e necessariamente nel “cor gentile”. La novità, sottolineata, è che la gentilezza non consiste nella (non dipende dalla) nobiltà ereditaria, ma in (da) qualità morali (1).
Non si tratta però di una concezione “democratica”, perché è la natura che rende “asletto, pur, gentile ” il cuore (e poi la donna lo innamora), così come il sole purifica la pietra preziosa (e poi la stella le infonde la virtù).
Insomma, se la gentilezza perde i suoi connotati di stato sociale, mantiene, tramite il concetto di natura, il suo carattere elitario: di una elite  tale non per nobiltà di sangue, ma per finezza di sentimenti, di cultura.
In Dante (Vita Nova, XXI) il concetto di gentilezza è allargato, perché si ammette che Amore ingentilisce ogni cuore, anche quello non predisposto dalla natura. (p. 733)

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1) D’A. S. Avalle fa un’analisi strutturale del rapporto amore-cor gentile nella canzone di Guinizzelli (pp. 708-9): si tratta di un ragionamento rigorosamente logico, condotto attraverso paragoni, il cui succo è il seguente: “natura” agisce sul “cuore”, rendendolo “gentile” (come il sole agisce sulla pietra preziosa, togliendole ogni impurità), e quindi disposto a ricevere “amore” (e quindi rendendo la pietra atta ad accogliere la “vertute”); è la “donna” che rende attuale questa potenzialità (per la pietra preziosa, è la stella), favorendo l’avvento di “amore” nel “cuore” dell’uomo “gentile”.
 

Il recupero dello stilnovismo
nel XXIV del Purgatorio 

BOSCO-REGGIO, commento al Purgatorio;
introduzione al canto XXIV.

La dichiarazione di poetica stilnovistica, tutt’altro che essere fuori luogo, come è stato detto, ben s’inserisce nel contesto dell’incontro con Forese: alla rievocazione della dissipata vita giovanile (e del gusto letterario che ne era il riflesso) segue il ricordo della riconquista della moralità (ovvero, della celebrazione stilnovistica dell’amore-virtù).

La novità della poetica in questione non consiste (come si potrebbe pensare, ad una lettura superficiale dei famosi versi di risposta a Bonagiunta Orbicciani) in una sorta di realismo sentimentale svuotato di ornamenti letterari (giacché, anzi, il carattere colto e dottrinale è una caratteristica del gruppo).

Anzitutto, la “dolcezza”: ha a che fare con la lingua, che non presenta più le dissonanze e gli aggrovigliamenti sintattici di un Guittone, ma si fonda su vocaboli dal suono non “aspro e chioccio”: prevalentemente di misura trisillabica, piani, cioè non sdruccioli né tronchi; senza z  o x, doppia liquida (l, r) o incontro di muta (o occlusiva: p, b, t, d ) più liquida.

Quanto alla “novità”, essa è da ricercarsi in quel capitolo della Vita Nova ove Dante riconosce il valore dell’amore in sé, indipendentemente dalla corresponsione: ciò comporta che la sua rappresentazione cessa di essere quella di una vicenda sentimentale a due (come era stata per i poeti precedenti, ed anche per gli stilnovisti: Guinizzelli aveva, sì, estremamente spiritualizzato l’amore, ma lo stilnovismo non si era liberato dal peso della tradizione, che imponeva preghiere di corresponsione, lamenti per l’indifferenza della donna; ancor peggio, Cavalcanti vedeva l’amore come angoscia mortale, obnubilamento della ragione) per diventare pura introspezione (“noto” quel che amore “ditta dentro”), descrizione dei sentimenti esaltanti provocati dalla presenza della donna amata, slancio verso l’alto. E’ l’amore-passione (oltre il quale non sa sollevarsi Cavalcanti) che può recare dolore, non questo amore-virtù, che è aspirazione al bene.

Questo è, però, lo stilnovismo di Dante, che egli, qui, attribuisce a tutto il gruppo: evidentemente egli pensa che anche gli altri (escluso Cavalcanti?) tendevano, pur senza averne coscienza, a questo amore-virtù. Da questo punto di vista, gli sembra che la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore dia voce ad una esigenza collettiva, fin allora inespressa.

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