GALILEO (lezioni)


Galileo e la nascita della scienza moderna



Nasce a Pisa nel 1564, studia medicina poi passa a matematica. Nel 1589 la insegna a Pisa (scopre le leggi dell’isocronismo del pendolo, inventa la bilancia idrostatica per la determinazione del peso specifico); poi, a causa delle ostilità procurategli dal suo antiaristotelismo, nel 1592 si traferisce a Padova, dove resta fino al 1610, protetto dalla libertà consentita nella Repubblica di Venezia.

Nel 1609 costruisce il cannocchiale (su informazioni olandesi): con esso individua la natura delle macchie solari, il vero aspetto della superficie lunare, l’anello di Saturno e i quattro satelliti di Giove (che chiama “medicei”): tutto ciò annuncia nel 1610 col Sidereus nuncius (in latino). Nello stesso anno torna ad insegnare a Pisa, protetto dal granduca Cosimo II. Scrive le “lettere copernicane” (quattro, di cui le più note sono quella Alla granduchessa madre Cristina di Lorena e A don benedetto Castelli, suo allievo), in cui difende i diritti della scienza contro le pretese della Chiesa.

Nel 1616 il Sant’Ufficio si pronuncia formalmente contro la tesi copernicana[1] e Galileo viene ammonito dal cardinale Bellarmino ad abbandonare le tesi eretiche. Del 1623 è Il Saggiatore [2], in forma di lettera indirizzata a don Virginio Cesarini, in cui si tratta dell’origine delle comete, polemizzando con Lotario Sarsi (pseudonimo dello scienziato gesuita Orazio Grassi, suo avversario), dedicata al nuovo papa, Urbano VIII, il cardinale Barberini, che gli aveva dimostrato apprezzamento, e che sarà contento di quella dedica, ma che non impedirà la successiva imposizione dell’abiura[3].

Del 1632 è il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo: il libro venne immediatamente condannato, l’autore sottoposto a processo, costretto all’abiura, condannato al carcere perpetuo[4] (tramutata, per l’età avanzata e la salute malferma, in “arresti domiciliari” nella propria villa di Arcetri, dove morirà nel 1642).

Per capire la rivoluzione galileiana, bisogna pensare che viene attaccato il sistema aristotelico, quel sistema in cui si identificava la cultura medievale, armonico e totalizzante, per cui non esistono discipline autonome, ma tutte si deducono logicamente dalla metafisica, la quale a sua volta è ancella della teologia[5]. In questo quadro, la scienza come esperienza (le discipline tecnico-artigianali) occupa l’ultimo posto. Il movimento anti-aristotelico, che passa per Leonardo, è quello che sostituisce il concetto di esperienza a quello di autorità. Il passo successivo è il cosiddetto metodo sperimentale: dalla sensata esperienza va indotta la legge generale sulla base delle necessarie dimostrazioni (l’esperienza, cioè, va formalizzata secondo principi matematici: perché da sola, senza teoria, sarebbe cieca, cosiccome la teoria che prescinde dall’esperienza è astratta); la legge generale, a sua volta, consente la capacità di previsione[6].

Il sistema filosofico che si attacca (l’aristotelismo) è anche sistema religioso e di potere. La tesi copernicana (1543: De revolutionibus orbium coelestium ) non riguarda solo l’astronomia: mettere in discussione la centralità della terra vuol dire negare la finalizzazione dell’universo per l’uomo (e quindi negare la sua posizione privilegiata). Nella insistita diffusione (vedi l’uso del volgare) e discussione della propria tesi da parte di Galileo, avvertiamo sia una psicologia illuminista (sicura della vittoria della ragione), sia la convinzione che il progresso della ricerca scientifica debba passare attraverso il riconoscimento della sua legittimità da parte dell’autorità religiosa: per questo cerca di dimostrare come le nuove dottrine non siano nocive all’autorità della Chiesa e come non ci sia contrasto tra fede e scienza.

Il suo presupposto è che la Natura, non meno della Sacra Scrittura, sia creazione di Dio; quindi, se le due verità sono in discordanza, ciò è dovuto all’espressione della Sacra Scrittura, che si adegua alla capacità di comprensione di popoli primitivi; altrimenti bisognerebbe non solo mettere all’indice Copernico, ma impedire tutte le scienze, impedire agli uomini di “leggere” il libro della natura; giacché i libri sono due, quello Sacro e quello della natura, scritto, quest’ultimo, con caratteri matematico-geometrici, caratteri che la mente umana sa decifrare; e la capacità di conoscenza umana, intensive (cioè, per quanto riguarda un singolo fenomeno) è perfetta, pari a quella divina (anche se Dio intuisce immediatamente ciò che l’uomo comprende attraverso passaggi); soltanto extensive (cioè, riguardo alla quantità, infinita, di cose che si possono conoscere) è limitata[7].

Rivoluzionario è anche il fatto che Galileo scriva in volgare, rompendo una tradizione che, ancora nel Rinascimento, manteneva il latino per le questioni scientifiche. La scelta di Galileo è per l’esposizione in forme letterarie (tali sono infatti l’epistola e il trattato dialogico); del resto, data la cultura di base umanistica, lo scienziato è anche letterato (e Galileo partecipava anche al dibattito sul poema cavalleresco, schierandosi per Ariosto contro Tasso).



[1]“Stolta e assurda in filosofia e formalmente eretica perché contraddice espressamente le affermazioni della Sacra Scrittura”.
[2]Si intitola così perché G. contrappone lo strumento preciso del “saggiatore” (il bilancino degli orafi) al rozzo strumento (la libra) usata dal Grassi per soppesare le varie tesi.
[3]Nel merito, era più fondata la tesi del Grassi (sosteneva trattarsi di un corpo celeste) che quella di Galileo (parlava di apparenze dovute ai raggi solari).
[4]Sembra che il papa si sentisse ridicolizzato dal sospetto di una identificazione con Simplicio, l’aristotelico che nel dialogo soccombe di fronte alla superiorità dei copernicani, Sagredo e Salviati.
[5]Esemplare, in questo senso, il ragionamento logico-deduttivo con cui Beatrice, in Pd. II, spiega a Dante la natura delle macchie lunari a partire da principi teologico-metafisici.
[6]La nascita di un tale metodo scientifico è legata allo sviluppo della tecnologia e della ricerca applicata, a sua volta determinata dallo sviluppo sociale e civile del Rinascimento (crescita delle città, incremento dell’edilizia, nuovi procedimenti industriali e artigianali, sviluppo della navigazione). Di tale mutamento di mentalità, l’opera e il pensiero di Leonardo (1452-1519) erano stati il primo frutto: nei suoi appunti, peraltro rimasti inediti, aveva parlato di metodo sperimentale (“la mera sperienzza è maestra vera” ; contro le “attività che principiano e finiscono nella mente” ), dell’importanza delle dimostrazioni matematiche (“nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, se non passa per le matematiche dimostrazioni” ) e contro il principio di autorità (“i recitatori e trombetti dell’altrui opere” ).
[7]Un simile argomento è usato da Keplero (v. G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Torino 1979, p. 127) e, prima, da Marsilio Ficino (nella Theologia Platonica).

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