Sul romanticismo
M. PUPPO, Il romanticismo,
Ed. Studium 1975, pp. 11-48.
1) Se ne parla dal punto di vista letterario (come reazione alla
tradizione classicista che risale al Rinascimento)[1]; dal punto di vista filosofico (come reazione
all’illuminismo: idealismo); dal punto di vista etnico-nazionalistico (rivolta dello spirito germanico
contro lo spirito latino). Quanto al modo di intenderlo, c’è chi lo ritiene una
categoria dello spirito (Croce: romanticismo è il momento
passionale di ogni opera d’arte, laddove il classicismo è il momento formale:
la vera arte è sintesi dei due momenti, e quindi reperibile in qualsiasi
epoca); e c'è chi lo ritiene un momento
storico (e in tal caso, c’è chi lo restringe al movimento culturale che
si richiama a questo nome nella 1ª metà del 1800, e chi, come M. Praz, lo collega a un
mutamento della sensibilità avvenuto alla fine del 1700 e vivo ancor oggi).
2) Certo, non si può non partire
dalla crisi dell’illuminismo:
se è la rivoluzione francese la realizzazione pratica delle promesse della
ragione illuminista, essa, col suo bagno di sangue e con la sua appendice
napoleonica, non può che apparire un fallimento; e del resto, questa
sfrenata esaltazione della ragione lascia dei vuoti, non soddisfa dei bisogni (di tipo metafisico,
religioso) che pure persistono (vedi Foscolo:
bisogni di tipo sentimentale). D’altra parte, già all’interno dell’illuminismo
nascono le tendenze anti-illuministiche: in tal senso va vista la
valorizzazione del sentimento e
dello stato di natura in Rousseau: non potenziando la
ragione, ma tornando verso il mondo degli impulsi primitivi (dei sentimenti
naturali) si trova la felicità (e del resto in Rousseau si trova anche la valorizzazione
dell’amore come sublime passione che nega e supera ogni razionalità;
cosiccome il gusto della confessione, ovvero della considerazione
privilegiata del proprio io)[2].
3) Dal punto di vista filosofico, se Kant aveva ancora mantenuto una
barriera invalicabile fra soggetto e oggetto (oltre il fenomeno c’è pur sempre il noumeno), con l’idealismo l’oggetto non è più sentito estraneo al soggetto,
ma partecipe della stessa natura spirituale (Fichte: l’io è spirito invisibile, la Natura è spirito
visibile)[3]. Proprio l’idea di Fichte
di un distacco iniziale della natura dallo spirito, del non-io dall’io
(distacco che deve essere colmato riconoscendo nella natura non una realtà
estranea, ma un prodotto dello spirito stesso) corrisponde allo stato d’animo
romantico che sente, malinconicamente, la perdita dell’armonia originaria,
a seguito della frattura fra materia e spirito, finito e infinito, realtà e
desiderio.
4) Il sentimento è l’entità evocata per recuperare questa armonia;
ma di sentimento si può parlare in due modi: alla “latina” (che sarebbe il modo di Rousseau, ma anche
dello Sturm und Drang:
sentimento come passione, istinto primitivo e selvaggio, non controllato dalla
ragione, proprio di quella Naturpoesie
che Herder esalta,
distinguendola dalla Kunstpoesie); e
alla “tedesca” (che sarebbe il modo
di Schiller, che distingue
fra poesia ingenua e poesia sentimentale: la prima nasce da
un contatto immediato e spontaneo con la natura, mentre la seconda cerca di
ritrovare quella perduta armonia per mezzo della cultura e della riflessione;
quindi è un sentimento che non prescinde dalla filosofia, anzi la implica; del
resto, come dice Novalis, “il pensiero è soltanto un sogno del
sentimento"; su questa linea sarà il “latino” Leopardi).
5) Ma l’armonia è in
definitiva sempre irraggiungibile: di qui la Sehnsucht, o “aspirazione
struggente” (si oppone a Stille,
o “serenità, quiete”); di qui
l’evasione verso altri mondi, del passato (il medioevo per
Novalis, come per Brentano e Von Arnim, che raccolgono favole o canti della tradizione
medievale germanica) o lontani, esotici (René di Chateaubriand
se ne va fra la natura vergine dell’America del Nord; Hölderlin evoca l’Ellade
antica).
6) Nuova la concezione della natura: non più quel meccanismo retto da leggi immutabili,
estraneo alla vita dell’uomo, prospettato dalla scienza galileiana; ma organismo vivente con cui lo spirito
dell’uomo è in continua comunione, di più, in cui riconosce se stesso (c’è una
sorta di religiosità panteistica in tutto ciò): secondo Novalis, colui che sollevò il
velo della dea di Sais (simbolo
della natura) “vide, miracolo del
miracolo, se stesso ”[4].
7) L’arte, quindi, sia viene sentita come il modo per risolvere
le antinomie, per ristabilire quell’armonia col cosmo cui “struggentemente” si
“aspira”, per realizzare quella libertà che il mondo reale continuamente nega;
sia viene ritenuta lo strumento
conoscitivo per eccellenza (in opposizione alla scienza sperimentale),
che consente di attingere l’assoluto
(per la via mistico-intuitiva che
solo all’artista è concessa).
8) Un tema centrale è quello dell’amore: in quanto esperienza
irrazionale, fortemente sentimentale, evoca un mondo diverso, di unione mistica
col tutto, aspira a superare i limiti che necessariamente il reale pone: e
quindi aspira a realizzarsi nella morte.
Il romanticismo inglese
R.
WELLEK, Storia della critica moderna
(II),
Il
Mulino 1961, p. 147 e segg.
C.
IZZO, Storia della letteratura inglese
(II),
Nuova
Accademia 1963, p. 331 e segg.
Il romanticismo inglese ha una
indubbia autonomia di origine rispetto a quello tedesco. Già nella seconda metà
del ’700 la presenza di una sensibilità nuova si era manifestata con la poesia
allucinata di W. Blake
(poeta, pittore, incisore: 1757-1827), con l’ossianesimo (la pubblicazione dei Canti da parte di McPherson è del 1760), con la poesia sepolcrale
(E. Young: Le notti, 1742-1745; T. Gray:
Elegy written in a country churchyard,
1751), con il romanzo gotico (H. Walpole: The castle
of Otranto, 1764; A. Radcliffe: The mysteries of Udolpho, 1794; M. G. Lewis: The monk,
1795) e soprattutto con le
teorizzazioni di E. Burke (nella
Indagine filosofica sull’origine delle
nostre idee del sublime e del bello, 1756,
sostiene, oltre al primato della spontaneità creativa dell’io, l’interesse dei
temi malinconici od orridi: se l’origine del bello è nel piacere, quella del
sublime è nel dolore e nel terrore, che provocano una sorta di “delightful horror”,
ovvero un dilettoso, piacevole orrore).
In secondo luogo, l’opera della
cosiddetta prima ondata (o generazione) romantica (Wordsworth, Coleridge,
Southey), è parallela, se non
precedente, al movimento promosso in Germania dagli uomini di Athenaeum: la prima edizione delle Lyrical
Ballads è infatti del 1798
(comprendeva poesie di Coleridge, fra cui The Rime of the Ancyente Marinere; e di Wordsworth, fra cui Lines written a few miles above Tintern
Abbey); e la prefazione
di Wordsworth alla seconda edizione
(indicata come il manifesto del romanticismo inglese[5]) è del 1800. Del resto, a ribadire una sorta di primogenitura
inglese, proprio A. W. Schlegel aveva salutato in Shakespeare il
massimo genio poetico dei popoli germanici (ed un romantico ante litteram); ed Herder
aveva indicato nei poemi di Ossian un modello di Naturpoesie (poesia
naturale-primitiva).
Soltanto in un secondo tempo
arrivarono le idee dei tedeschi: Coleridge lesse Schlegel e, nel 1811, tenne delle conferenze sulla
distinzione fra classicismo e romanticismo; ma, soprattutto, nel 1813, venne pubblicato in Inghilterra
(proprio a seguito della censura che aveva subito in Francia) De l’Allemagne della De Staël; ed
è a questa fase che appartengono gli aspetti eroico-titanici, propri della cosiddetta
seconda generazione romantica (Byron,
Shelley, Keats).
A differenza della seconda
generazione, la prima (detta anche, dei “poeti laghisti”, perchè amarono risiedere ed ispirarsi alla natura
del Nord-Ovest dell’Inghilterra, la regione dei laghi del Cumberland) predilige
il culto della natura, della vita e del linguaggio semplici (segnatamente in
Wordsworth), o il gusto per il leggendario e il fiabesco (evidente in
Coleridge).
E’ da segnalare che, in ogni sua
forma ed espressione, mancò completamente al romanticismo inglese quel
carattere di esaltazione delle stirpi germaniche che invece caratterizzò il
romanticismo tedesco; di più, se in altri paesi (si pensi all’Italia), in nome
degli ideali di libertà e di nazione, la poesia si caricò di contenuti e
messaggi politici, in Inghilterra il romanticismo si caratterizza per un progressivo
distacco dalle responsabilità civili, per una chiusura del poeta in se
stesso (e questo è vero anche per un “libertario” come Byron, che ha,
appunto, della libertà un’idea “titanica”, e quindi, per definizione,
refrattaria a determinazioni storico-concrete; e infatti nella sua opera c’è
più orgoglioso ed ostentato rifiuto del conformismo volgare che impegno morale
e civile).
Si può anche dire che, mentre in
Italia la cultura romantica fiancheggia e sostiene il progetto di sviluppo
della borghesia più consapevole, quella lombardo-veneta (sul piano
politico, perché l’ideale nazionale, sostenuto dai romantici, è funzionale agli
interessi della borghesia, che ha bisogno, per potersi espandere, della
eliminazione sia delle barriere doganali che della “tutela” austriaca; e sul
piano economico, perchè nel Conciliatore
si indica esplicitamente la industrializzazione inglese come modello da
imitare), in Inghilterra, dove già si sono visti gli effetti negativi della
rivoluzione industriale (super-sfruttamento, inquinamento, mercificazione dei
rapporti umani), il romanticismo (con la sua valorizzazione della semplicità
naturale, della campagna contro la città) si pone come cultura d’opposizione
allo sviluppo capitalistico.
Il romanticismo francese
R.
WELLEK, Storia della critica moderna,
III
Il
Mulino, 1961 (1955), pp. 281 e segg.
V.
L. SAULNIER, Storia della lett. francese,
Einaudi,
1964, pp. 466-67, 487.
A differenza di Inghilterra e
Germania, dove la tradizione classica era meno radicata, in Francia (cosiccome
in Italia) certi caratteri del romanticismo (la rivolta contro le regole, il
privilegiamento delle componenti irrazionali) si presentano in termini più
moderati, e meno vistosa è la frattura con la cultura precedente.
Del 1802 è Génie du Christianisme di Chateaubriand
(1768-1848), vera e propria apologia sentimentale ed estetica della religione
cristiana, contro l’ateismo e lo scetticismo settecenteschi (e per questo
ottenne il plauso della generazione che aveva sperimentato la delusione
rivoluzionaria): vi si esalta - oltre al valore morale del cristianesimo - il
bello cristiano in quanto più ricco e profondo del bello pagano (l’Adamo
di Milton è più "maestoso e nobile” dell’Ulisse di Omero);
all’opera erano aggiunti due brevi romanzi, Atala (che narra la
vicenda d’amore di due indiani della Luisiana) e René (che narra la
vicenda, velatamente autobiografica, di un personaggio malinconico ed inquieto
che va a cercare la pace nella solitudine, fra la natura incontaminata della
Luisiana): entrambi, per il gusto dell’esotico e del malinconico, incontrarono
il gusto delle generazioni romantiche.
Ma la prima data significativa,
per quanto riguarda il riferimento consapevole al romanticismo, è il 1810, anno di pubblicazione dell’opera
della M.me de Stael (1766-1817),
De
l’Allemagne (subito sequestrato
dalla polizia napoleonica, fu pubblicato in Inghilterra nel 1813, e quindi in Francia nel 1814, dopo la caduta di Napoleone): vi
si stabilisce la famosa antitesi tra letterature del sud o mediterranee
(classiche, caratterizzate da paganesimo, serenità, contorni netti,
compiutezza) e letterature del nord (romantiche, caratterizzate da
cristianesimo, indefinitezza, fantasticheria malinconica); e vi si esalta la
genialità di grandi letterati e filosofi tedeschi (Goethe, Schiller,
gli Schlegel, ecc.).
Infine va ricordata la prefazione di V. Hugo (1802-85) al Cromwell (1827): vi si sostiene (stravolgendo in maniera discutibile
l’impostazione di Vico) la legge delle tre età, per cui dopo l’età lirica (la Genesi) e l’età epica (Omero), l’età
moderna è quella del dramma (Shakespeare); solo il dualismo cristiano, il
conflitto tra corpo e anima, rende possibile il dramma; e il dramma, poesia
completa, unisce, come la vita, grottesco e sublime; non ci sono regole né
modelli da rispettare, e in particolare non c’è giustificazione (come per
Manzoni) per le unità drammatiche di tempo e di luogo.
[1]E’
un’affermazione di libertà espressiva, contro le regole classiche (siano esse
quelle pseudo-aristoteliche del dramma, sia l’uso della mitologia in poesia, o
siano gli schemi metrici convenzionali).
[2]E’
un atteggiamento che va nel senso di quell’individualismo (esasperato fino al
titanismo: si pensi ad Alfieri) tipicamente romantico.
[3]Si
può dire che, se per Kant l’io è il legislatore
della realtà, per l’idealismo l’io ne è il creatore:
la realtà è idea, idea pensata; conoscere è quindi creare (la cosa può sembrare
strana, perché nell’atto della conoscenza si ha la coscienza di essere passivi,
e non “creatori”; ma si dice che la “creazione”, inconscia nei singoli, è
attuata dall’io universale, lo Spirito, la mente unica, che pensa attraverso i
singoli).
[4]“Er
sah, Wunder des Wunders, sich selbst”: così ne I discepoli di Sais (romanzo che narra come nella
leggendaria scuola egiziana di Sais si cercasse di scoprire il segreto della
natura, che secondo il mito doveva celarsi dietro il velo della dea di Sais).
[5]Vi
si sostiene che la poesia dev’essere “spontaneo traboccare di sentimenti potenti ”,
deve sbarazzarsi della “poetic diction ”
(ovvero, del linguaggio artificiale, letterario, retorico) per adottare un
linguaggio semplice e naturale (d’uso, del popolo); anche se poi deve ammettere
che quello poetico è sempre un linguaggio artificiale (quindi la polemica è
contro l’eccessiva letterarietà di poeti del ’700 come Dryden e Pope; ed
implica il recupero di poeti sentimentalmente appassionati, anche se non
“semplici” e “naturali”, quali Shakespeare
e Milton).
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