domenica 29 novembre 2015

Ariosto: "regia" e "velatura" nel Furioso

Il Furioso: gli interventi di “regia”
 
        Canto 2
      
        30         Or a poppa, or all'orza hann'il crudele,[1]
               che mai non cessa, e vien più ognor crescendo:
               essi di qua di là con umil vele
               vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.
               Ma perché varie fila a varie tele
               uopo mi son, che tutte ordire intendo,
               lascio Rinaldo e l'agitata prua,
               e torno a dir di Bradamante sua.
 
        Canto 13
       
        42         La donna vecchia[2], amica a' malandrini,
               poi che restar tutti li vide estinti,
               fuggì piangendo e con le mani ai crini,
               per selve e boscherecci labirinti.
               Dopo aspri e malagevoli camini,
               a gravi passi e dal timor sospinti,
               in ripa un fiume in un guerrier scontrosse;
               ma diferisco a ricontar chi fosse:
        43         e torno all'altra, che si raccomanda
               al paladin che non la lasci sola;
               e dice di seguirlo in ogni banda.
               Cortesemente Orlando la consola;
               e quindi, poi ch'uscì con la ghirlanda
               di rose adorna e di purpurea stola
               la bianca Aurora al solito camino,
               partì con Isabella il paladino.
        44         Senza trovar cosa che degna sia
               d'istoria, molti giorni insieme andaro;
               e finalmente un cavallier per via,
               che prigione era tratto, riscontraro.
               Chi fosse, dirò poi; ch'or me ne svia
               tal, di chi udir non vi sarà men caro:
               la figliuola d'Amon, la qual lasciai
               languida dianzi in amorosi guai.
 
        Canto 13
 
        80         Ma lasciàn Bradamante, e non v'incresca
               udir che così resti in quello incanto; [3]
               che quando sarà il tempo ch'ella n'esca,
               la farò uscire, e Ruggiero altretanto.
               Come raccende il gusto il mutar esca,
               così mi par che la mia istoria, quanto
               or qua or là più variata sia,
               meno a chi l'udirà noiosa fia.
        81         Di molte fila esser bisogno parme
               a condur la gran tela ch'io lavoro.
               E però non vi spiaccia d'ascoltarme,
               come fuor de le stanze il popul Moro
               davanti al re Agramante ha preso l'arme,
               che, molto minacciando ai Gigli d'oro,
               lo fa assembrare ad una mostra nuova,
               per saper quanta gente si ritruova.
 
       Canto 23
      
       136         I pastor che sentito hanno il fracasso,
               lasciando il gregge sparso alla foresta,
               chi di qua, chi di là, tutti a gran passo
               vi vengono a veder che cosa è questa.
               Ma son giunto a quel segno il qual s'io passo
               vi potria la mia istoria esser molesta;
               et io la vo' più tosto diferire,
               che v'abbia per lunghezza a fastidire.
 
Il Furioso: gli interventi di “velatura”
 
         Canto 24
       
         1         Chi mette il piè su l'amorosa pania,
               cerchi ritrarlo, e non v'inveschi l'ale;
               che non è in somma amor, se non insania,
               a giudizio de' savi universale:
               e se ben come Orlando ognun non smania,
               suo furor mostra a qualch'altro segnale.
               E quale è di pazzia segno più espresso
               che, per altri voler, perder se stesso?
         2         Varii gli effetti son, ma la pazzia
               è tutt'una però, che li fa uscire.
               Gli è come una gran selva, ove la via
               conviene a forza, a chi vi va, fallire:
               chi su, chi giù, chi qua, chi là travia.
               Per concludere in somma, io vi vo' dire:
               a chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena,
               si convengono i ceppi e la catena.
         3         Ben mi si potria dir: - Frate, tu vai
               altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. -
               Io vi rispondo che comprendo assai,
               or che di mente ho lucido intervallo;
               et ho gran cura (e spero farlo ormai)
               di riposarmi e d'uscir fuor di ballo:
               ma tosto far, come vorrei, nol posso;
               che 'l male è penetrato infin all'osso.
         4         Signor, ne l'altro canto io vi dicea
               che 'l forsennato e furioso Orlando
               trattesi l'arme e sparse al campo avea,
               squarciati i panni, via gittato il brando,
               svelte le piante, e risonar facea
               i cavi sassi e l'alte selve; quando
               alcun'pastori al suon trasse in quel lato
               lor stella, o qualche lor grave peccato.
         5         Viste del pazzo l'incredibil prove
               poi più d'appresso e la possanza estrema,
               si voltan per fuggir, ma non sanno ove,
               sì come avviene in subitana tema.
               Il pazzo dietro lor ratto si muove:
               uno ne piglia, e del capo lo scema
               con la facilità che torria alcuno
               da l'arbor pome, o vago fior dal pruno.
 
       Canto 24
 
        64         Non può schivare al fine un gran fendente
               che tra 'l brando e lo scudo entra sul petto.
               Grosso l'usbergo, e grossa parimente
               era la piastra, e 'l panziron perfetto:
               pur non gli steron contra, et ugualmente
               alla spada crudel dieron ricetto.
               Quella calò tagliando ciò che prese,
               la corazza e l'arcion fin su l'arnese[4].
        65          E se non che fu scarso il colpo alquanto,
               per mezzo lo fendea come una canna;
               ma penetra nel vivo a pena tanto,
               che poco più che la pelle gli danna:
               la non profunda piaga è lunga quanto
               non si misureria con una spanna.
               Le lucid'arme il caldo sangue irriga
               per sino al piè di rubiconda riga.
        66         Così talora un bel purpureo nastro
               ho veduto partir tela d'argento
               da quella bianca man più ch'alabastro,
               da cui partire il cor spesso mi sento.
               Quivi poco a Zerbin vale esser mastro
               di guerra, et aver forza e più ardimento;
               che di finezza d'arme e di possanza
               il re di Tartaria troppo l'avanza.
 


[1] Crudele è il vento nei confronti della nave di Rinaldo, che, per ordine di Carlo, sta andando in Bretagna a cercare rinforzi.
 
[2] E’ Gabrina, che custodiva Isabella, promessa sposa di Zerbino, rapita dai malandrini. Orlando ha ucciso i malandrini e l’ha liberata.
 
[3] E’ rimasta intrappolata, come Ruggero, nel palazzo del mago Atlante.
[4] La parte inferiore dell’armatura

Ariosto: dalla Satira III

L’ideale della vita tranquilla  (dalla Satira III)
      
       
        28        So ben che dal parer dei più mi tolgo,
        29   che 'l stare in corte stimano grandezza,
        30   ch'io pel contrario a servitù rivolgo.
        31        Stiaci volentier dunque chi la apprezza;
        32   fuor n'uscirò ben io, s'un dì il figliuolo
        33   di Maia vorrà usarmi gentilezza.
        34        Non si adatta una sella o un basto solo
        35   ad ogni dosso; ad un non par che l'abbia,
        36   all'altro stringe e preme e gli dà duolo.
        37        Mal può durar il rosignuolo in gabbia,
        38   più vi sta il gardelino, e più il fanello;
        39   la rondine in un dì vi mor di rabbia.
        40        Chi brama onor di sprone o di capello,
        41   serva re, duca, cardinale o papa;
        42   io no, che poco curo questo e quello.
        43        In casa mia mi sa meglio una rapa
        44   ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco,
        45   e mondo, e spargo poi di acetto e sapa,
        46        che all'altrui mensa tordo, starna o porco
        47   selvaggio; e così sotto una vil coltre,
        48   come di seta o d'oro, ben mi corco.
        49        E più mi piace di posar le poltre
        50   membra, che di vantarle che alli Sciti
        51   sien state, agli Indi, alli Etiopi, et oltre.
        52        Degli uomini son varii li appetiti:
        53   a chi piace la chierca, a chi la spada,
        54   a chi la patria, a chi li strani liti.
        55        Chi vuole andare a torno, a torno vada:
        56   vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;
        57   a me piace abitar la mia contrada.
        58        Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna,
        59   quel monte che divide e quel che serra
        60   Italia, e un mare e l'altro che la bagna.
        61        Questo mi basta; il resto de la terra,
        62   senza mai pagar l'oste, andrò cercando
        63   con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra;
        64        e tutto il mar, senza far voti quando
        65   lampeggi il ciel, sicuro in su le carte
        66   verrò, più che sui legni, volteggiando.
 
 
Gli uomini e la luna    (dalla Satira III)
      
 
       208        Nel tempo ch'era nuovo il mondo ancora
       209   e che inesperta era la gente prima
       210   e non eran l'astuzie che sono ora,
       211        a piè d'un alto monte, la cui cima
       212   parea toccassi il cielo, un popul, quale
       213   non so mostrar, vivea ne la val ima;
       214        che più volte osservando la inequale
       215   luna, or con corna or senza, or piena or scema,
       216   girar il cielo al corso naturale;
       217        e credendo poter da la suprema
       218   parte del monte giungervi, e vederla
       219   come si accresca e come in sé si prema;
       220        chi con canestro e chi con sacco per la
       221   montagna cominciar correr in su,
       222   ingordi tutti a gara di volerla.
       223        Vedendo poi non esser giunti più
       224   vicini a lei, cadeano a terra lassi,
       225   bramando in van d'esser rimasi giù.
       226        Quei ch'alti li vedean dai poggi bassi,
       227   credendo che toccassero la luna,
       228   dietro venian con frettolosi passi.
       229        Questo monte è la ruota di Fortuna,
       230   ne la cui cima il volgo ignaro pensa
       231   ch'ogni quiete sia, né ve n'è alcuna.
       232        Se ne l'onor si trova o ne la immensa
       233   ricchezza il contentarsi, i' loderei
       234   non aver, se non qui, la voglia intensa;
       235        ma se vediamo i papi e i re, che dèi
       236   stimiamo in terra, star sempre in travaglio,
       237   che sia contento in lor dir non potrei.

sabato 28 novembre 2015

Properzio: la elegia 4 del libro IV

 
1 Tarpeium nemus et Tarpeiae turpe sepulcrum
    fabor et antiqui limina capta Iovis.
Lucus erat felix hederoso conditus antro,
    multaque nativis obstrepit arbor aquis,
5 Silvani ramosa domus, quo dulcis ab aestu
    fistula poturas ire iubebat ovis.
Hunc Tatius fontem vallo praecingit acerno,
    fidaque suggesta castra coronat humo.
Quid tum Roma fuit, tubicen vicina Curetis
10    cum quateret lento murmure saxa Iovis?
Atque ubi nunc terris dicuntur iura subactis,
    stabant Romano pila Sabina Foro.
Murus erant montes: ubi nunc est curia saepta,
    bellicus ex illo fonte bibebat equus.

15 Hinc Tarpeia deae fontem libavit: at illi
    urgebat medium fictilis urna caput.

Et satis una malae potuit mors esse puellae,
    quae voluit flammas fallere, Vesta, tuas?

Vidit harenosis Tatium proludere campis
20    pictaque per flavas arma levare iubas:
obstipuit regis facie et regalibus armis,
    interque oblitas excidit urna manus.

Saepe illa immeritae causata est omina lunae,
    et sibi tingendas dixit in amne comas:
25 saepe tulit blandis argentea lilia Nymphis,
    Romula ne faciem laederet hasta Tati;
dumque subit primo Capitolia nubila fumo,
    rettulit hirsutis bracchia secta rubis,
et sua Tarpeia residens ita flevit ab arce
30    vulnera, vicino non patienda Iovi:
"Ignes castrorum et Tatiae praetoria turmae
    et formosa oculis arma Sabina meis,
o utinam ad vestros sedeam captiva Penatis,
    dum captiva mei conspicer ora Tati!
35 Romani montes, et montibus addita Roma,
    et valeat probro Vesta pudenda meo:
ille equus, ille meos in castra reponet amores,
    cui Tatius dextras collocat ipse iubas!
Quid mirum in patrios Scyllam saevisse capillos,
40    candidaque in saevos inguina versa canis?
Prodita quid mirum fraterni cornua monstri,
    cum patuit lecto stamine torta via?
Quantum ego sum Ausoniis crimen factura puellis,
    improba virgineo lecta ministra foco!
45 Pallados exstinctos si quis mirabitur ignis,
    ignoscat: lacrimis spargitur ara meis.
Cras, ut rumor ait, tota potabitur urbe:
    Tu cape spinosi rorida terga iugi.
Lubrica tota via est et perfida: quippe tacentis
50   fallaci celat limite semper aquas.
O utinam magicae nossem cantamina Musae!
    Haec quoque formoso lingua tulisset opem.
Te toga picta decet, non quem sine matris honore
    nutrit inhumanae dura papilla lupae.
55 Sic, hospes, pariamne tua regina sub aula!
    Dos tibi non humilis prodita Roma venit.
Si minus, at raptae ne sint impune Sabinae:
    me rape et alterna lege repende vices!
Commissas acies ego possum solvere: nuptae
60    vos medium palla foedus inite mea.
Adde Hymenaee modos, tubicen fera murmura conde:
    credite, vestra meus molliet arma torus.
Et iam quarta canit venturam bucina lucem,
    ipsaque in Oceanum sidera lapsa cadunt.
65 Experiar somnum, de te mihi somnia quaeram:
    fac venias oculis umbra benigna meis."
Dixit, et incerto permisit bracchia somno,
    nescia se furiis accubuisse novis.
Nam Vesta, Iliacae felix tutela favillae,
70    culpam alit et plures condit in ossa faces.
Illa ruit, qualis celerem prope Thermodonta
    Strymonis abscisso fertur aperta sinu.
Urbi festus erat (dixere Parilia patres),
    hic primus coepit moenibus esse dies,
75 annua pastorum convivia, lusus in urbe,
    cum pagana madent fercula divitiis,
cumque super raros faeni flammantis acervos
    traicit immundos ebria turba pedes.
Romulus excubias decrevit in otia solvi
80    atque intermissa castra silere tuba.

Hoc Tarpeia suum tempus rata convenit hostem:
    pacta ligat, pactis ipsa futura comes.
Mons erat ascensu dubius festoque remissus
    nec mora, vocalis occupat ense canis.

85 Omnia praebebant somnos: sed Iuppiter unus
    decrevit poenis invigilare suis.
Prodiderat portaeque fidem patriamque iacentem,
    nubendique petit, quem velit, ipsa diem.
At Tatius (neque enim sceleri dedit hostis honorem)
90    "Nube" ait "et regni scande cubile mei!"

Dixit, et ingestis comitum super obruit armis.
    Haec, virgo, officiis dos erat apta tuis.

A duce Tarpeia mons est cognomen adeptus:
    o vigil, iniustae praemia sortis habes.
  
Traduzione
 
1 Canterò la selva tarpea e di Tarpea l'infame sepolcro e la presa del tempio dell'antico Giove (1). Vi era un bosco rigoglioso, nascosto in anfratti coperti d'edera, e molti alberi stormivano alle acque di una sorgente: casa frondosa di Silvano (2),
5 dove dolce il flauto dei pastori chiamava a bere le pecore lontano dalla calura. Questa fonte Tazio (3) recinge con una palizzata di acero e rende il campo sicuro innalzando un argine di terra. Cos'era Roma allora, quando il trombettiere di Curi (4)
10 col grave squillo scuoteva le vicine rupi di Giove e, dove ora si dettano leggi ai popoli soggiogati, nel Foro romano, si drizzavano i giavellotti sabini? I colli facevano da mura; dove ora è la Curia, vi erano steccati; a quella fonte si abbeverava il cavallo da guerra.
15 Di qui Tarpea attinse l'acqua da offrire alla dea (5); ella portava sul capo un'anfora di argilla. E una sola morte poté bastare per l'empia fanciulla che volle tradire, o Vesta, il tuo fuoco (6)? Vide Tazio giostrare nella pianura sabbiosa
20 e brandire sulla bionda criniera le armi dipinte; fissò attonita la bellezza del re e le armi regali, e l'anfora le cadde dalle mani dimentiche. Spesso addusse a pretesto i presagi dell'innocente luna e disse di dover immergere nel fiume le sue chiome;
25 spesso portò argentei gigli alle ninfe gentili perché l'asta di Romolo non ferisse il volto di Tazio; mentre, ai primi fumi, risaliva il Campidoglio avvolto di nubi, si ferì le braccia con i rovi spinosi e, fermandosi sulla rupe tarpea, così pianse
30 le sue ferite, che Giove a lei vicino non avrebbe tollerato: “O fuochi dell'accampamento e tende della schiera di Tazio, o belle agli occhi miei armi sabine, oh se potessi sedermi prigioniera presso i vostri penati (7), purché tutti mi vedessero prigioniera del mio Tazio!
35 Colli romani, e Roma costruita sui colli, addio, e anche a te, Vesta, che arrossirai della mia onta! Quel cavallo riporterà al campo il mio amore, quello a cui Tazio pettina verso destra la criniera. Perché stupirsi se Scilla incrudelì contro i capelli del padre
40 e il suo candido ventre si mutò in cani rabbiosi (8)? Perché stupirsi se la sorella tradì le corna del mostro, quando il labirinto si aprì grazie al filo raccolto (9)? Qual disonore arrecherò alle fanciulle ausonie (10), io, ministra indegnamente scelta per il virgineo focolare!
45 Se qualcuno si stupirà che sian spenti i fuochi di Pallade (11), mi perdoni: l'altare è bagnato dalle mie lacrime. Corre voce che domani si starà in ozio in tutta la città; tu (12) prendi il versante rugiadoso del colle irto di spini. Tutta la via è viscida e insidiosa,
50 perché cela sempre acque silenziose sul sentiero ingannevole. Oh se conoscessi le formule dell'arte magica! Anche con la lingua avrei recato aiuto al mio bello. A te si addice la toga del trionfo, non a chi, senza l'onore di una madre fu allattato dalla dura mammella d'una lupa selvaggia (13).
55 Così possa io, pur straniera, generare, regina, nella tua reggia: Roma tradita non è certo per te una dote di poco conto. Altrimenti, non resti impunito almeno il ratto delle Sabine: rapisci me e a tua volta rendi così il contraccambio! Io posso dividere le schiere combattenti, o spose:
60 stringete voi un patto in nome del mio abito di nozze! Intona il tuo canto, Imeneo (14)! Trombettiere, smetti i tuoi suoni crudeli! Credetemi, il mio letto nuziale placherà le vostre armi. E già il quarto squillo di tromba annunzia il giorno che viene, e le stelle tramontano scivolando nell'Oceano.
65 Proverò a prender sonno, cercherò te nei miei sogni: vieni dinanzi ai miei occhi, ombra benigna!” Così disse, e abbandonò le braccia a un sonno incerto, senza sapere, ahimè, che nuove furie le giacevano accanto. Vesta infatti, fausta custode del fuoco d'Ilio (15),
70 alimenta la colpa e più ardore le immette nelle ossa. Ella si slancia come, presso il rapido Termodonte (16), un'Amazzone, la veste discinta, il seno scoperto. Era giorno festivo per la città (Parilie le chiamarono i padri); questo fu l'anniversario della fondazione delle mura:
75 conviti annuali di pastori, giochi nella città, quando le mense dei contadini traboccano di ricche vivande, e sopra mucchi sparsi di fieno incendiato una folla ubriaca salta con i piedi sporchi. Romolo decise di lasciar libere le sentinelle
80 e che il campo tacesse, interrotti gli squilli di tromba. Tarpea, pensando fosse giunto il momento, s'incontra col nemico: stringe il patto, comprendendo nel patto se stessa. II colle era difficile da salire, ma incustodito per il giorno di festa; senza indugio, ella previene con la spada i latrati dei cani.
85 Tutto invitava al sonno; ma Giove soltanto decise di vegliare per la tua punizione. Aveva tradito la custodia della porta e la patria dormiente, e chiese a lui di scegliere il giorno delle nozze. Ma Tazio (poiché il nemico non onorò il delitto)
90 “Sposiamoci” le disse “e sali sul mio letto regale!”. Così disse, e la seppellì coprendola con le armi dei compagni (17). Questa, o vergine, era la dote adatta ai tuoi servigi. Da Tarpea, che fu guida, il colle trasse il nome: hai la ricompensa, o custode, di una sorte ingiusta (18).
 
NOTE
(1) Il Campidoglio, ove sorgeva il tempio di Giove.
(2) Divinità dei boschi.
(3) Tito Tazio, re dei Sabini, in guerra contro Roma a seguito del ratto delle Sabine.
(4) Città sabina.
(5) Vesta, dea del focolare domestico e protettrice dello Stato; Tarpea ne era sacerdotessa.
(6) Nel tempio di Vesta era sempre acceso un fuoco, che le sacerdotesse (le vergini vestali) dovevano custodire.
(7) Divinità protettrici della famiglia, della casa, dello Stato.
(8) Scilla era figlia di Niso, re di Mègara. Per amore di Minosse, che stava assediando la città, tradì il padre tagliandogli una ciocca di capelli da cui dipendevano la sua vita e il suo regno. Fu poi trasformata (ma qui Properzio si rifà ad un’altra versione del mito) nel mostro di forma canina (sei cani rabbiosi circondavano il suo ventre) collocato nello stretto di Messina, di fronte a Cariddi.
(9) Si tratta di Arianna, la quale, innamoratasi di Teseo, gli consegnò la matassa di filo grazie a cui sarebbe potuto uscire dal labirinto dopo avere ucciso il Minotauro (di cui Arianna era sorella).
(10) Italiche (Ausonia era un antico nome dell’Italia).
(11) Nel tempio di Vesta, oltre al fuoco sacro, le Vestali custodivano il Palladio, la mitica statua di Pallade che Enea avrebbe portato con sé da Troia (secondo un’altra versione, il Palladio era stato rubato da Ulisse e Diomede).
(12) Ora si rivolge direttamente a Tito Tazio.
(13) Si riferisce a Romolo, allattato da una lupa.
(14) E’ il dio protettore delle nozze.
(15) E’ il fuoco sacro, che, secondo la leggenda, proveniva, come il Palladio, da Troia (o Ilio).
(16) E’ il fiume della Cappadocia (attuale Turchia), presso il quale risiedevano le Amazzoni.
(17) Nella versione di Livio, Tarpea moriva travolta e sepolta dagli scudi dei Sabini. Infatti aveva chiesto, come compenso del tradimento, ciò che i Sabini portavano al braccio, intendendo i bracciali d’oro (in Livio, Tarpea tradiva per avidità, non per amore): ma i Sabini la beffarono, visto che al braccio portavano anche gli scudi.
(18) Si può intendere in diversi modi: il nome dato alla rupe sarebbe la ricompensa del trattamento sleale (la “sorte ingiusta”) riservatole da Tazio; ma la “sorte ingiusta” che viene compensata con il nome potrebbe anche riferirsi alla casualità che ha voluto che si innamorasse di un nemico; oppure la “sorte ingiusta” potrebbe essere proprio quello di avere per sempre il nome della rupe, proprio lei che di quella rupe era stata cattiva custode.