venerdì 27 novembre 2015

Tasso: il discorso di Satana ai diavoli nella Liberata

Il discorso di Satana ai diavoli
 
dalla Gerusalemme Liberata (canto IV, 9-17)
 
Nell'inferno, Satana si rivolge ai diavoli per esortarli ad intervenire contro l'esercito cristiano. Il passo è esemplare perché mette in luce il cosiddetto “bifrontismo spirituale” o doppio codice o conflittualità interna, presente nella Liberata. Qui Satana non è rappresentato come il male assoluto, ma come un combattente valoroso che ha osato ribellarsi, in nome della libertà, non al bene assoluto, ma a un potere autoritario che non tollera il pluralismo e che intende imporre un dominio universale, riducendo al silenzio ogni altra voce. Si capisce allora come dietro la metafora della guerra fra cristiani e musulmani sia rappresentato il conflitto fra due codici ideologici di comportamento: quello laico, pluralista, libertario (di cui sono campioni i pagani) e quello religioso, universalista (imperialista), autoritario (di cui sono campioni i cristiani); di qui la freddezza dei personaggi positivi (Goffredo, Pier l'eremita) e la simpatia per gli sconfitti (da Satana, appunto, che appare come un campione del libero pensiero, ai “compagni erranti”, tipo Rinaldo e Tancredi, che si lasciano sedurre dall'"avventura" invece di corrispondere al "servizio")(1). Insomma i cristiani sono il modello di comportamento della Controriforma, che combatte contro il modello di comportamento dell'età precedente, fatto di libertà, laicismo, ecc., ovvero contro il mondo del Furioso (sorprendentemente, qui, rappresentato dai pagani). Ed anche: la lotta del “capitano” contro i “compagni erranti”, per ricondurli al giusto comportamento, rappresenta la lotta che l’ortodossia cattolica deve combattere contro l’eresia. Anche le questioni strutturali vanno ricondotte a tale bifrontismo. L'esigenza aristotelica di unità è ancora l'esigenza di ordinare sotto un unico principio (come vogliono fare i cristiani sotto il segno della croce) ciò che invece vorrebbe essere dispersivo, centrifugo, diverso (tale è l'avventura cavalleresca, cosiccome la devianza eretica: ci si lascia sedurre da altro che non dall'unico bene). La contrapposizione fra cristiani e pagani è netta, dunque, laddove invece nell'Ariosto Rinaldo e Ferraù potevano sospendere il duello in nome dello stesso codice di comportamento (tale codice, invece, nella Liberata, appartiene solo ai pagani; ed  è per questo che l'autore - inconsciamente? - ed i lettori sono portati a simpatizzare con questi e con i cristiani devianti).
 
  
      9          - Tartarei numi, di seder più degni
               là sovra il sole, ond'è l'origin vostra,
               che meco già da i più felici regni
               spinse il gran caso in questa orribil chiostra,
               gli antichi altrui sospetti e i feri sdegni
               noti son troppo, e l'alta impresa nostra;
               or Colui regge a suo voler le stelle,
               e noi siam giudicate alme rubelle.
        10         Ed in vece del dì sereno e puro,
               de l'aureo sol, de gli stellati giri,
               n'ha qui rinchiusi in questo abisso oscuro,
               né vuol ch'al primo onor per noi s'aspiri;
               e poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro!
               quest'è quel che più inaspra i miei martìri)
               ne' bei seggi celesti ha l'uom chiamato,
               l'uom vile e di vil fango in terra nato.
        11         Né ciò gli parve assai; ma in preda a morte,
               sol per farne più danno, il figlio diede.
               Ei venne e ruppe le tartaree porte,
               e porre osò ne' regni nostri il piede,
               e trarne l'alme a noi dovute in sorte,
               e riportarne al Ciel sì ricche prede,
               vincitor trionfando, e in nostro scherno
               l'insegne ivi spiegar del vinto Inferno.
        12         Ma che rinovo i miei dolor parlando?
               Chi non ha già l'ingiurie nostre intese?
               Ed in qual parte si trovò, né quando,
               ch'egli cessasse da l'usate imprese?
               Non più déssi a l'antiche andar pensando,
               pensar dobbiamo a le presenti offese.
               Deh! non vedete omai com'egli tenti
               tutte al suo culto richiamar le genti?
        13         Noi trarrem neghittosi i giorni e l'ore,
               né degna cura fia che 'l cor n'accenda?
               e soffrirem che forza ognor maggiore
               il suo popol fedele in Asia prenda?
               e che Giudea soggioghi? e che 'l suo onore,
               che 'l nome suo più si dilati e stenda?
               che suoni in altre lingue, e in altri carmi
               si scriva, e incida in novi bronzi e marmi?
        14         Che sian gl'idoli nostri a terra sparsi?
               ch'i nostri altari il mondo a lui converta?
               ch'a lui sospesi i voti, a lui sol arsi
               siano gl'incensi, ed auro e mirra offerta?
               ch'ove a noi tempio non solea serrarsi,
               or via non resti a l'arti nostre aperta?
               che di tant'alme il solito tributo
               ne manchi, e in vòto regno alberghi Pluto?
        15         Ah non fia ver, ché non sono anco estinti
               gli spirti in voi di quel valor primiero,
               quando di ferro e d'alte fiamme cinti
               pugnammo già contra il celeste impero.
               Fummo, io no 'l nego, in quel conflitto vinti,
               pur non mancò virtute al gran pensiero.
               Diede che che si fosse a lui vittoria:
               rimase a noi d'invitto ardir la gloria.
        16         Ma perché più v'indugio? Itene, o miei
               fidi consorti, o mia potenza e forze:
               ite veloci, ed opprimete i rei
               prima che 'l lor poter più si rinforze;
               pria che tutt'arda il regno de gli Ebrei,
               questa fiamma crescente omai s'ammorze;
               fra loro entrate, e in ultimo lor danno
               or la forza s'adopri ed or l'inganno.
        17         Sia destin ciò ch'io voglio: altri disperso
               se 'n vada errando, altri rimanga ucciso,
               altri in cure d'amor lascive immerso
               idol si faccia un dolce sguardo e un riso.
               Sia il ferro incontra 'l suo rettor converso
               da lo stuol ribellante e 'n sé diviso:
               pèra il campo e ruini, e resti in tutto
               ogni vestigio suo con lui distrutto. -
 
 
 
1) Diverso è quindi, rispetto al Furioso, il senso dell’essere cavalieri: in Ariosto l’avventura era intesa come libera espressione della realizzazione individuale, ed era fondata sui valori dell’onore e della virtù; in Tasso invece l’avventura è devianza (deviante è l’individualismo), il cavaliere deve compiere una missione religiosa (e collettiva), in nome della quale deve rinunciare alla libera autodeterminazione ed assoggettare la sua volontà a quella del capitano (che è poi la volontà di Dio).

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