AMORE E MORTE DA FREUD A LUCREZIO (lezioni)


 Scelta dell’argomento

1)    L’argomento che ho scelto per questo incontro (Amore e morte: da Freud a Lucrezio) può sembrare un po’ strano. Ammetto che è piuttosto anomalo associare un autore del Novecento, quale il fondatore della psicanalisi, a un poeta latino del I secolo a.C., quale Lucrezio. Cerco di spiegare come è nata l’idea.

2)    Io mi sono interessato ai tempi dell’università del pensiero di Freud, non tanto del Freud medico e della sua terapia psicanalitica, quanto del Freud filosofo, quello che formula ipotesi sulla natura degli istinti, sulle origini e sul destino della civiltà, sul rapporto fra individuo e organizzazione sociale. Poi quando ho cominciato a insegnare sono stato particolarmente colpito da qualche passo del De rerum natura, che già conoscevo, ma che ora mi pareva di comprendere meglio alla luce di certe idee di Freud.

Freud è morto?

3)    So che Freud oggi è un po’ fuori moda e ho letto che anche la validità della terapia psicanalitica è messa in discussione. Mi viene in mente una famosa battuta attribuita a Woody Allen: “Marx è morto, Dio è morto e anche io non mi sento tanto bene…”. Ecco, si potrebbe aggiungere che anche Freud è morto e saremmo a posto. Tuttavia io continuo a credere che ci siano nel suo pensiero delle idee che a me sembrano ancora attuali e che comunque inducono a pensare.

Complessità del pensiero di Freud e ordine del mio discorso

4)    Quali sono queste idee di Freud? Sono particolarmente quelle relative alla natura degli istinti e al destino della civiltà, a cui Freud ha dedicato diverse opere, quali Al di là del principio del piacere (1920), Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), L’avvenire di un’illusione (1927), Il disagio della civiltà (1930). Di queste idee intendo parlare, cercando di semplificare al massimo, ma contando di cogliere il nocciolo delle questioni, che sono complesse, tant’è che in merito lo stesso pensiero di Freud, per sua stessa ammissione, è incerto, oscillante. Infatti va detto subito che il pensiero del fondatore della psicanalisi è in continuo movimento, frutto di una ricerca continua. La sua teoria sulla natura degli istinti (o meglio, pulsioni, Trieb in tedesco) subisce nel corso degli anni continue modifiche, precisazioni, correzioni, ripensamenti.

5)    Sperando di non annoiarvi, cercherò di mostrare lo sviluppo di questo pensiero fino alle formulazioni definitive, che sono quelle che si ritrovano nel saggio del 1930, Il disagio della civiltà. Leggerò pertanto dei passi tratti dalle opere di Freud, passi che ho trascritto perché sarebbe stato poco agevole portarmi dietro i testi. Successivamente passerò a quello che è più il mio campo, ovvero la letteratura, parlando del poema di Lucrezio e soffermandomi in particolare su alcuni passi che a me sono parsi illuminanti e illuminati dalle teorie di Freud.

La struttura della psiche: Es, Io e Super-Io

6)    Dunque Freud, il quale, per indicare la struttura della psiche, in una prima fase parla di Es (l’insieme delle pulsioni, degli istinti profondi, che aspirano alla propria soddisfazione secondo il cosiddetto principio del piacere), di Io (la parte cosciente, che ha imparato a relazionarsi con l’ambiente, e quindi a tenere a freno le pulsioni istintive, acquisendo il cosiddetto principio di realtà), di Super-Io (quella parte della psiche che si è formata a seguito di una sorta di introiezione della figura paterna, e quindi rappresenta, nell’interiorità dell’individuo, l’insieme dei precetti morali, il senso del dovere, su cui il padre vigila e punisce).

Le due pulsioni

7)    Successivamente, approfondendo la natura dell’Es, Freud parla di una energia psichica che si distingue in pulsione sessuale e pulsione aggressiva. In altre parole Freud scandalizzò i contemporanei di fine Ottocento non solo dicendo che le nevrosi, le malattie mentali, scaturivano dalla repressione dell’eros, delle esigenze sessuali, ma anche dicendo che nella profondità dell’inconscio esiste una pulsione distruttiva ed autodistruttiva. Freud osservava inoltre che queste due pulsioni non sono separate ma operano e partecipano entrambe in tutte le manifestazioni istintuali, sono fuse insieme, sebbene non necessariamente in ugual misura. In altre parole, ciò vuol dire che qualsiasi atto aggressivo/distruttivo fornisce a colui che lo compie una certa gratificazione sessuale inconscia; e qualsiasi atto d’amore non è immune dalla presenza inconscia della pulsione aggressiva.

8)    Così si esprimeva Freud nella lettera di risposta ad Einstein che gli chiedeva il suo parere sul perché della guerra, una lettera datata 1932:

Noi presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire, da noi chiamate erotiche…. e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva…. Ora sembra che quasi mai una pulsione di un tipo possa agire isolatamente, essa è sempre legata – vincolata, come noi diciamo – con un certo ammontare della controparte, (che ne modifica la meta o, secondo i casi, ne permette, solo così, il raggiungimento)…. La difficoltà di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito per tanto tempo di riconoscerle.

Eros e Thanatos, libido e destrudo

9)    Le due pulsioni vengono poi identificate rispettivamente con il nome di Eros (la pulsione che si manifesta nella sessualità, ma che, in senso più ampio, è quella che tende “a conservare e a unire”, come dice nella suddetta lettera, ovvero, come dice altrove, a “legare la sostanza vivente in unità sempre più larghe”) e Thanatos (morte in greco: la pulsione che tende “a distruggere e uccidere”). L’energia di cui le pulsioni sono cariche viene chiamata libido (per Eros) e destrudo[1] (per Thanatos). Freud aggiunge che una pulsione non agisce “isolatamente”, ma è “vincolata… con un certo ammontare della controparte”, ovvero con la pulsione opposta, ma complementare.

Thanatos, l’aspirazione allo stato inanimato e la correzione

10)      Qualcosa di più va detto su Thanatos, la pulsione di morte. Anzitutto Freud ipotizza che essa appartenga a tutta la materia vivente, la quale aspira a ritornare allo stato inorganico “a cui l’essere vivente è stato costretto a rinunziare sotto l’incalzare di forze perturbatrici esterne”; così scrive in Al di là del principio del piacere:

L’essere vivente elementare sarebbe rimasto volentieri immobile sin dall’inizio della sua esistenza, non avrebbe chiesto di meglio che di condurre un genere di vita uniforme, in condizioni invariabili… A un certo momento l’intervento di una forza, sulla cui natura non possiamo farci alcuna idea, ha risvegliato nella materia inanimata le caratteristiche della vita… la tensione che allora si produsse in una sostanza, fino a quel momento inanimata, cercò di autoeliminarsi. Così nacque la prima pulsione: quella di ritornare allo stato inanimato… Per lungo tempo la sostanza vivente doveva così nascere e morire facilmente, finché fattori decisivi esterni produssero alterazioni tali da costringere la sostanza ancora in vita a deviazioni sempre più grandi dal suo cammino biologico originario e a détours (giri tortuosi) sempre più complicati prima di arrivare alla meta finale, la morte.

11)      Freud sta parlando qui di una proprietà che appartiene a tutte le pulsioni, ovvero la “tendenza inerente alla vita organica a ripristinare uno stato anteriore”, una tendenza alla morte che si realizza in maniera più o meno semplice a seconda che l’organismo vivente sia più o meno complesso. Ma questo punto Freud interrompe il ragionamento e si corregge:

Ma fermiamoci un momento a riflettere. Le cose non possono stare così. Le pulsioni sessuali… appaiono sotto un aspetto completamente diverso… Sono le pulsioni di vita nel vero senso della parola. Esse agiscono in senso inverso allo scopo delle altre pulsioni, il cui funzionamento conduce alla morte, e questo fatto indica appunto che c’è un’opposizione con le altre pulsioni… (E’ come se la vita dell’organismo procedesse con un ritmo incerto: un gruppo di pulsioni si precipita a raggiungere lo scopo finale; ma una volta raggiunta una certa tappa di questo cammino, l’altro gruppo torna indietro, sino a un certo limite, per ripartire di nuovo e prolungare, di conseguenza, il viaggio).

12)      E’ dunque affermata qui – dopo ripensamenti, correzioni di precedenti ipotesi ed anche contraddizioni – l’esistenza di due pulsioni che coesistono, ma sono in opposizione, la pulsione di vita (Eros) e la pulsione di morte (Thanatos).

La destrudo si manifesta come aggressività verso l’esterno

13)      Ma come si manifesta la destrudo, ovvero l’energia di cui è portatrice la pulsione di morte? Scrive Freud ne Il disagio della civiltà:

Non fu facile documentare l’attività di questa pulsione di morte. Le manifestazioni di Eros balzavano agli occhi; per contro si poteva supporre che la pulsione di morte lavorasse silenziosamente all’interno dell’organismo verso la sua dissoluzione, ma questo naturalmente non provava nulla. Più promettente l’idea che parte della pulsione si dirigesse verso il mondo esterno e diventasse quindi visibile come pulsione all’aggressione e alla distruzione. La pulsione medesima, in tal modo,… distruggeva qualcos’altro, animato o inanimato, invece di se stesso.

In altre parole, qui si dice che la pulsione di morte, invece di agire “all’interno dell’organismo verso la sua dissoluzione” (come era esclusivamente nell’ipotesi che abbiamo visto descritta in Al di là del principio del piacere), mira a “distruggere qualcos’altro, animato o inanimato, invece di se stesso”. E questo equivale a dire che la destrudo tende a scaricare la sua energia con la crudeltà, la violenza, la guerra.

Il pessimismo sulla inevitabilità della guerra

14)      Ne conseguono alcune affermazioni di Freud improntate a un radicale pessimismo sulla condizione e sulle prospettive dell’umanità; così ne Il disagio della civiltà:

Per ognuno di noi viene il momento di lasciar cadere come illusioni le speranze che ripone in gioventù sui propri simili, e di sperimentare quanto la vita gli è resa gravosa dalla loro malevolenza.

(alla civiltà) si oppone la naturale pulsione aggressiva dell’uomo, l’ostilità di ciascuno contro tutti e di tutti contro ciascuno.

E così ne L’avvenire di un’illusione:

Sembra che ogni civiltà debba edificarsi sulla coercizione e sulla rinuncia pulsionale… Si deve, a mio parere, tener conto del fatto che in tutti gli uomini sono presenti tendenze distruttive, e perciò antisociali e ostili alla civiltà.

           E ancora in una conferenza del 1915, tenuta a Vienna nel corso della I guerra  mondiale:

Non esiste in noi alcun ribrezzo istintivo per lo spargimento di sangue. Noi siamo i discendenti di una serie infinita di generazioni di assassini. La brama di uccidere l’abbiamo nel sangue, e la ritroveremo forse presto in un altro luogo.

E in un’altra conferenza, sempre del 1915, su Noi e la morte:

Nel nostro inconscio rimaniamo ancor oggi una masnada di assassini.

15)      Dunque la guerra pare inevitabile, in quanto corrisponde ad una pulsione che agisce nel profondo, nel subconscio, e che non è possibile eliminare; e i motivi ideali, con cui spesso la si motiva, non sono che un paravento della pulsione aggressiva e distruttiva. Così nella già citata lettera di risposta ad Einstein:

Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra, e presume che in loro ci sia effettivamente una pulsione all’odio e alla distruzione … Non posso far altro che convenire senza riserve con lei. Noi crediamo all’esistenza di tale istinto (…) Pertanto, quando gli uomini vengono incitati alla guerra, può far eco in loro un’intera serie di motivi consenzienti, nobili e volgari, alcuni di cui si parla apertamente e altri che vengono taciuti … Il piacere di aggredire e distruggere ne fa certamente parte, innumerevoli crudeltà della storia e della vita quotidiana confermano la loro esistenza e la loro forza … Talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia, abbiamo l’impressione che i motivi ideali servissero da paravento alle brame di distruzione (…). Non c’è speranza nel voler sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a profusione tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita scorre nella mitezza, presso cui la coercizione e l’aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci, mi piacerebbe saperne di più su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza tra i membri della comunità. Io la ritengo un’illusione.

Mie osservazioni sul persistere delle guerre

16)      Che dire? Le stragi e le distruzioni cui assistiamo con orrore nelle guerre dei nostri tempi, guerre condotte con armi sempre più sofisticate e dunque sempre più micidiali, non sono molto diverse dalle stragi e distruzioni compiute nel passato da eserciti armati di spade, lance, frecce, arieti e catapulte. Io conosco un po’ la storia romana e ricordo che grandi città come Cartagine in Africa, Corinto in Grecia, Numanzia in Spagna, una volta conquistate furono rase al suolo e i loro cittadini uccisi a migliaia o venduti come schiavi. Per conquistare la Gallia Cesare uccise più di un milione di uomini, e non si risparmiavano certo i civili, compresi vecchi, donne e bambini, e aggiungo anche gli animali domestici, come più volte è testimoniato dagli stessi storici latini. E non parliamo di popoli ancora primitivi e selvaggi, ma di popoli, quale quello romano così come quello greco, che avevano raggiunto un alto grado di civiltà, come è dimostrato dalla produzione letteraria e filosofica. Del resto, per tornare al presente della civilissima Europa, pensiamo alla notizia molto recente sui cosiddetti “turisti-cecchini”, cioè su ricchi europei che pagavano (non erano pagati, pagavano loro!) per potere andare sulle colline di Sarajevo e sparare dall’alto sui civili inermi, in particolare su donne e bambini.

Necessità di limitare la pulsione di morte

17)      Ma seguiamo il ragionamento di Freud fino alla conclusione del suo saggio su Il disagio della civiltà. L’esistenza di questa tendenza all’aggressione e alla distruzione è una continua minaccia per la “società incivilita”, la quale dunque “deve far di tutto per porre limiti alle (suddette) pulsioni aggressive dell’uomo”. La civiltà, aggiunge Freud,

è un processo al servizio dell’Eros, che mira a raccogliere prima individui sporadici, poi famiglie, poi stirpi, popoli, nazioni, in una grande unità: il genere umano. Perché questo debba accadere non lo sappiamo, è appunto opera dell’Eros… Ma a questo programma della civiltà si oppone la naturale pulsione aggressiva dell’uomo… questa pulsione è figlia e massima rappresentante della pulsione di morte, che abbiamo trovato accanto all’Eros e ne condivide il dominio sul mondo. Ed ora, mi sembra, il significato dell’evoluzione civile non è più oscuro. Indica la lotta fra Eros e Morte, tra pulsione di vita e pulsione di distruzione, come si attua nella specie umana. Questa lotta è il contenuto essenziale della vita e perciò l’evoluzione civile può definirsi in breve come la lotta per la vita della specie umana.

La pulsione di morte, introiettata, rafforza il Super-Io

18)      Ma in definitiva, si chiede Freud, “che mezzi ha la civiltà per frenare la spinta aggressiva che le si oppone, per renderla innocua, magari per abolirla”? ed ecco la risposta:

L’aggressività viene introiettata, interiorizzata, propriamente viene rimandata donde è venuta, ossia è volta contro il proprio Io. Qui viene assunta da una parte dell’Io, che si contrappone come Super-io al rimanente, ed ora come coscienza morale è pronta a dimostrare contro l’Io la stessa inesorabile aggressività che l’Io avrebbe volentieri soddisfatto contro altri individui estranei. Chiamiamo senso di colpa la tensione tra il rigido Super-io e l’Io ad esso soggetto, tale senso si manifesta come bisogno di punizione. La civiltà domina dunque il pericoloso desiderio di aggressione dell’individuo infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare da una istanza al suo interno, come da una guarnigione nella città conquistata.

19)      Dunque l’aggressività interiorizzata comporta il rafforzamento del Super-Io che si mobilita contro l’Io e genera in lui il senso di colpa. Il Super-Io, abbiamo detto, è quella parte della psiche che si è formata a seguito di una sorta di introiezione della figura del padre, il quale, nell’interiorità dell’individuo, vigila e punisce, non solo i comportamenti ma anche i pensieri e i desideri. Il senso di colpa, che si manifesta come bisogno di punizione, nasce non perché si è commesso il male (in questo caso, il soddisfacimento della pulsione aggressiva), ma perché si è avuto il desiderio di compierlo. In questo senso, dice Freud, “non c’è differenza tra il fare e il volere il male, perché niente può rimanere nascosto dinanzi al Super-Io, neppure i pensieri”.

L’individuo è infelice e, in attesa della guerra, si sfoga con il tifo ultrà

20)      La civiltà dunque si protegge in questo modo dalla pericolosa pulsione di morte, ma l’individuo paga con il prezzo dell’infelicità, con un senso di colpa destinato a crescere, dice Freud, in misura sempre meno tollerabile. A sua volta, la pulsione di morte così interiorizzata non aspetta che l’occasione per scatenarsi verso l’esterno. Nel frattempo, aggiungo io, si sfoga con quel surrogato della guerra che è – particolarmente nel calcio, ma non solo – lo scontro violento fra tifosi di squadre opposte, cui assistiamo ogni settimana.

L’unica speranza è legata al rafforzamento di Eros

21)      L’unico spiraglio che Freud lascia aperto è legato all’altra pulsione, la pulsione sessuale, Eros, l’istinto di vita, che si contrappone a Thanatos, l’istinto di morte. L’energia psichica è una, anche se si distingue in libido (l’energia di Eros) e destrudo (l’energia di Thanatos). Le due pulsioni sono opposte ma operano in maniera complementare, il che vuol dire che se si favorisce, a livello sociale, uno sviluppo non repressivo della libido, necessariamente si riducono, o comunque si alterano le manifestazioni della destrudo. E’ questo il senso della speranza espressa nella già citata lettera ad Einstein:

Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione, l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra..

Quindi Freud cerca di spiegare che cosa intende per “legami emotivi fra gli uomini” e parla di “relazioni come con un soggetto amoroso, anche se prive di meta sessuale” e poi di “solidarietà significative fra gli uomini”. In altre parole dice che l’Eros può essere soddisfatto in attività e rapporti che non sono sessuali nel senso della sessualità genitale, e che pure sono libidici ed erotici.

22)      E questo sembra essere lo stesso senso della speranza con cui si concludeva Il disagio della civiltà:

Mi manca il coraggio di erigermi a profeta di fronte ai miei simili e accetto il rimprovero di non sapere portare loro nessuna consolazione… Il problema fondamentale del destino della specie umana a me sembra sia questo: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile degli uomini riuscirà a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva e autodistruttrice… Gli uomini adesso hanno esteso talmente il proprio potere sulle forze naturali che, giovandosi di esse, sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte della loro presente inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c’è da aspettarsi che l’altra delle due potenze celesti, l’Eros eterno, farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario altrettanto immortale.

La polemica anti-religiosa accomuna Freud e Lucrezio

23)      Che hanno a che fare con tutto ciò Lucrezio e la filosofia epicurea, di cui con la sua opera, il De rerum natura, il poeta voleva essere il divulgatore nel mondo romano? Ma prima di spiegare in che senso, secondo me, ci sono nel De rerum natura dei versi che corrispondono al pensiero di Freud sul rapporto fra amore e morte, consentitemi di mostrare come, pur nella diversità delle argomentazioni, ci sia un aspetto specifico che accomuna Lucrezio e Freud, ed è la dura polemica contro la religione.

L’avvenire di un’illusione: la religione come nevrosi universale

24)      A questa polemica Freud dedica un saggio, L’avvenire di un’illusione, del 1927. C’è una genesi psichica della religione, per cui la figura di Dio non è altro che una proiezione della figura del padre dell’infanzia, quel padre che era onnipotente e protettivo, ma anche capace di punire. Di fronte all’infelicità della vita persiste nell’adulto il bisogno di protezione e sicurezza, ed egli la trova in un Dio che vede e provvede, che premia o punisce, in questa vita o nell’altra. Così nel saggio in questione:

Quando l’individuo, crescendo, nota che è destinato a rimanere sempre un bambino che non potrà mai fare a meno della protezione contro le potenze superiori, egli conferisce a queste i tratti della figura patema, si crea gli dèi, che teme, che cerca di propiziarsi e a cui tuttavia affida la propria protezione. (Così il motivo del desiderio bramoso del padre è identico al bisogno di protezione contro le conseguenze dell’impotenza umana)…. Il governo amorevole della provvidenza divina placa l’angoscia di fronte ai pericoli della vita, (l’introduzione di un ordine morale universale assicura la soddisfazione del bisogno di giustizia, che nell’ambito della civiltà umana è rimasto così spesso insoddisfatto,) il prolungamento dell’esistenza terrena con una vita futura appronta la cornice spaziale e temporale in cui questi appagamenti si compiranno….

25)      La religione dunque, scrive Freud, non è altro che una forma di nevrosi su scala universale, una nevrosi da cui in prospettiva si può guarire, così come, “crescendo, molti bambini superano la loro analoga nevrosi”:   

La religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità; come quella del bambino, che derivò dal complesso di Edipo, dalla relazione col padre. In base a questa concezione, si può prevedere che l’allontanamento dalla religione avverrà con la fatale inesorabilità di un processo di crescita, e che noi proprio adesso ci troviamo in mezzo a questa fase di sviluppo…

E ancora:

Si impone nello psicologo l’idea che la religione è paragonabile a una nevrosi infantile, ed egli è abbastanza ottimista da credere che l’umanità supererà questa fase nevrotica così come, crescendo, molti bambini superano la loro analoga nevrosi.

Si guarisce affidandosi alla scienza

26)      E’ una nevrosi da cui si può guarire, affidandosi alla ragione e alla conoscenza scientifica della realtà:

Abbiamo sentito l’ammissione che la religione non ha più sugli uomini lo stesso influsso di prima (si tratta qui della civiltà europeo-cristiana)… La ragione di questa trasformazione è il rafforzamento dello spirito scientifico…. La critica ha intaccato la forza probatoria dei documenti religiosi, la scienza della natura ha mostrato gli errori in essi contenuti, la ricerca ha scorto la fatale somiglianza delle rappresentazioni religiose da noi venerate con le produzioni spirituali dei popoli e dei tempi primitivi…. Lo spirito scientifico produce un modo particolare di atteggiarsi nei confronti delle cose di questo mondo;… quanto maggiore è il numero degli uomini a cui divengono accessibili i tesori del nostro sapere, tanto più si diffonde il distacco dalla fede religiosa.

27)      Quindi, immaginando di rispondere ad un ipotetico interlocutore che sostiene il valore e l’importanza della religione e accusa invece la scienza di essere illusoria, in particolare quella dello psicologo, che pretende di spiegare il funzionamento della psiche, Freud così conclude:

Uno psicologo che non si illude su quanto sia difficile raccapezzarsi in questo mondo si sforzerà di giudicare lo sviluppo dell’umanità in base a quel po’ di discernimento acquisito nello studio dei processi psichici che avvengono nell’individuo durante il suo sviluppo dall’infanzia all’età adulta. …. Noi crediamo che sia possibile, col lavoro scientifico, apprendere sulla realtà del mondo qualcosa che ci permetterà di accrescere il nostro potere e indirizzare la nostra vita. Se questa credenza è un’illusione, allora siamo nella Sua stessa situazione (cioè, dell’interlocutore immaginario), ma la scienza ci ha fornito la prova, con numerosi e significativi successi, di non essere un’illusione. Essa ha molti aperti nemici e anche più nemici camuffati tra coloro che non riescono a perdonarle di aver svigorito la fede religiosa e di minacciare di abbatterla…. la nostra scienza non è un’illusione. Un’illusione sarebbe invece di credere che possiamo prendere da un’altra parte quello che essa non può darci.

Anche per Lucrezio si guarisce grazie alla naturae species ratioque

28)      Questo insistere sulla necessità della ricerca scientifica per liberare l’uomo dall’illusione religiosa, per guarirlo da quella nevrosi collettiva, non può non ricordare Lucrezio, il quale naturalmente non parla di nevrosi, ma ugualmente ritiene che la mente dell’uomo, ottenebrata e spaventata dalle credenze religiose, possa e debba essere liberata tramite la conoscenza scientifica. In latino l’espressione, usata più volte, è naturae species ratioque; è un’endiadi (en – dià – dioin, uno attraverso due, un concetto attraverso due parole) dove species – che ha la stessa radice di spectare, guardare, speculare, studiare – significa appunto “osservazione”, “studio” e ratio significa “ragione”, “razionalità”; dunque l’espressione naturae species ratioque si può tradurre come “osservazione razionale, o studio scientifico, della natura”.

29)      E’ lo stesso maestro, Epicuro, che ha insegnato che questa è la strada, lui che, “mentre la vita umana giaceva oppressa dal grave peso della religione, che incombeva dall’alto del cielo col suo orribile aspetto”, “per primo osò sollevare gli occhi contro la religione” (primum Graius homo mortalis tollere contra / est oculos ausus) e non lo spaventarono “la fama degli dei, né i fulmini, né il minaccioso brontolio del cielo” (neque fama deum, nec fulmina, nec minitanti / murmure compressit caelum) (I, vv. 62-69).

Noi come fanciulli, per Lucrezio come per Freud

30)      E infatti noi, scrive Lucrezio, siamo come fanciulli che al buio hanno paura immaginando minacce che non esistono; come loro noi, pur essendo alla luce, “temiamo cose che non sono più paurose di quelle che spaventano i fanciulli al buio” (III, vv. 97-90). Un paragone, questo, fra le paure dei fanciulli e quelle degli adulti, che non può non ricordare l’idea di Freud secondo cui con la religione si rinnova negli adulti il rapporto nevrotico avuto con il padre da fanciulli. E come Freud indicava nel “rafforzamento dello spirito scientifico” la terapia in grado di liberare dalla suddetta nevrosi, così scrive Lucrezio:

 

hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest

non radii solis nec lucida tela diei

discutiant, sed naturae species ratioque. (III, vv. 91-93)

 

“Questo terrore dell’animo, dunque, e queste tenebre occorre che siano dissipate non dai raggi del sole né dai lucenti dardi del giorno, ma dallo studio scientifico della natura

Empietà della religione: il sacrificio di Ifigenia e degli animali

31)      Per Lucrezio la religione è prima di tutto empia, in quanto in suo nome si compiono sacrifici umani; e qui, in un bellissimo passo, il poeta rievoca il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone, che venne immolata sull’altare perché gli dei favorissero il viaggio della flotta, che partiva alla volta di Troia; durissimo il verso con cui si conclude la narrazione della vicenda: Tantum religio potuit suadere malorum, a tanto male potè indurre la religione (I, vv. 84-101).

32)      Ma orribili sono anche i sacrifici degli animali, per i quali Lucrezio dimostra una sensibilità più unica che rara nella poesia dell’antichità: è indimenticabile il passo in cui è rappresentato il dolore inconsolabile della madre che cerca invano il vitello sgozzato davanti all’altare, “con lo sguardo cercando ovunque (omnia convisens oculis loca), se possa in un luogo scorgere il figlio perduto (si queat usquam conspicere amissum fetum), si ferma e riempie di tristi muggiti il bosco frondoso (completque querellis frondiferum nemus adsistens), e spesso ritorna alla stalla, trafitta dal desiderio del suo giovenco (et crebra revisit ad stabulum desiderio perfixa iuvenci)” (II, vv. 355-360).

Gli dei non si interessano di noi, non c’è provvidenza

33)      Ma c’è un argomento fondamentale per sostenere il carattere illusorio, fallace, della religione. Gli dei, dice Lucrezio, abitano negli spazi tra i mondi, nei cosiddetti intermundia, e vivono in condizioni di perfetta atarassia, ovvero di imperturbabilità, dunque non possono essere turbati dalle vicende umane, di cui non si interessano in alcun modo; il che equivale a dire che, per noi uomini, è come se non esistessero.

34)      Da questo consegue che non c’è una punizione divina per gli uomini, in questa o in un’altra vita, ma nemmeno c’è per il mondo umano una provvidenza benevola (quella prònoia in cui credevano invece gli stoici). Scrive Lucrezio: “Quand’anche ignorassi quali sono gli elementi costitutivi delle cose, per gli stessi fenomeni del cielo e in base a molti altri fatti oserei affermare che non c’è stato un intervento divino che ha creato a nostro vantaggio la natura del mondo: tanto grande è l’imperfezione che gli è connaturata” (tanta stat praedita culpa, letteralmente, fornita com’è la natura di così grande colpa) (II, vv. 177-181; V, vv. 195-199).

La natura matrigna e il lugubre vagito

35)      Segue un elenco dei mali del mondo che ci fanno pensare alla concezione leopardiana della natura matrigna, tanto che, conclude Lucrezio,  come un naufrago sbattuto sulla spiaggia dalle onde del mare, un bambino che nasce “giace nudo a terra, incapace di parlare, bisognoso di ogni aiuto per sopravvivere, e riempie il luogo di un lugubre vagito, come si addice a chi nella vita dovrà passare per tanti malanni (ut aecumst / cui tantum in vita restet transire malorum)” (V, vv. 222-227). Un lugubre vagito: notate l’ossimoro fra il vagito che è proprio del neonato e dunque richiama la nascita, e l’aggettivo lugubre, che invece è funereo e richiama la morte.

Eros: il sesso come bisogno e il piacere “in quiete”

36)      Veniamo ora alla questione del rapporto fra Eros (la pulsione sessuale, ovvero la pulsione di vita) e Thanatos (la pulsione aggressiva e distruttiva, ovvero la pulsione di morte).

37)      Quello che Lucrezio pensa dell’amore e della pulsione sessuale è coerente con la dottrina epicurea: la sessualità è una necessità, in quanto ha a che fare con la riproduzione della vita, ed è anche un bisogno naturale che va soddisfatto, come il mangiare, il bere, il dormire. Ciò che va assolutamente evitato è il coinvolgimento passionale, noi diremmo l’innamoramento, in quanto fonte di grande turbamento, di dolore e di angoscia. Per l’etica epicurea infatti ciò che ci si deve proporre è il piacere (hedoné in greco, voluptas in latino), ma il piacere di cui si parla è il cosiddetto piacere “catastematico”, ovvero statico, “in quiete”, definito come assenza del dolore (aponia) e mancanza di turbamento (atarassia)[2]; è un piacere che si distingue dal cosiddetto piacere “cinetico”, ovvero dinamico, che è il piacere dei dissoluti e di chi insegue onori e ricchezze, un piacere che genera inquietudine, turbamento, sofferenza. E tale è anche il piacere generato dall’amore passionale.

38)      Evito di riportare i versi in cui, in maniera crudamente realistica, è descritta la fisiologia dell’atto sessuale, sempre insistendo sulla necessità di soddisfare un bisogno e di evitare il coinvolgimento passionale. Per cui ecco la conclusione: “Non perde i frutti di Venere chi evita l’amore (nel senso dell’innamoramento), ma piuttosto coglie i piaceri che sono senza pena. Di certo il piacere per gli uomini assennati è più puro di quello degli infelici amanti” (IV, vv. 1073-1076).

Thanatos: non pulsione di morte, ma pensiero angosciante

39)       Quanto a Thanatos, la morte, è un motivo fondamentale nel poema di Lucrezio, ma non nel senso di una pulsione di morte come abbiamo visto in Freud, bensì nel senso di un pensiero angosciante, fonte di grande turbamento, in definitiva, madre di tutte le paure. E’ un’angoscia da cui ci si può e ci si deve liberare tramite la conoscenza scientifica della natura (la naturae species ratioque).

Cosa insegna la naturae species ratioque su morte o reincarnazione

40)      Tale conoscenza ci dice che tutta la realtà è costituita di atomi, i quali, aggregandosi fra loro, formano i corpi. Anche l’anima[3] è fatta di atomi, più leggeri e meno connessi di quelli del corpo. La morte non è altro che una disaggregazione di tali atomi, sia di quelli del corpo che di quelli dell’anima. E’ l’idea che l’anima persista, e con essa persistano la coscienza e la memoria, a generare angoscia, mentre invece con la disaggregazione degli atomi cessa ogni forma di coscienza e di sensibilità. Ci dà angoscia il vederci inumati sotto terra o cremati in un rogo, ma è perché proiettiamo la nostra coscienza e sensibilità laddove coscienza e sensibilità non esistono più.

41)      Con la morte non esiste più la nostra individualità cosciente, come non esisteva prima che nascessimo; e come nessuna sofferenza abbiamo patito prima della nascita, così nessuna sofferenza patiremo dopo la morte. E quand’anche in futuro gli atomi si ricomponessero allo stesso modo, ricostituendo la stessa individualità (è l’ipotesi della cosiddetta metempsicosi, ovvero della rinascita o reincarnazione), ebbene, nemmeno questo ci riguarderebbe, perché sarebbe sempre un altro io, senza alcuna memoria dell’io precedente.

Nel poema non c’è la pulsione di morte, ma sì l’orrore per la guerra

42)      Con tutto ciò, che c’entrano l’amore e la morte, Eros e Thanatos, nel senso in cui ne parlava Freud? Certo, se Eros inteso come pulsione sessuale può essere riconosciuto in quel bisogno naturale che deve essere soddisfatto di cui parla Lucrezio, lo stesso non può dirsi di Thanatos, inteso da Lucrezio non come una pulsione distruttiva ed autodistruttiva, ma – abbiamo visto – come un pensiero angosciante da cui bisogna liberarsi. Tuttavia anche nel poema di Lucrezio si può individuare una pulsione aggressiva che induce alla guerra, portatrice di morte.

43)      Quando parla di guerra Lucrezio parla della sua ferocia (fera moenera militiai, belli fera moenera, i feroci doveri di guerra) e inorridisce pensando che “un solo giorno (una dies) manda alla morte (dat exitio) molte migliaia di uomini schierati in battaglia (multa virum sub signis milia ducta)” (V, vv. 999-1000).

… e il riconoscimento di una pulsione aggressiva e distruttiva

44)      Ma Lucrezio dice anche un’altra cosa, davvero interessante, pensando a ciò che sin dall’antichità spinse gli uomini a perfezionare i propri armamenti: “Vollero fare questo non tanto per una speranza di vittoria (facere id non tam vincendi spe voluerunt), quanto per infliggere ai nemici motivi di pianto (quam dare quod gemerent hostes), e perché quegli stessi nemici perissero, in quanto inferiori di numero e meno armati” (V, vv. 1346-1349). E’ un passo a cui non viene dato, negli studi su Lucrezio, il rilievo che meriterebbe. Come non vedere in questi versi il riconoscimento da parte di Lucrezio dell’esistenza di una pulsione aggressiva e distruttiva? Qui si dice che per gli uomini la vittoria in battaglia è secondaria rispetto al piacere di far soffrire e uccidere i nemici. Si gode del pianto dei nemici e del fatto che possano essere uccisi in quanto “inferiori di numero e meno armati”. Ricordate le parole di Freud? “Non esiste in noi alcun ribrezzo istintivo per lo spargimento di sangue. Noi siamo i discendenti di una serie infinita di generazioni di assassini. La brama di uccidere l’abbiamo nel sangue

L’inno a Venere

45)        Ma una ancora più bella associazione, secondo me, con il pensiero di Freud, la troviamo se leggiamo l’introduzione al poema, il celeberrimo inno a Venere. Ma come, si sono chiesti molti lettori, il poeta che dice che gli dei sono estranei alla vicende umane (il che equivale, se ci pensate bene, a negarne l’esistenza), dedica un inno ad una dea, prega, come vedremo, per un suo intervento? Il problema si risolve se si pensa che Venere, in quanto dea dell’amore, del piacere (Lucrezio la chiama hominum divumque voluptas, piacere degli uomini e degli dei) e della fecondità, è assunta come simbolo della forza generatrice della natura; dunque in lei Lucrezio personifica quella forza, quell’istinto che spinge gli uomini e gli animali ad amare e a riprodursi. L’inno si apre infatti con una celebrazione della primavera, che è la stagione in cui la potenza di Venere, ovvero l’istinto ad amare e a riprodurre la vita, fa sentire maggiormente la sua forza. Leggo, in traduzione, i bellissimi versi della prima parte:

Venere che dai la vita (alma Venus),… poiché grazie a te ogni genere di esseri animati è concepito e vede, (una volta) nato, la luce del sole: te, dea, te fuggono i venti, te ed il tuo arrivo le nuvole del cielo, per te la terra industriosa fa crescere i fiori soavi, per te sorridono le distese marine, e, rasserenato, il cielo brilla di una luce diffusa. Infatti, non appena la bellezza del giorno primaverile si svela, ed il soffio fecondo del favonio, liberato, prende forza (il favonio è un vento primaverile, perciò chiamato genitabilis, fecondo, vivificatore, perché stimola ad amare e quindi a generare nuove vite) per prima cosa gli uccelli del cielo annunciano te e il tuo arrivo, o dea, colpiti in cuore dalla tua potenza. Quindi le bestie feroci e le greggi balzano qua e là per i pascoli rigogliosi ed attraversano i fiumi vorticosi: così (ciascuna bestia), presa dal (tuo) fascino, ti segue desiderosa ovunque tu voglia condurla. Infine per i mari ed i monti ed i fiumi impetuosi e per le frondose dimore degli uccelli ed i campi verdeggianti, ispirando a tutti nel cuore un soave sentimento d’ amore, fai sì che con desiderio propaghino le loro generazioni stirpe per stirpe.

La preghiera a Venere perché trattenga Marte

46)      Quindi il poeta chiede alla dea di sostenerlo in questa impresa di scrivere un poema sulla natura dedicato a Gaio Memmio, suo amico e protettore. Senonchè Memmio è impegnato in guerra (Lucrezio non lo dice e noi non sappiamo di quale guerra si tratti) e quindi non può ascoltare gli insegnamenti della filosofia epicurea. Bisogna che le armi tacciano, e a tal fine il poeta implora Venere (la dea dell’amore, portatrice di vita) perché col suo fascino, con la sua capacità di seduzione, trattenga Marte (il dio della guerra, dunque un’altra divinità, assunta come simbolo di distruzione e di morte, di cui la guerra è portatrice) e così facendo indebolisca la sua potenza e gli impedisca di scatenarsi sui campi di battaglia: in altre parole, perché l’amore vinca sulla morte:

Fa’ che i feroci impegni della guerra, per  mare e per  terra, spenti, si acquetino. Infatti tu sola puoi giovare ai mortali con una tranquilla pace, perché le feroci opere della guerra (le) governa Marte potente nelle armi, che spesso si abbandona sul tuo grembo…

47)      Marte “spesso si abbandona sul tuo grembo”. Segue un’immagine memorabile in cui Lucrezio descrive questo abbandono: il dio ha posato il suo capo sul grembo di Venere e, vinto dall’eterna ferita d’amore (aeterno devictus vulnere amoris), a bocca aperta (inhians), respirando supino il respiro della dea (eque tuo pendet resupini spiritus ore), fissa su di lei il suo sguardo bramoso (pascit amore avidos visus). E questo è il momento, per te, o Venere, di “abbracciare da sopra col tuo corpo santo lui sdraiato” (hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto circumfusa super) e chiedere e ottenere “una placida pace per i Romani” (I, vv. 33-40). 

Venere può debilitare Marte come Eros può debilitare Thanatos

48)      L’idea di Lucrezio, qui espressa, è che solo la forza dell’amore possa annullare, o almeno indebolire, la forza della guerra, della distruzione, della morte. Non mi pare difficile riconoscere in Venere e Marte le due potenze celesti di cui parla Freud: sono opposti, ma sono in stretta relazione fra loro (sono addirittura amanti nella immagine di Lucrezio) e, analogamente, come, per Lucrezio, solo Venere può frenare Marte, così Freud è convinto che solo Eros può bloccare la potenza distruttiva di Thanatos. Ricordiamo che cosa scriveva nella lettera a Einstein:

Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione, l’Eros.

49)       E ricordiamo il finale del saggio su Il disagio della civiltà in cui Freud, pur ribadendo il suo pessimismo della ragione circa il destino dell’umanità (Mi manca il coraggio – scriveva – di erigermi a profeta di fronte ai miei simili e accetto il rimprovero di non sapere portare loro nessuna consolazione), concludeva con parole di speranza:

E ora c’è (solo) da aspettarsi che l’altra delle due potenze celesti, l’Eros eterno, faccia uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario altrettanto immortale.

Allo stesso modo Lucrezio spera che la potenza di Venere annulli, o almeno indebolisca, la potenza di Marte.

 

 

 

 

 

 



[1] Chiarisco che Freud ha usato questo termine una sola volta, nell’opera L’Io e l’Es (1923); sono stati studiosi successivi ad usarlo per riferirsi appunto all’energia della pulsione di morte.

[2] E’ una concezione che ricorda il pensiero di Freud quando identifica il principio del piacere con il cosiddetto principio del Nirvana, che consiste nella tendenza a ridurre o eliminare ogni tensione prodotta da stimoli, interni o esterni (analogamente a ciò che il Nirvana indica nel buddismo, ovvero la cessazione del dolore in conseguenza dell’annullamento del desiderio).

[3] Lucrezio distingue fra animus (che è la parte razionale dell’uomo, la mente, e ha sede nel petto) e anima (che è il principio vitale ed è diffusa in tutto il corpo). Sono entrambi costituiti di atomi, quindi soggetti alla disaggregazione, ovvero alla morte.

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