venerdì 26 gennaio 2018

Lucrezio: la passione d'amore (la cura)

La cura: riconoscere i difetti della donna amata (la “galleria” delle donne brutte che appaiono belle agli occhi dell’innamorato)
(De rerum natura, IV, vv. 1149- 1184)
Per guarire dalla malattia della passione amorosa, l'innamorato, che è come cieco, deve aprire gli occhi e riconoscere che quelli che a lui sembrano pregi della donna amata sono invece difetti, fisici e di carattere. Ma se anche la donna fosse davvero bella, basterebbe sorprenderla in momenti privati per risvegliarsi dall'innamoramento e rinsavire.

Et tamen implicitus quoque possis inque peditus
effugere infestum, nisi tute tibi obvius obstes
et praetermittas animi vitia omnia primum
aut quae corporis sunt eius, quam praepetis ac vis.
nam faciunt homines plerumque cupidine caeci
et tribuunt ea quae non sunt his commoda vere.
multimodis igitur pravas turpisque videmus
esse in deliciis summoque in honore vigere.
atque alios alii inrident Veneremque suadent
ut placent, quoniam foedo adflictentur amore,
nec sua respiciunt miseri mala maxima saepe.
nigra melichrus est, inmunda et fetida acosmos,
caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas,
parvula, pumilio, chariton mia, tota merum sal,
magna atque inmanis cataplexis plenaque honoris.
balba loqui non quit, traulizi, muta pudens est;
at flagrans, odiosa, loquacula Lampadium fit.
ischnon eromenion tum fit, cum vivere non quit
prae macie; rhadine verost iam mortua tussi.
at nimia et mammosa Ceres est ipsa ab Iaccho,
simula Silena ac Saturast, labeosa philema.
cetera de genere hoc longum est si dicere coner.
sed tamen esto iam quantovis oris honore,
cui Veneris membris vis omnibus exoriatur;
nempe aliae quoque sunt; nempe hac sine viximus ante;
nempe eadem facit et scimus facere omnia turpi
et miseram taetris se suffit odoribus ipsa,
quam famulae longe fugitant furtimque cachinnant.
at lacrimans exclusus amator limina saepe
floribus et sertis operit postisque superbos
unguit amaracino et foribus miser oscula figit;
quem si iam ammissum venientem offenderit aura
una modo, causas abeundi quaerat honestas
et meditata diu cadat alte sumpta querella
stultitiaque ibi se damnet, tribuisse quod illi
plus videat quam mortali concedere par est.

Traduzione


 E tuttavia, anche avviluppato e inceppato, potresti sfuggire
all'insidia, se proprio tu non opponessi ostacoli a te stesso,
e non ti celassi in primo luogo tutti i difetti dell'animo
o quelli del corpo di colei che prediligi e desideri.
Questo infatti fanno per lo più gli uomini ciechi di passione,
e attribuiscono alle amate pregi ch'esse non posseggono davvero.
Così vediamo che donne in molti modi deformi e laide
sono adorate e godono del più alto onore.
E poi s'irridono a vicenda, e l'uno invita l'altro a placare
Venere, perché lo affligge un brutto amore, e spesso
non scorge, l'infelice, i propri mali, che sono i più grandi.
La nera "ha il colore del miele", la sudicia e fetida è "disadorna",
se ha occhi verdastri è "l'immagine di Pallade", se è nervosa e secca è "una gazzella",
la piccoletta, la nanerottola, è "una delle Grazie", è "tutta puro sale",
la corpulenta e smisurata è "un prodigio" ed è "piena di maestà".
La balbuziente, che non può parlare, "cinguetta", la muta è "pudica";
e l'irruente, odiosa, linguacciuta è "tutta fuoco".
Diventa "un sottile amorino", quando non può vivere
per la consunzione; se poi è già morta di tosse, è "delicata".
E la turgida e popputa è "Cerere stessa dopo aver partorito Bacco",
la camusa è "una Silena" e "una Satira", la labbrona è "un bacio".
Troppo mi dilungherei, se tentassi di dire tutte le altre cose
di questa specie. Ma tuttavia sia pure bella in volto quanto vuoi,
sia tale che da tutte le sue membra promani il potere di Venere:
certo ce ne sono anche altre; certo senza di lei siamo vissuti per l'addietro,
certo ella fa in tutto, e noi sappiamo che le fa, le stesse cose
che fa la brutta, e da sé stessa, misera, s'appesta di odori nauseanti:
fuggono allora le ancelle lontano da lei e furtivamente sghignazzano.
Ma l'amante escluso, piangendo, spesso copre di fiori
e ghirlande la soglia, e profuma di maggiorana
la porta superba, e addolorato imprime baci sui battenti;
ma se, alfine ricevuto, lo investisse nell'entrare una sola
di quelle esalazioni, cercherebbe speciosi pretesti per andar via,
e cadrebbe il lamento, a lungo meditato, ripreso da lontano,
e in quel punto egli si taccerebbe di stoltezza, perché vedrebbe
d'avere attribuito a lei più di quanto conviene concedere a una mortale.



Lucrezio: la passione d'amore (2)

L’insensatezza della passione d’amore, dal punto di vista della convenienza sociale e della salute mentale
(De rerum natura, IV, vv. 1121-1148)
L'innamorato, per compiacere l'amata, non solo dilapida il patrimonio in feste e costosi regali, ma anche si rende ridicolo, screditando così il proprio buon nome. Inoltre non è mai tranquillo perché è roso dalla gelosia che gli fa vedere in ogni atto dell'amata una minaccia di tradimento.

Adde quod absumunt viris pereuntque labore,
adde quod alterius sub nutu degitur aetas,
languent officia atque aegrotat fama vacillans.
labitur interea res et Babylonia fiunt
unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident,
scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi
auro includuntur teriturque thalassina vestis
adsidue et Veneris sudorem exercita potat.
et bene parta patrum fiunt anademata, mitrae,
inter dum in pallam atque Alidensia Ciaque vertunt.
eximia veste et victu convivia, ludi,
pocula crebra, unguenta, coronae, serta parantur,
ne quiquam, quoniam medio de fonte leporum
surgit amari aliquid, quod in ipsis floribus angat,
aut cum conscius ipse animus se forte remordet
desidiose agere aetatem lustrisque perire,
aut quod in ambiguo verbum iaculata reliquit,
quod cupido adfixum cordi vivescit ut ignis,
aut nimium iactare oculos aliumve tueri
quod putat in voltuque videt vestigia risus.
Atque in amore mala haec proprio summeque secundo
inveniuntur; in adverso vero atque inopi sunt,
prendere quae possis oculorum lumine operto.
innumerabilia; ut melius vigilare sit ante,
qua docui ratione, cavereque, ne inliciaris.
nam vitare, plagas in amoris ne iaciamur,
non ita difficile est quam captum retibus ipsis
exire et validos Veneris perrumpere nodos.

Traduzione

 Aggiungi che sciupano le forze e si struggono nel travaglio;
aggiungi che si trascorre la vita al cenno di un'altra persona.
Son trascurati i doveri, e ne soffre il buon nome e vacilla.
Frattanto il patrimonio si dilegua, e si converte in profumi
babilonesi, e bei sandali di Sicione ai piedi ridono,
s'intende, e grandi smeraldi con la verde luce
sono incastonati nell'oro, e la veste color di mare è consunta
assiduamente, e maltrattata beve il sudore di Venere;
e i beni ben guadagnati dai padri diventano bende, diademi,
talora si cangiano in un mantello femminile e in tessuti di Alinda e di Ceo.
S'apparecchiano conviti con splendide tovaglie e vivande,
giochi, coppe senza risparmio, unguenti, corone, serti,
ma invano, perché di mezzo alla fonte delle delizie
sorge qualcosa di amaro che pur tra i fiori angoscia,
o quando per caso l'animo conscio s'angustia per il rimorso
d'una vita trascorsa nell'inerzia e perduta nelle orge,
o perché lei ha lanciato, lasciandone in dubbio il senso, una parola,
che confitta nel cuore appassionato divampa come fuoco,
o perché gli sembra che troppo lei occhieggi o che il suo sguardo
sia attratto da un altro, e nel suo volto vede le tracce d'un sorriso.
E questi mali si trovano in un amore che dura ed è felice
al più alto grado; ma, se è infelice e senza speranza, ci sono
mali che puoi cogliere anche ad occhi chiusi,
innumerevoli; sì che è meglio stare prima all'erta,
come ho insegnato, e guardarsi dall'essere adescati.
Difatti evitare di cadere nei lacci d'amore
non è così difficile come districarsi, una volta presi
in mezzo alle reti, e forzare i possenti nodi di Venere.

Lucrezio: la passione d'amore (1)

L’insensatezza della passione d’amore, dal punto di vista dell'atto fisico
(De rerum natura, IV, vv.1058-1120)
L'amore è accettato come soddisfazione di un bisogno naturale (quello sessuale), ma è rifiutato come passione: allora, lo stesso atto fisico è visto, nella sua furia, come un vano tentativo, da parte dell'amante, di appropiarsi del corpo dell'amata. Un vano tentativo perché, per quanto si rinnovi, non può mai essere soddisfatto. E dunque l'amante è paragonabile a colui che, avendo sete mentre dorme, sogna di trovarsi in mezzo a un fiume e di bere a volontà, ma naturalmente la sua sete non si estingue.

Haec Venus est nobis; hinc autemst nomen Amoris,
hinc illaec primum Veneris dulcedinis in cor
stillavit gutta et successit frigida cura;
nam si abest quod ames, praesto simulacra tamen sunt
illius et nomen dulce obversatur ad auris.
sed fugitare decet simulacra et pabula amoris
absterrere sibi atque alio convertere mentem
et iacere umorem coniectum in corpora quaeque
nec retinere semel conversum unius amore
et servare sibi curam certumque dolorem;
ulcus enim vivescit et inveterascit alendo
inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit,
si non prima novis conturbes volnera plagis
volgivagaque vagus Venere ante recentia cures
aut alio possis animi traducere motus.
Nec Veneris fructu caret is qui vitat amorem,
sed potius quae sunt sine poena commoda sumit;
nam certe purast sanis magis inde voluptas
quam miseris; etenim potiundi tempore in ipso
fluctuat incertis erroribus ardor amantum
nec constat quid primum oculis manibusque fruantur.
quod petiere, premunt arte faciuntque dolorem
corporis et dentes inlidunt saepe labellis
osculaque adfigunt, quia non est pura voluptas
et stimuli subsunt, qui instigant laedere id ipsum,
quod cumque est, rabies unde illaec germina surgunt.
sed leviter poenas frangit Venus inter amorem
blandaque refrenat morsus admixta voluptas.
namque in eo spes est, unde est ardoris origo,
restingui quoque posse ab eodem corpore flammam.
quod fieri contra totum natura repugnat;
unaque res haec est, cuius quam plurima habemus,
tam magis ardescit dira cuppedine pectus.
nam cibus atque umor membris adsumitur intus;
quae quoniam certas possunt obsidere partis,
hoc facile expletur laticum frugumque cupido.
ex hominis vero facie pulchroque colore
nil datur in corpus praeter simulacra fruendum
tenvia; quae vento spes raptast saepe misella.
ut bibere in somnis sitiens quom quaerit et umor
non datur, ardorem qui membris stinguere possit,
sed laticum simulacra petit frustraque laborat
in medioque sitit torrenti flumine potans,
sic in amore Venus simulacris ludit amantis,
nec satiare queunt spectando corpora coram
nec manibus quicquam teneris abradere membris
possunt errantes incerti corpore toto.
denique cum membris conlatis flore fruuntur
aetatis, iam cum praesagit gaudia corpus
atque in eost Venus ut muliebria conserat arva,
adfigunt avide corpus iunguntque salivas
oris et inspirant pressantes dentibus ora,
ne quiquam, quoniam nihil inde abradere possunt
nec penetrare et abire in corpus corpore toto;
nam facere inter dum velle et certare videntur.
usque adeo cupide in Veneris compagibus haerent,
membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt.
tandem ubi se erupit nervis coniecta cupido,
parva fit ardoris violenti pausa parumper.
inde redit rabies eadem et furor ille revisit,
cum sibi quod cupiant ipsi contingere quaerunt,
nec reperire malum id possunt quae machina vincat.
usque adeo incerti tabescunt volnere caeco.

Traduzione

Questa è Venere per noi; e di qui viene il nome di amore,
di qui quella goccia della dolcezza di Venere stillò
prima nel cuore, e le susseguì il gelido affanno.
Infatti, se è assente l'oggetto del tuo amore, son tuttavia presenti
le sue immagini, e il dolce nome non abbandona le tue orecchie.
Ma conviene fuggire quelle immagini e respingere via da sé
ciò che alimenta l'amore e volgere la mente ad altro oggetto
e spandere in altri corpi, quali che siano, l'umore raccolto,
e non trattenerlo essendo rivolto una volta per sempre all'amore
d'una persona sola, e così riservare a sé stesso affanno e sicuro dolore.
Giacché la piaga s'inacerbisce e incancrenisce, a nutrirla,
e di giorno in giorno la follia aumenta e la sofferenza s'aggrava,
se non scacci con nuove piaghe le prime ferite, e non le curi
vagando con Venere vagabonda mentre sono ancora fresche,
o trovi modo di rivolgere altrove i moti dell'animo.
Né dei frutti di Venere è privo colui che evita l'amore,
ma piuttosto coglie le gioie che sono senza pena.
Giacché certo agli assennati ne viene un piacere più puro
che ai malati d'amore. Infatti nel momento stesso del possedere
fluttua ed erra incerto l'ardore degli amanti, né sanno
che cosa debbano prima godere con gli occhi e le mani.
Quel che hanno desiderato, lo premono strettamente, e fanno
male al corpo, e spesso infiggono i denti nelle labbra,
e urtano bocca con bocca nei baci, perché non è puro il piacere
e assilli occulti li stimolano a ferire l'oggetto stesso,
quale che sia, da cui sorgono quei germi di furore.
Ma lievemente attenua le pene Venere nell'atto di amore
e il carezzevole piacere, commisto, raffrena i morsi.
Giacché in ciò è la speranza: che dallo stesso corpo
da cui è nato l'ardore, possa anche essere estinta la fiamma.
Ma la natura oppone che ciò avviene tutto al contrario;
e questa è l'unica cosa per cui, quanto più ne possediamo,
tanto più il petto riarde d'una crudele brama.
Difatti cibo e bevanda sono assorbiti dentro le membra;
e poiché possono occupare determinate parti,
perciò la sete e la fame si saziano facilmente.
Ma di una faccia umana e di un bel colorito nulla, di cui
si possa godere, penetra nel corpo, tranne tenui simulacri,
che spesso trascinano la mente con una misera speranza.
Come quando in sogno un assetato cerca di bere e non gli è data
bevanda che nelle membra possa estinguere l'arsura,
ma a simulacri di acque aspira e invano si travaglia
e in mezzo a un fiume impetuoso bevendo patisce la sete,
così in amore Venere con simulacri illude gli amanti,
né possono saziare i propri corpi contemplando corpi pur vicini,
né sono in grado di strappar via qualcosa dalle tenere membra
con le mani errando incerti su per tutto il corpo.
E quando, alfine, congiunte le membra, si godono il fiore
di giovinezza, quando il corpo già presagisce il piacere,
e Venere è sul punto di effondere il seme nel femmineo campo,
s'avvinghiano avidamente al corpo e mischiano le salive
bocca a bocca, e ansano, premendo coi denti le labbra;
ma invano; perché non possono strapparne nulla,
né penetrare e perdersi nell'altro corpo con tutto il corpo;
infatti sembra talora che vogliano farlo e che per questo lottino:
tanto ardentemente si tengono avvinti nelle strette di Venere,
finché le membra si sciolgono, sfinite dalla forza del piacere.
Infine, quando il desiderio costretto nei nervi ha trovato sfogo,
segue una piccola pausa dell'ardore violento, per poco.
Quindi torna la stessa rabbia, e di nuovo li invade quel furore,
quando essi stessi non sanno ciò che bramano ottenere,
né sono in grado di trovare che mezzo possa vincere quel male:
in tanta incertezza si consumano per una piaga nascosta.