RINASCIMENTO e "kalòkagathìa" (testi)

dal Libro del Cortegiano di B. Castiglione (1518-1528)
 
(parla il Conte, Ludovico di Canossa) «Come la pecchia ne' verdi prati sempre tra l'erbe va carpendo i fiori, così il nostro cortegiano averà da rubare questa grazia da que' che a lui parerà che la tenghino e da ciascun quella parte che più sarà laudevole; e non far come un amico nostro, che voi tutti conoscete, che si pensava esser molto simile al re Ferrando minore d'Aragona, né in altro avea posto cura d'imitarlo, che nel spesso alzare il capo, torzendo una parte della bocca, il qual costume il re avea contratto così da infirmità. E di questi molti si ritrovano, che pensan far assai, pur che sian simili ad un grand'omo in qualche cosa; e spesso si appigliano a quella che in colui è sola viciosa. Ma avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli che dalle stelle l'hanno, trovo una regula universalissima, la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano più che alcuna altra, e ciò è fuggir quanto più si , e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia; perché delle cose rare e ben fatte ognun sa la difficultà, onde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per lo contrario il sforzare e, come si dice, tirar per i capegli dà somma disgrazia e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia. Però si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l'omo poco estimato. E ricordomi io già aver letto esser stati alcuni antichi oratori eccellentissimi, i quali tra le altre loro industrie sforzavansi di far credere ad ognuno sé non aver notizia alcuna di lettere; e dissimulando il sapere mostravan le loro orazioni esser fatte simplicissimamente, e più tosto secondo che loro porgea la natura e la verità, che 'l studio e l'arte; la qual se fosse stata conosciuta, arìa dato dubbio negli animi del populo di non dover esser da quella ingannati. Vedete adunque come il mostrar l'arte ed un così intento studio levi la grazia d'ogni cosa. Qual di voi è che non rida quando il nostro messer Pierpaulo danza alla foggia sua, con que' saltetti e gambe stirate in punta di piede, senza mover la testa, come se tutto fosse un legno, con tanta attenzione, che di certo pare che vada numerando i passi? Qual occhio è così cieco, che non vegga in questo la disgrazia della affettazione? e la grazia in molti omini e donne che sono qui presenti, di quella sprezzata desinvoltura (ché nei movimenti del corpo molti così la chiamano), con un parlar o ridere o adattarsi, mostrando non estimar e pensar più ad ogni altra cosa che a quello, per far credere a chi vede quasi di non saper né poter errare?»
Quivi non aspettando, messer Bernardo Bibiena disse: «Eccovi che messer Roberto nostro ha pur trovato chi laudarà la foggia del suo danzare, poiché tutti voi altri pare che non ne facciate caso; ché se questa eccellenzia consiste nella sprezzatura e mostrar di non estimare e pensar più ad ogni altra cosa che a quello che si fa, messer Roberto nel danzare non ha pari al mondo; ché per mostrar ben di non pensarvi si lascia cader la robba spesso dalle spalle e le pantoffole de' piedi, e senza raccôrre né l'uno né l'altro, tuttavia danza.» Rispose allor il Conte: «Poiché voi volete pur ch'io dica, dirò ancor dei vicii nostri. Non v'accorgete che questo, che voi in messer Roberto chiamate sprezzatura, è vera affettazione? perché chiaramente si conosce che esso si sforza con ogni studio mostrar di non pensarvi, e questo è il pensarvi troppo; e perché passa certi termini di mediocrità, quella sprezzatura è affettata e sta male; ed è una cosa che a punto riesce al contrario del suo presuposito, cioè di nasconder l'arte. Però non estimo io che minor vicio della affettazione sia nella sprezzatura, la quale in sé è laudevole, lasciarsi cadere i panni da dosso, che nella attillatura, che pur medesimamente da sé è laudevole, il portar il capo così fermo per paura di non guastarsi la zazzera, o tener nel fondo della berretta il specchio e 'l pettine nella manica, ed aver sempre drieto il paggio per le strade con la sponga e la scopetta; perché questa così fatta attillatura e sprezzatura tendono troppo allo estremo; il che sempre è vicioso, e contrario a quella pura ed amabile simplicità che è tanto grata agli animi umani. Vedete come un cavalier  sia di mala grazia, quando si sforza d'andare così stirato in su la sella e, come noi sogliam dire, alla veneziana, a comparazion d'un altro, che paia che non vi pensi e stia a cavallo così disciolto e sicuro come se fosse a piedi…. Il medesimo accade in ogni esercizio, anzi in ogni cosa che al mondo fare o dir si possa.»
                                                                                     
dal dialogo Delle bellezze delle donne di A. Firenzuola (1541)
 
(parla Celso)…la bellezza e le donne belle, e le donne belle e la bellezza, meritano d’essere comendate e tenute carissime da ognuno, perciocché la donna bella è il più bello obietto che si rimiri, e la bellezza è il maggior dono che facesse Iddio all’umana creatura; conciossiaché per la di lei virtù noi ne indirizziamo l’animo alla contemplazione, e per la contemplazione al desiderio delle cose del cielo. Onde ella è per saggio e per arra stata mandata tra noi; ed è di tanta forza e di tanto valore, ch’ella è stata posta da’ savi per la prima e più eccellente cosa che sia tra i subiteti amabili, anzi l’hanno chiamata la siede stessa, il nido e l’albergo d’amore; d’amore dico, origine e fonte di tutti i comodi umani….
… Il platonico Ficino… dice che la bellezza è una certa grazia, la quale nasce dalla concinnità di più membri: e dice concinnità, perciocché quel vocabolo importa un certo ordine, dolce e pieno di garbo, e quasi vuol dire uno attillato aggregamento… Diciamo che la bellezza non è altro che una ordinata concordia, e quasi un’armonia occultamente risultante dalla composizione, unione e commissione di più membri diversi… Dico concordia, e quasi armonia, come per similitudine: perciocché come la concordia fatta dall’arte della musica, dell’acuto e del grave e degli altri diversi suoni, genera la bellezza dell’armonia vocale; così un membro grosso, un sottile, un bianco, un nero, un retto, un circonflesso, un picciolo, un grande, composti e uniti insieme dalla natura, con una incomprensibil proporzione, fanno quella grata unione, quel decoro, quella temperanza che noi chiamiamo bellezza.
…. La fronte ha da essere spaziosa, cioè larga, alta, candida e serena: l’altezza (che s’intende dal principio della discriminatura insino a’ confini delle ciglia e del naso; - e voglion molti che questa sia la terza parte del viso, facendo l’altra sino al labbro di sopra della bocca, e la terza il restante insino a tutto il mento), l’altezza adunque ha da essere tanta, quanta è la metà della sua larghezza, e però deve essere due volte tanto larga quanto è alta… Deve essere il tratto della fronte non piano piano, ma declinante in guisa che fa l’arco verso la cocca, e tanto dolcemente che a fatica si paia; e dalla volta delle tempie vuol poi scendere con maggior tratto. Chiamanla i nostri poeti serena, e meritamente; perciocché com’è il cielo sereno, quando e’ non vi si vede nebbia o macchia veruna, così la fronte quando è chiara, aperta, senza crespe, senza panni, senza liscio, e quieta e tranquilla, si può meritamente addomandare serena; e perciocché come il cielo, se avvien che sia sereno, genera una certa contentezza nello animo di chi lo mira, così la fronte, che noi chiamiam serena, per via dell’occhio contenta l’animo di coloro che la riguardano.
da Gli Asolani di P. Bembo (1505)
 
3. VI (parla Lavinello)… Perciò che è verissima openione, a noi dalle più approvate scuole de gli antichi diffinitori lasciata, nulla altro essere il buono amore che di bellezza disio. La qual bellezza (…) non è altro che una grazia che di proporzione e di convenenza nasce e d'armonia nelle cose, la quale quanto è più perfetta ne' suoi suggetti, tanto più amabili essere ce gli fa e più vaghi, e è accidente ne gli uomini non meno dell'animo che del corpo. Perciò che sì come è bello quel corpo, le cui membra tengono proporzione tra loro, così è bello quello animo, le cui virtù fanno tra sé armonia; e tanto più sono di bellezza partecipi e l'uno e l'altro, quanto in loro è quella grazia, che io dico, delle loro parti e della loro convenenza, più compiuta e più piena. È adunque il buono amore disiderio di bellezza tale, quale tu vedi, e d'animo parimente e di corpo, e a lei, sì come a suo vero obbietto, batte e stende le sue ali per andare. Al qual volo egli due finestre ha: l'una, che a quella dell'animo lo manda, e questa è l'udire; l'altra, che a quella del corpo lo porta, e questa è il vedere. Perciò che sì come per le forme, che a gli occhi si manifestano, quanta è la bellezza del corpo conosciamo, così con le voci, che gli orecchi ricevono, quanta quella dell'animo sia comprendiamo. Né ad altro fine ci fu il parlare dalla natura dato, che perché esso fosse tra noi de' nostri animi segno e dimostramento. Ma perciò che il passare a' loro obbietti per queste vie la fortuna e il caso sovente a' nostri disiderii tôr possono, da loro, sì come spesso aviene, lontanandoci, ché, come tu dicesti, a cosa, che presente non ci sia, l'occhio né l'orecchio non si stende, quella medesima natura, che i due sentimenti dati n'avea, ci diede parimente il pensiero, col quale potessimo al godimento delle une bellezze e delle altre, quandunque a noi piacesse, pervenire. Con ciò sia cosa che, sì come ci ragionasti tu hieri lungamente, e le bellezze del corpo e quelle dell'animo ci si rappresentano col pensarvi, e pìgliassene, ogni volta che a noi medesimi piace, senza alcuno ostacolo godimento. Ora, sì come alle bellezze dell'animo aggiugnere né fiutando, né toccando, né gustando non si può, così non si può né più né meno eziandio a quelle del corpo, perciò che questi sentimenti tra le siepi di più materiali obbietti si rinchiudono, che non fanno quegli altri. Che perché tu fiutassi di questi fiori o la mano stendessi tra quest'erbe o gustassine, bene potresti tu sentire quale di loro è odorante, quale fiatoso, quale amaro, quale dolce, quale aspero, quale morbido, ma che bellezza sia la loro, se tu non gli mirassi altresì, mica non potresti tu conoscere, più di quello che potesse conoscere un cieco la bellezza d'una dipinta imagine, che davanti recata gli fosse. Per che se il buono amore, come io dissi, è di bellezza disio, e se alla bellezza altro di noi e delle nostre sentimenta non ci scorge che l'occhio e l'orecchio e il pensiero, tutto quello che è da gli amanti con gli altri sentimenti cercato, fuori di ciò che per sostegno della vita si procaccia, non è buono amore, ma è malvagio; e tu in questa parte amatore di bellezza non sarai, o Gismondo, ma di sozze cose…

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