MARZIALE (testi)

Alcuni epigrammi 

CONTRO LA CENSURA (I, 4)
Se per caso ti imbatterai, Cesare, nei miei libretti, deponi il cipiglio dominatore del mondo. I vostri trionfi sono soliti tollerare gli scherzi e un generale non si vergogna di essere materia di facezie. Ti prego di leggere i miei versi col volto benigno con cui guardi Timele e il faceto Latino (1). La censura può permettere questi giochi innocenti: la mia pagina è lasciva, ma la mia vita è pura.
 
CONTRO LA LETTERATURA “ALTA”
(IV, 49)
Credimi, Flacco, non sa che cosa sia un epigramma chi lo definisce un trastullo, un passatempo. Si trastulla chi descrive il pranzo del feroce Tereo o la tua cena, fegatoso Tieste,(2) oppure Dedalo che attacca al figlio le ali facili a liquefarsi o Polifemo che pascola le pecorelle siciliane. E’ lontana dai miei libretti ogni vescica, e la mia musa non si gonfia di stravaganti addobbi. “Però tutti lodano, ammirano, idolatrano quella poesia”, Certamente: adorano quella, ma leggono questa.
 
CONTRO LA LETTERATURA “ALTA”
(X, 4)
Che piacere ti danno i vani ludibri di un miserabile foglio di carta? Leggi piuttosto ciò di cui la vita può dire: “E’ cosa mia”. Qui non troverai Centauri, non Gorgoni, non Arpie: la mia pagina sa di uomo.
 
LO SPASIMANTE DI MARONILLA (I, 10)
Gemello vuol sposare Maronilla,
la brama e la corteggia assiduamente,
la prega e le fa doni.
«Ma è veramente così bella?»
«Macché! non v'è nulla di più brutto.»
«Cos'ha dunque che piace e attira tanto?»
«Tossisce» (3)
 
A UN INVERTITO DAL SEVERO ASPETTO (I, 24)
Tu vedi, o Deciano, quell'uomo
dai capelli arruffati (4)
e del quale temi tu stesso il sopracciglio severo
e che sempre nomina i Curii
e i Camilli difensori della libertà?
L'aspetto austero di lui non t'inganni:
è andato sposa ieri.

A UN PLAGIARO (I 29)
Sento dire di te, Fidentino,
che recitando vai i versi miei,
spacciandoli per tuoi,
dinanzi a un uditorio numeroso.
Se permetti che siano detti miei,
gratis io ti manderò gli epigrammi;
se brami invece che siano detti tuoi,
comprali: così miei non lo saranno più.
 
DA PENELOPE AD ELENA (I, 62)
Casta com’era una sabina antica,
più austera dello stesso arcigno sposo,
Lavina, mentre corre ora al Lucrino,
ora al lago d’Averno e dentro le acque
di Baia (5) si ristora, prende fuoco:
pianta in asso il marito e segue un giovane:
Penelope arrivò, riparte Elena.
 
UNA COSA IN COMUNE (III 26)
Terre hai da solo, Candido, denari
hai da solo, da solo vasi d’oro,
vasi di murra (6) da solo, da solo
Massico, vecchio Cecubo (7) da solo,
cuore hai da solo, da solo  cervello.
Tutto hai da solo, è vero, ma la moglie
ce l’hai in comune, Candido, con tutti.
 
EFFETTI DI UNA VISITA MEDICA (V 9)
Non stavo bene: subito,
Simmaco, accompagnato
dai cento tuoi discepoli,
da me con grande pompa sei arrivato.
Cento mani, dal gelido
borea ghiacciate, allora
m’hanno palpato: l’esito?
Prima ero senza febbre; ora ce l’ho.
 
DENTI BIANCHI E DENTI NERI (V, 43)
Taide ha i denti neri, Lecania li ha bianchi
come la neve. Qual è la ragione?
Questa li ha finti, quella veri.
 
LA CLAQUE (VI 48)
Se una turba togata di clienti,
Pomponio, ti magnifica ed acclama,
non tu, le cene tue sono eloquenti.
 
L’AFFARISTA (VIII, 10)
Basso ha comperato per diecimila sesterzi
un mantello di porpora di Tiro
della tinta più bella che ci sia.
Ha fatto davvero un bell’affare!
- A così poco prezzo l'ha pagato?
- Macché! A credito l'ha preso, né mai lo pagherà.
 
LE COMPAGNE DI FABULLA (VIII, 79)
Tutte vecchiotte sono le tue amiche
o brutte o più brutte delle vecchie.
Son queste le compagne che tu ti tiri dietro
nei conviti, pei portici, al teatro.
Solo così, Fabulla, tu sei bella,
solo così giovane tu appari.
 
LA “VEDOVA NERA” (IX, 15)
Sulle tombe dei sette suoi mariti
la scellerata Cloe questa lapide pose:
«E’ opera mia.» (8)
Si può esser più schietti di così?
 
AUGURIO (XI, 67)
Nulla mi dai da vivo:
dici che dopo morto mi darai.
Se non sei un po’ tardivo,
Marone, ciò che t’auguro lo sai.
______________
 
NOTE
(1) Si tratta di una danzatrice (Timele) e di un mimo (Latino)
(2) Sono, come i seguenti, personaggi della mitologia. Sia a Tereo che a Tieste erano state date in pasto le carni dei propri figli.
(3) Si allude al fatto che è malata, quindi presto morirà e lo spasimante erediterà.
(4) I capelli trascurati sono simbolo dell’antica virtus romana, quindi anche di virilità.
(5) Luoghi della Campania: il Lucrino e l’Averno sono laghi e Baia è una città termale.
(6) La murra è un minerale di pregio.
(7) Il Massico e il Cecubo sono vini pregiati.
(8) L’equivoco nasce dal fatto che nel monumento funerario si usava indicare da quale familiare era stato fatto costruire.
I, 4
Contigeris nostros, Caesar, si forte libellos,
terrarum hominum pone supercilium.
Consuevere iocos vestri quoque ferre triumphi,
materiam dictis nec pudet esse ducem.
Qua Thymelen spectas derisoremque Latinum,
illa fronte precor carmina nostra legas.
Innocuos censum potest permittere lusus:
lasciva est nobis pagina, vita proba.
 
IV, 49
Nescit, crede mihi, quid sint epigrammata, Flacce,
qui tantum lusus illa iocosque vocat.
Ille magis ludit qui scribit prandia saevi
Tereos aut cenam, crude Thyesta, tuam,
aut puero liquidas aptantem Daedalon alas
pascentem Siculas aut Polyphemon ovis.
A nostris procul est omnis vesica libellis
Musa nec insano syrmate nostra tumet.
"Illa tamen laudant omnes, mirantur, adorant".
Confiteor: laudant illa sed ista legunt.
 
X, 4 (vv. 7-10)
Quid te vana iuvant miserae ludibria chartae?
Hoc lege, quod possit dicere vita "Meum est".
Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyiasque
invenies: hominem pagina nostra sapit.
 
I, 10
Petit Gemellus nuptias Maronillae
et cupit et instat et precatur et donat.
Adeone pulchra est? Immo foedius nil est.
Quid ergo in illa petitur et placet? Tussit.
 
 
 
 
I, 24
Aspicis incomptis illum, Deciane, capillis,
Cuius et ipse times triste supercilium,
Qui loquitur Curios adsertoresque Camillos?
Nolito fronti credere: nupsit heri.
 
 
 
 
I, 29
Fama refert nostros te, Fidentine, libellos
Non aliter populo quam recitare tuos.
Si mea vis dici, gratis tibi carmina mittam:
Si dici tua vis, hoc eme, ne mea sint.
 
 
 
 
 
I, 62
Casta nec antiquis cedens Laevina Sabinis
Et quamvis tetrico tristior ipsa viro
Dum modo Lucrino, modo se permittit Averno,
et dum Baianis saepe fovetur aquis,
incidit in flammas; iuvenemque secura relicto
coniuge Penelope venit, abit Helene.
 
III, 26
Praedia solus habes et solus, Candide, nummos,
aurea solus habes, murrina solus habes,
Massica solus habes et Opimi Caecuba solus,
et cor solus habes, solus et ingenium.
Omnia solus habes - hoc me puta velle negare! -
uxorem sed habes, Candide, cum populo.
 
 
V, 9
Languebam: sed tu comitatus protinus ad me
venisti centum, Symmache, discipulis.
Centum me tetigere manus aquilone gelatae:
non habui febrem, Symmache, nunc habeo.
 
 
 
 
V, 43
Thais habet nigros, niveos Laecania dentes.
Quae ratio est? Emptos haec habet, illa suos.
 
 
VI, 48
Quod tam grande sophos clamat tibi turba togata,
non tu, Pomponi, cena diserta tua est.
 
 
VIII, 10
Emit lacernas milibus decem Bassus
Tyrias coloris optimi. Lucrifecit.
"Adeo bene emit"? inquis. Immo non soluet.
 
 
 
 
VIII, 79
Omnis aut vetulas habes amicas
aut turpis vetulisque foediores.
Has ducis comites trahisque tecum
per convivia, porticus, theatra.
Sic formonsa, Fabulla, sic puella es.
 
IX, 15
Inscripsit tumulis septem scelerata virorum
"Se fecisse" Chloe. Quid pote simplicius?
 
 
XI, 67
Nil mihi das vivus; dicis post fata daturum.
Si non es stultus, scis, Maro, quid cupiam.
 

 

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