TACITO (testi: gli incipit)

Agricola, § 3
Nunc demum redit animus; et quamquam primo statim beatissimi saeculi ortu Nerva Caesar res olim dissociabilis miscuerit, principatum ac libertatem, augeatque cotidie felicitatem temporum Nerva Traianus, nec spem modo ac votum securitas publica, sed ipsius voti fiduciam ac robur adsumpserit, natura tamen infirmitatis humanae tardiora sunt remedia quam mala; et ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia studiaque oppresseris facilius quam revocaveris: subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur. Quid, si per quindecim annos, grande mortalis aevi spatium, multi fortuitis casibus, promptissimus quisque saevitia principis interciderunt, pauci et, ut ita dixerim, non modo aliorum sed etiam nostri superstites sumus, exemptis e media vita tot annis, quibus iuvenes ad senectutem, senes prope ad ipsos exactae aetatis terminos per silentium venimus? Non tamen pigebit vel incondita ac rudi voce memoriam prioris servitutis ac testimonium praesentium bonorum composuisse. Hic interim liber honori Agricolae soceri mei destinatus, professione pietatis aut laudatus erit aut excusatus.
Traduzione
Ora finalmente ritorna il coraggio (nunc demum redit animus). Ma benché sin dal principio di questa felice età Nerva Cesare abbia saputo armonizzare due cose da tempo inconciliabili, il principato e la libertà, e Nerva Traiano accresca ogni giorno la felicità dei nostri tempi, e la sicurezza collettiva non si regga più su speranze o desideri ma sulla solida certezza di possederla davvero, tuttavia la stessa fragilità della natura umana rende l'effetto della cura più lento del diffondersi della malattia; e come per i nostri corpi è lenta la crescita, ma rapida la dissoluzione, così è tanto più facile soffocare l'intelligenza e le sue opere che non rianimarle: perché s'insinua nell'animo la dolcezza dell'inerzia, e l'inattività, da principio faticosa, diventa alla fine gradevole. E così in quindici anni, che è tratto non piccolo della vita mortale, molti se ne sono andati per le vicende del caso, ma tutti i più animosi sono caduti per la crudeltà del principe. In pochi siamo ormai sopravvissuti non solo agli altri, ma vorrei dire a noi stessi:  perché dal pieno della nostra vita dobbiamo cancellare tanti anni nel corso dei quali, costretti al silenzio, se giovani ci siamo fatti vecchi e se già maturi abbiamo toccato le soglie estreme dell'esistenza. Pure non sarà inutile documentare, anche se con parole rozze e inefficaci, la passata servitù e testimoniare il buon governo presente. A ogni modo questo scritto, destinato a onorare mio suocero Agricola, possa, per la testimonianza di affetto che esprime, trovare apprezzamento o, almeno, essere scusato.
Historiae, I, 1
Initium mihi operis Servius Galba iterum Titus Vinius consules erunt. nam post conditam urbem octingentos et viginti prioris aevi annos multi auctores rettulerunt, dum res populi Romani memorabantur pari eloquentia ac libertate: postquam bellatum apud Actium atque omnem potentiam ad unum conferri pacis interfuit, magna illa ingenia cessere; simul veritas pluribus modis infracta, primum inscitia rei publicae ut alienae, mox libidine adsentandi aut rursus odio adversus dominantis: ita neutris cura posteritatis inter infensos vel obnoxios. sed ambitionem scriptoris facile averseris, obtrectatio et livor pronis auribus accipiuntur; quippe adulationi foedum crimen servitutis, malignitati falsa species libertatis inest. mihi Galba Otho Vitellius nec beneficio nec iniuria cogniti. dignitatem nostram a Vespasiano inchoatam, a Tito auctam, a Domitiano longius provectam non abnuerim: sed incorruptam fidem professis neque amore quisquam et sine odio dicendus est. quod si vita suppeditet, principatum divi Nervae et imperium Traiani, uberiorem securioremque materiam, senectuti seposui, rara temporum felicitate ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet.
Traduzione
La mia opera avrà inizio dal secondo consolato di Servio Galba, primo di Tito Vinio. I fatti negli ottocentovent’anni  precedenti, a partire dalla fondazione di Roma,  molti autori li hanno narrati, nel tempo in cui la storia del popolo romano veniva trattati con eloquenza pari alla libertà. Dopo la battaglia di Azio e dopo che fu interesse della pace consegnare tutto il potere ad uno solo, quei grandi ingegni sparirono. Contemporaneamente la verità fu tradita in molteplici modi: prima per ignoranza degli affari di stato in quanto sotto sequestro (inscitia rei publicae ut alienae: mancata conoscenza della cosa pubblica, come se appartenente ad altri), poi per il gusto di assentire o al contrario per l’odio contro i governanti. Così tra avversari o servi a nessuno importava dei posteri. Ma la ruffianeria dello scrittore si può facilmente condannare, la maldicenza e l’invidia sono ricevute da orecchie ben disposte, perché all’adulazione si lega l’infamante colpa del servilismo, alla malignità una falsa sembianza di indipendenza. A me Galba, Otone e Vitellio non sono noti né per benefici né per offese. Non potrei negare che la mia carriera politica sia iniziata con Vespasiano, si sia svolta con Tito e abbia progredito ancora con Domiziano, ma coloro che si professano di incorrotta onestà devono narrare di ciascuno senza amore né odio (neque amore et sine odio). E se la vita mi basterà, tratterò in futuro del governo del divino Nerva e di Traiano, materia assai ricca e meno pericolosa per la rara benevolenza dei tempi dove è permesso pensare ciò che vuoi e dire ciò che pensi (rara temporum felicitate ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet).
Annales I, 1
Urbem Romam a principio reges habuere; libertatem et consulatum L. Brutus instituit. dictaturae ad tempus sumebantur; neque decemviralis potestas ultra biennium, neque tribunorum militum consulare ius diu valuit. non Cinnae, non Sullae longa dominatio; et Pompei Crassique potentia cito in Caesarem, Lepidi atque Antonii arma in Augustum cessere, qui cuncta discordiis civilibus fessa nomine principis sub imperium accepit. sed veteris populi Romani prospera vel adversa claris scriptoribus memorata sunt; temporibusque Augusti dicendis non defuere decora ingenia, donec gliscente adulatione deterrerentur. Tiberii Gaique et Claudii ac Neronis res florentibus ipsis ob metum falsae, postquam occiderant, recentibus odiis compositae sunt. inde consilium mihi pauca de Augusto et extrema tradere, mox Tiberii principatum et cetera, sine ira et studio, quorum causas procul habeo.
Traduzione
La città di Roma fu inizialmente governata da monarchi; la libertà politica e il consolato furono introdotti da Lucio Bruto . Le dittature avevano durata limitata: l’incarico dei decemviri non superò i due anni e il potere consolare dei tribuni militari non invalse a lungo nell’uso. Neppure Cinna o Silla potettero esercitare a lungo la loro egemonia; e presto il potere politico di Pompeo e Crasso si trasferì nelle mani di Cesare, e quello militare di Lepido e di Antonio nelle mani di Augusto, che assunse su di sé col nome di princeps tutte le magistrature svilite dalle guerre civili. Ma le vicende favorevoli o avverse dell’antico popolo Romano sono già state riportate alla memoria da illustri storici, e anche ai tempi di Augusto non mancarono uomini di grande ingegno che li narrassero, finché non ne furono distolti dalla crescente adulazione: le vicende di Tiberio, di Gaio, di Claudio e di Nerone, durante i loro regni, furono falsate dalla paura, e dopo che erano morti, dall’odio ancora vivo. Da qui il mio intento di raccontare i pochi e ultimi avvenimenti del regno di Augusto, quindi il principato di Tiberio e gli altri fatti, senza coinvolgimenti emotivi (sine ira et studio: senza malanimo e partigianeria): lontane da me sono infatti le cause di quelle passioni.

Nessun commento:

Posta un commento