ETA' GIULIO-CLAUDIA (lezioni)

La dinastia Giulio-Claudia e il problema del principato
 
Se è vero che il principato nasce come esigenza di adeguare la forma del potere alla realtà di uno Stato che ormai non è più limitato a Roma e all’Italia, ma comprende un territorio molto ampio e le province più diverse, ecco spiegato perché già Augusto, pur nel rispetto formale delle libertà repubblicane, aveva consentito che si formasse un alone di sacralità attorno alla sua persona: dallo stesso titolo di Augustus, al culto del padre defunto (divus Iulius) e del Genius del principe. Solo una simile figura può porsi al di sopra delle parti, essere garanzia di unità dell’impero, punto di riferimento per tutti (laddove il vecchio senato repubblicano rappresentava gli interessi ristretti dell’aristocrazia romana, o al massimo italica).
Insomma, il potere del princeps dev’essere sostanziale, e non paravento del potere del senato. Quindi lo scontro col senato diventa inevitabile: ecco perchè la cultura di ispirazione senatoria (Tacito e Svetonio per tutti) si accanisce tanto con gli imperatori della dinastia giulio-claudia, presentandoli come ipocriti (Tiberio), deficienti (Claudio), pazzi (Caligola), sanguinari (Nerone). In realtà si tratta del fatto che costoro intendono affermare il potere del princeps: Tiberio (14-37) non vorrebbe, ma è costretto dalla storia (si riaprirebbe altrimenti lo scontro fra le diverse classi, fra le diverse ambizioni, fra i diversi interessi delle diverse parti dell’impero); nel caso di Caligola (37-41), accentuando il carattere sacro della sua figura (desunto dalla concezione orientale della monarchia) ed assumendone i relativi riti (προσκύνησιϛ, o prostrazione, bacio del piede, ἱερὸς γάμος, o matrimonio sacro, con la sorella Drusilla; e nominare senatore il proprio cavallo voleva dire, nel compiere un atto provocatorio contro il senato, marcare la fine dell’età repubblicana); nel caso di Claudio (41-54), attraverso l’utilizzazione dei liberti (che rispondono solo a lui) per l’amministrazione; nel caso di Nerone (54-69) (almeno per quanto riguarda il secondo tempo del suo governo, a cominciare dal 58), riprendendo la concezione orientaleggiante di Caligola ed adottando una politica finanziaria che favorisce le province (elimina i dazi per le merci importate, favorendo un abbassamento del costo della vita - ma nel contempo sacrificando la produzione italica, che non resiste alla concorrenza) e i ceti meno abbienti (riduce di 1/12 il peso del denarius d’argento, mantenendone lo stesso valore, ed obbliga i detentori di capitale ad accettare il pagamento dei debiti in tali pezzi, di valore intrinseco ridotto).
Quanto mai problematica la successione ad Augusto, e quanto mai intricate (per incroci di parentela) le vicende di successione della dinastia giulio-claudia.
Tiberio era stato adottato da Augusto, dopo che questi, privo di figli maschi, aveva dovuto rinunciare ad una serie di successori designati (era morto Marcello, figlio della sorella Ottavia[1]; erano morti Gaio e Lucio, figli della propria figlia Giulia[2] e di Agrippa, da sempre suo grande collaboratore, politico e militare), e quindi ripiegare su una successione “claudia” (Tiberio e Druso gli erano figliastri, in quanto figli della sua terza moglie, Livia, e del di lei primo marito, Tiberio Claudio Nerone); morto Druso (nel 9, mentre conduceva trionfalmente le campagne in Germania), non restava che Tiberio, cui però Augusto impose di adottare a sua volta Germanico, figlio di Druso.
Il dramma di Tiberio (all’origine dei suoi tentennamenti, sinceri, e non ipocriti come li giudicherà Tacito) consisté nel fatto che da una parte sentiva, lui, discendente della nobilissima gens Claudia, di appartenere alla classe senatoria (e quindi, di doverne difendere la libertas), dall’altra, se voleva essere princeps (come lo stato delle cose richiedeva), doveva per forza conculcare quella libertas. Voleva considerare il principato come una magistratura straordinaria, e non come il punto di arrivo di un secolo di lotte, dai Gracchi al secondo Triumvirato. Rinunciò ad ogni onore divino, ai titoli di Imperator e di pater patriae; fu incerto se accettare di essere chiamato Augustus. Ma tutto ciò non faceva che togliere prestigio e carisma alla sua funzione; per cui poi, per riaffermarla, dovette ricorrere a misure repressive: così si spiega il rafforzamento delle coorti pretorie e l’affidamento di grande potere al prefetto Elio Seiano (Tiberio lo lasciò addirittura arbitro di Roma, ritirandosi a Capri nel 26; e Seiano imperversò, con condanne per lesa maestà, finché lo stesso Tiberio lo fece condannare a morte nel 30).
Intanto Germanico era morto in circostanze poco chiare (era figlio, oltre che di Druso, di Antonia minore, figlia del Triumviro; e, come il nonno, aveva già dato segni di predilezione per una concezione orientaleggiante della monarchia): mandato in Asia, dopo i trionfi in Germania, era stato avvelenato, si disse, per incarico dell’invidioso Tiberio. Morì anche Druso minore, figlio di Tiberio (Seiano gli fece propinare del veleno). Come eredi non restavano che Gaio (figlio di Germanico, quindi nipote di Druso e bis-nipote di M. Antonio per parte di madre) e Tiberio Gemello (figlio di Druso minore, e quindi nipote dell’imperatore). Quest’ultimo però era troppo giovane, e quando Tiberio morì gli successe Gaio, detto Caligola o “sandaletto” (così lo chiamavano affettuosamente i soldati che l’avevano visto bambino nell’accampamento al seguito del padre, il leggendario Germanico): subito fece mettere a morte il concorrente, Tiberio Gemello.
Caligola, in quanto figlio di Germanico, al pari di Claudio (di Germanico era fratello, e quindi era zio di Caligola) che gli succederà, hanno “nel sangue” la predisposizione di Antonio alla monarchia di tipo orientale. Stessa cosa può dirsi di Nerone, sia da parte di padre (Cn. Domizio, figlio di Antonia maggiore), sia da parte di madre (Agrippina minore, nipote di Antonia minore, in quanto figlia di Germanico, quindi sorella di Caligola e nipote di Claudio[3]).
Il Triumviro sconfitto in vita si prendeva una rivincita postuma, attraverso la sua discendenza.


 


[1]L’aveva avuto dal primo marito, Caio Marcello, poi era andata sposa a Marco Antonio, da cui ebbe due figlie, Antonia maggiore (che sarà madre di Cn. Domizio, padre di Nerone) e Antonia minore (che sarà moglie di Druso, e quindi madre di Germanico e di Claudio).
 
[2]Giulia, figlia di Scribonia (seconda moglie di Augusto, da lui ripudiata subito dopo il parto; la prima era stata Clodia, figlia del famoso Clodio, e la terza sarà Livia), era stata sposata, prima al cugino Marcello, poi ad Agrippa; quindi, morto anche costui, andrà sposa a Tiberio (ma il padre, per la sregolatezza dei suoi costumi, la relegherà nell’isola di Pandataria, e poi a Reggio, dove morirà).
 
[3]Di quest’ultimo, per altro, Agrippina fu l’ultima di quattro mogli; ed a lui - zio e marito - impose l’adozione del proprio figlio Nerone.

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