STORIOGRAFIA LATINA, origini della (schede)


La tradizione annalistica e Catone
 
Gli Annales pontificis maximi  (o, semplicemente, Annales maximi) erano la raccolta delle “tavole imbiancate” (tabulae dealbatae) su cui i Pontefici massimi annotavano, anno per anno, i nomi dei consoli e gli eventi più importanti: e ciò - ce lo dice Cicerone - dall’inizio delle vicende romane fino al pontificato di Publio Mucio (132-114 a. C.). E’ da presumere, però, che l’archivio relativo alle origini fosse andato distrutto nel 390 a. C. in seguito all’occupazione della città da parte dei Galli; e che quindi la storia delle origini sia stata riscritta posteriormente con manipolazioni più o meno tendenziose dei fatti secondo interessi gentilizi.
In continuità con questa tradizione (e con quella dei poemi epico-storici di Nevio ed Ennio) si sviluppò una storiografia di tipo annalistico nell’età della seconda guerra punica. Ne sono autori uomini appartenenti alla nobilitas (Q. Fabio Pittore, L. Cincio Alimento), che peraltro scrivono in greco: e questo (l’uso della lingua “internazionale”) è evidentemente un segno della volontà di rivolgersi non ad un pubblico locale ma al vasto pubblico dei popoli ellenizzati; una volontà propagandistica, è da credere, intesa a far conoscere, nel momento dello scontro mortale con Cartagine, sia la grandezza di Roma (le opere partivano dalle mitiche origini della città) sia la propria versione dei fatti (da contrapporre a quella Cartaginese: Annibale si era portato dietro due storici greci, Sòsilo e Sileno, che narrassero le sue imprese).
Marco Porcio Catone vive nel periodo in cui viene completata la conquista del Mediterraneo ed avvengono significativi mutamenti di carattere storico culturale (234-149 a. C.). Originario di Tusculum (presso Frascati), di famiglia contadina, homo novus, percorse la carriera politica, da questore[1], a console, a censore, carica nella quale si distinse per una serie di iniziative tese a combattere il lusso e la corruzione (associati, per lui, al diffondersi dei costumi greci), e a valorizzare la modestia e la sobrietà proprie del mos maiorum [2].
Pronunciò (e pubblicò) una gran quantità di orazioni, di cui a noi restano solo alcuni frammenti. Celebre la sua definizione dell’oratore ideale: vir bonus dicendi peritus, in cui si associa l’onestà all’abilità retorica. Altrettanto celebre la sua idea della preminenza del contenuto sulle tecniche formali: rem tene, verba sequentur.
Improntate ad un moralismo tradizionalista ed anti-ellenico sono opere quali i Libri ad Marcum Filium (o Praecepta ) e il Carmen de moribus, di cui ci restano frammenti. Nemmeno ci sono pervenute le Origines, la prima opera storiografica in lingua latina. Ce ne parla però C. Nepote, ed apprendiamo che vi si narravano le origini non solo di Roma ma anche di altre città d’Italia (con interesse etnografico per le diverse genti e popolazioni), che non si citavano i nomi dei protagonisti (ma solo la loro carica): evidente l’intenzione di estendere la visione storica ad una dimensione italica, cosiccome l’opposizione ad una concezione individualistica (prosopografica) della storia (concezione di stampo greco, laddove Catone intende mettere l’accento sull’azione della collettività: la grandezza di Roma è opera dell’intero popolo).
Il De agri cultura  è l’unica opera che possediamo integralmente. E’ una raccolta di precetti tecnico-pratici relativi alla conduzione e gestione di un’azienda agricola. L’agricoltura viene legittimata sul piano morale come l’occupazione più degna per la classe senatoria: garantisce un giusto reddito e tempra uomini forti. Ma si insiste anche sul tema del profitto: l’agricoltura è economicamente conveniente, purché il padrone sappia fare bene i suoi conti (ed anche gli schiavi, senza alcuna considerazione umanitaria, andranno considerati come puri strumenti di lavoro, al pari dei buoi: hanno un loro costo per il mantenimento, diventano improduttivi quando sono malati, ecc.)
 



[1]In Sicilia con Scipione (quello che, in quanto capofila del filo-ellenismo, sarebbe stato il suo più grande nemico) che stava preparando la spedizione in Africa; lo accusò di spendere troppo e di infiacchire la disciplina dell’esercito. Di ritorno dall’Africa, conobbe Ennio in Sardegna e lo portò a Roma con sé (anche qui, ironia del destino, il filoellenico Ennio sarebbe stato suo fiero avversario). Quanto a Scipione, scagionato dal senato dopo Zama, dovette successivamente ritirarsi a vita privata quando fu nuovamente accusato da Catone per aver gestito in maniera poco limpida l’indennità di guerra versata a Roma da Antioco III di Siria.
[2]Non è sicuro però che “razzolasse” altrettanto bene: sembra che si fosse arricchito enormemente con speculazioni finanziarie e commerciali (lui che predicava la vita parsimoniosa del contadino, e l’attività agricola come l’unica onesta), con la vendita di schiavi e persino con l’usura.

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