UNGARETTI (lezioni)


Ungaretti: l’opera e la poetica



Nato ad Alessandria d’Egitto (da emigranti d’origine lucchese) nel 1888, nel 1912 si reca a Parigi (studia alla Sorbona) dove frequenta gli ambienti dell’avanguardia (Picasso, De Chirico, Modigliani, Apollinaire). Nel 1914 viene in Italia per partecipare alla guerra (si arruola volontario in fanteria). Nascono le prime raccolte di poesie: Il porto sepolto (1916)[1] e Allegria di naufragi (1919)[2], che poi confluiranno ne L’allegria (1931). Del 1933 è Il sentimento del tempo. Dal 1936 insegna letteratura italiana presso l’università di San Paolo in Brasile, dal 1942 insegna all’università di Roma. Dall’esperienza della II guerra mondiale (nonché da quella di privati lutti famigliari: morte del fratello e del figlioletto) nascono Il dolore (1947), La terra promessa (1950-54), Il taccuino del vecchio (1961). Tutta la sua opera sarà poi pubblicata da Mondadori col titolo di Vita di un uomo.

Le poesie de L’allegria (che sono forse le più significative) nascono dal bisogno di riscoprire il senso della parola poetica in un periodo che sembra averne bruciato tutte le possibilità. Se solo pensiamo all’esperienza italiana, crepuscolari e futuristi, in modi diversi ma convergenti, hanno ugualmente contribuito ad una sistematica distruzione del valore della poesia (della sua possibilità di comunicare ideali, messaggi in positivo): gli uni giungendo, con il loro tono dimesso e rinunciatario, alla ‘vergogna’ della poesia (il passo successivo è il silenzio, come al crepuscolo segue la notte); gli altri servendosene come di uno strumento aggressivo e provocatorio nei confronti del vecchio, in nome di un futuro dai valori fortemente ambigui (tecnologia, velocità). Questa distruzione letteraria sembra essere portata a compimento dalla distruzione reale (di uomini e cose) operata dalla guerra.

Fra queste macerie, con un’opera faticosa di scavo, Ungaretti cerca di riportare alla luce la parola poetica, con la sua intensità significativa, sottratta al logoramento dell’uso quotidiano che la impoverisce, all’abuso retorico che le toglie credibilità. Nel deserto della distruzione, cosiccome nel silenzio della pagina bianca, la parola si accampa, isolata come uno scoglio, sillabata perché niente possa perdersene, pura e densa di significato come se fosse pronunciata ed ascoltata per la prima volta. Così si spiegano i “versicoli” ungarettiani, così si spiega la lettura lenta e faticosa che ne faceva il poeta.

Con Il sentimento del tempo (1933, ma include anche poesie scritte nel ’19) si ha un recupero delle strutture metriche tradizionali (endecasillabi, settenari, novenari: un recupero del “canto italiano”, dice lo stesso Ungaretti), oltre che delle strutture sintattiche, della punteggiatura, di un lessico più ricco e prezioso. In particolare, l’uso privilegiato e quasi virtuosistico delle analogie (che implicano associazioni intuitive, saltando i nessi logici, e quindi risultano spesso di non facile comprensione) fa della raccolta un modello per la poesia ermetica[3]





[1] Il titolo allude a un leggendario porto sommerso di Alessandria, precedente l’epoca tolemaica. Simbolicamente, indica il segreto della poesia, nascosto in una profondità in cui il poeta deve immergersi, per poi risalire con i suoi canti.
[2] E’ un titolo ossimorico, che vuole indicare contemporaneamente sia il senso della sconfitta come inevitabile condizione umana (in un mondo in cui tutto è “travolto, soffocato, consumato dal tempo”), sia l’esultanza della volontà, la vitalità, l’inesauribile determinazione di chi “subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare”.
[3] Il termine è usato da Flora nel 1936 e vuole indicare il carattere oscuro, criptico, di difficile comprensione di una scuola poetica attiva negli anni ’30 e che ha come esponenti più rappresentativi Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto,  Mario Luzi, Leonardo Sinisgalli. Etimologicamente la parola rimanda ad Ermete Trismegisto, presunto autore nel II-III sec. d.C. dei cosiddetti “libri ermetici” (testi filosofici di tipo “esoterico”, quindi particolarmente oscuri); tali libri furono poi associati nel Rinascimento alla sapienza alchemica, altrettanto occulta e sottratta alla comprensione comune (talchè l’espressione “chiusura ermetica” ha a che fare proprio con l’attività degli alchimisti che richiedeva chiusure di sicurezza per i loro crogiuoli, onde proteggersi dai pericolosi vapori di mercurio; e il mercurio non è solo l’elemento, ma anche la divinità che in greco ha nome Ermes e che, a sua volta, è il protettore degli alchimisti).

Nessun commento:

Posta un commento