* 6
È grande errore parlare delle cose del mondo
indistintamente e assolutamente e, per dire così, per
regola; perché quasi tutte hanno distinzione e eccezione per
la varietà delle circunstanze, le quali non si possono
fermare con una medesima misura: e queste distinzione e
eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna
le insegni la discrezione.
* 60
Lo ingegno più che mediocre è dato agli uomini per loro
infelicità e tormento, perché non serve loro a altro che a
tenergli con molte più fatiche e ansietà che non hanno
quegli che sono più positivi.
* 61
Sono varie le nature degli uomini: certi sperano tanto che
mettono per certo quello che non hanno, altri temono tanto
che mai sperano se non hanno in mano. Io mi accosto più a
questi secondi che a' primi: e chi è di questa natura si
inganna manco, ma vive con più tormento.
* 147
Erra chi crede che la vittoria delle imprese consista nello
essere giuste o ingiuste, perché tutto dì si vede el
contrario: che non la ragione, ma la prudenza, le forze e la
buona fortuna danno vinte le imprese. E ben vero che in chi
ha ragione nasce una certa confidenza, fondata in sulla
opinione che Dio dia vittoria alle imprese giuste, la quale
fa gli uomini arditi e ostinati: dalle quali due condizione
nascono talvolta le vittorie. Così l'avere la causa giusta
può per indiretto giovare, ma è falso che lo faccia
direttamente.
* 160
È certo gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti
viviamo come se fussimo certi avere sempre a vivere. Non
credo sia la ragione di questo perché ci muova più quello
che è innanzi agli occhi e che apparisce al senso che le
cose lontane e che non si veggono: perché la morte è
propinqua e si può dire che per la esperienza quotidiana ci
apparisca a ogni ora. Credo proceda perché la natura ha
voluto che noi viviamo secondo che ricerca el corso overo
ordine di questa machina mondana: la quale non volendo resti
come morta e sanza senso, ci ha dato propietà di non pensare
alla morte, alla quale se pensassimo, sarebbe pieno el mondo
di ignavia e di torpore.
* 161
Quando io considero a quanti accidenti e pericoli di
infirmità, di caso, di violenza, e in modi infiniti, è
sottoposta la vita dell'uomo, quante cose bisogna concorrino
nello anno a volere che la ricolta sia buona, non è cosa di
che io mi maravigli più che vedere uno uomo vecchio, uno
anno fertile.
* 220
Credo sia uficio di buoni cittadini, quando la patria viene
in mano di tiranni, cercare d'avere luogo con loro per
potere persuadere el bene e detestare el male; e certo è
interesse della città che in qualunque tempo gli uomini da
bene abbino autorità. E ancora che gli ignoranti e
passionati di Firenze l'abbino sempre intesa altrimenti, si
accorgerebbono quanto pestifero sarebbe el governo de'
Medici se non avessi intorno altri che pazzi e cattivi.
Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa romana, è rovinata
(dalle Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli, di F. Guicciardini)
Non si può dire tanto male della corte romana che non meriti se ne dica piú, perché è una infamia, uno esemplo di tutti e' vitupèri ed obbrobri del mondo. Ed anche credo sia vero che la grandezza della Chiesa, cioè la autoritá che gli ha data la religione, sia stata causa che Italia non sia caduta in una monarchia; perché da uno canto ha avuto tanto credito che ha potuto farsi capo, e convocare quando è bisognato príncipi esterni contro a chi era per opprimere Italia, da altro essendo spogliata di arme proprie, non ha avuto tante forze che abbia potuto stabilire dominio temporale, altro che quello che volontariamente gli è stato dato da altri. Ma non so giá se el non venire in una monarchia sia stata felicitá o infelicitá di questa provincia, perché se sotto una republica questo poteva essere glorioso al nome di Italia e felicitá a quella cittá che dominassi, era all'altre tutte calamitá, perché oppresse dalla ombra di quella, non avevano facultá di pervenire a grandezza alcuna, essendo el costume delle republiche non participare e' frutti della sua libertá ed imperio a altri che a' suoi cittadini propri. E se bene la Italia divisa in molti domíni abbia in vari tempi patito molte calamitá che forse in uno dominio solo non [ar]ebbe patito, benché le inundazione de' barbari furono piú a tempo dello imperio romano che altrimenti, nondimeno in tutti questi tempi ha avuto al riscontro tante cittá floride che non arebbe avuto sotto una republica che io reputo che una monarchia gli sarebbe stata piú infelice che felice. Questa ragione non milita in uno regno el quale è piú commune a tutti e' sudditi; e però veggiamo la Francia e molte altre provincie viversi felici sotto uno re; pure, o sia per qualche fato di Italia, o per la complessione degli uomini temperata in modo che hanno ingegno e forze, non è mai questa provincia stata facile a ridursi sotto uno imperio, eziandio quando non ci era la Chiesa; anzi, sempre naturalmente ha appetito la libertá, né credo ci sia memoria di altro imperio che l'abbia posseduta tutta, che de' romani, e' quali la soggiogarono con grande virtú e grande violenzia; e come si spense la republica e mancò la virtú degli imperadori, perderono facilmente lo imperio di Italia. Però se la Chiesa romana si è opposta alle monarchie, io non concorro facilmente essere stata infelicitá di questa provincia, poi che l'ha conservata in quello modo di vivere che è piú secondo la antiquissima consuetudine ed inclinazione sua.
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