1) Spiegate il senso letterale ed
originario dei due termini (Medioevo e Rinascimento) con i quali ancora oggi
indichiamo due epoche storiche diverse.
Rinascimento significa letteralmente
“nuova nascita”, e ciò che nasce nuovamente, nella coscienza dei contemporanei
che definiscono in tal modo la propria età, è la grandezza della civiltà
classica. Pertanto gli stessi uomini del Rinascimento cominciano a chiamare
Medio-evo (cioè, “età di mezzo”), l’epoca, ritenuta di decadenza, che sta in
mezzo fra l’età classica e l’età a loro contemporanea.
2) In che cosa consiste e su quali principi filosofici
si fonda l’ideale rinascimentale della kalòkagathìa?
Kalòkagathìa significa "bellezza e bontà", quindi consiste
nell'idea che ciò che è esteticamente piacevole (bello) sia anche moralmente
positivo (buono). Tale concezione si fonda sulla filosofia neoplatonica di
Marsilio Ficino, secondo cui nel mondo terreno la bellezza è ciò che più si
avvicina alla perfezione del mondo delle idee (di cui il mondo terreno è una
copia imperfetta), è manifestazione della luce divina, dunque è intrinsecamente
buona e di conseguenza va ricercata in tutti gli aspetti e i momenti della vita.
3) Nel cap. VI del Principe Machiavelli indica quattro modelli
ideali: di chi si tratta e che cosa li accomuna?
I quattro modelli sono Mosè (fondatore dello Stato ebraico), Ciro
(fondatore dello Stato persiano), Teseo (fondatore dello Stato ateniese) e Romolo
(fondatore dello Stato romano). Li accomuna il fatto che sono stati uomini di
straordinaria "virtù", che hanno saputo cogliere
l'"occasione" (ovvero, sfruttare la condizione storica favorevole) al
fine di fondare uno Stato.
4) Che cosa dimostra, secondo Machiavelli, il mito secondo cui Achille
sarebbe stato educato dal centauro Chirone?
Essendo il centauro una creatura con corpo di cavallo e busto di uomo, il
mito dimostra che un principe (quale Achille era) deve imparare ad essere sia
uomo che bestia. In altre parole, deve imparare ad agire sia secondo la
legalità propria degli uomini, sia con la forza e con l'astuzia proprie delle
bestie (rappresentate, rispettivamente, dal "lione" e dalla
"golpe").
5) Qual è la differenza fondamentale fra Machiavelli e Guicciardini, per
quanto riguarda il modo di concepire la politica?
Machiavelli ritiene che la politica debba essere trattata come una scienza
e che quindi si possano indicare delle leggi universali del comportamento
politico, basandosi su esperienze tanto della storia antica quanto della storia
contemporanea. Guicciardini ritiene invece che in politica, essendo le
situazioni sempre diverse, non si possano dare delle leggi universali, ma si
debba usare, ogni volta, la "discrezione", ovvero la capacità di
analizzare la situazione specifica e compiere quindi la scelta più opportuna.
6) Come obietta Guicciardini, nelle Considerazioni sui Discorsi,
all’idea di Machiavelli, secondo cui la condizione migliore per l’Italia
sarebbe quella di costituirsi in un forte Stato unitario?
Guicciardini sostiene anzitutto che la costituzione di uno Stato
unitario favorirebbe lo sviluppo della città dominante, ma causerebbe
inevitabilmente la decadenza, politica ed economica, delle altre città,
subalterne alla dominante. Aggiunge inoltre che tale Stato unitario non sarebbe
una garanzia contro le invasioni straniere, perché l'Italia è stata invasa
anche quando era unita sotto il dominio romano; al contrario, è vero che ci
sono stati tempi in cui l'Italia, pur essendo divisa in più Stati, non ha
subito invasioni, perché politicamente e militarmente forte (il riferimento è
all'età di Lorenzo il Magnifico).
7) Nella Satira I, Ariosto racconta la favola dell’asino e del
topolino. Dite, in sintesi, di che si tratta e qual è l’insegnamento che se ne
deve trarre.
Un asino affamato era entrato in un granaio attraverso un buco in una
parete; lì aveva mangiato a più non posso, ma poi, con la pancia gonfia, non
riusciva più ad uscire attraverso il buco. Allora il topolino gli consiglia di
vomitare tutto, se vuole recuperare la libertà. L'insegnamento è questo: se i
doni e i benefici che si ricevono dal signore impongono poi delle scelte di
vita contrarie alla propria volontà (ad esempio, nel caso di Ariosto, seguire
il cardinale in Ungheria), è preferibile restituirgli tutto ed essere poveri,
ma liberi.
8) Contestualizzate e parafrasate il seguente passo, tratto dal cap. XV del
Principe: “E molti si sono imaginati repubbliche e principati che non si
sono mai visti né conosciuti essere in vero. Perché egli è tanto discosto da
come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa
per quello che si doverrebbe fare, impara più tosto la ruina che la
preservazione.”.
Machiavelli intende parlare dei pregi e dei difetti di un principe, e
quindi, poiché sa che dirà cose molto diverse da quelle che si sono sempre
dette e pensate, fa la seguente precisazione: "Molti (studiosi) hanno
immaginato Stati che non sono mai esistiti nella realtà. Infatti c'è tanta
differenza fra come si vive in realtà e come si dovrebbe vivere (in teoria,
seguendo i principi morali) che, se uno dimentica la realtà (quello che si fa)
per seguire la teoria (quello che si dovrebbe fare), non impara come si
conserva il potere (la propria "preservazione"), ma piuttosto come lo
si perde (la propria "ruina")."
9) Contestualizzate e parafrasate e i seguenti versi, tratti dal canto I
del Furioso: “ecco il giudicio uman come spesso erra! / Quella che dagli
esperii ai liti eoi / avea difesa con sì lunga guerra, / or tolta gli è fra
tanti amici suoi / senza spada adoprar, ne la sua terra. / Il savio imperator,
ch’estinguer volse / un grave incendio, fu che gli la tolse.”
Siamo all'inizio dell'opera e Ariosto, riallacciandosi al punto in cui
Boiardo aveva interrotto la storia, intende spiegare che Orlando, che tanto
aveva faticato per "catturare" Angelica, aveva dovuto rinunciare a
lei per volontà di Carlo Magno. E quindi: "Ecco come spesso si sbagliano
gli uomini nelle loro valutazioni ("giudicio", capacità di
giudicare)! Quella (Angelica) che con tante battaglie egli (Orlando) aveva
difeso da occidente (dai "liti esperii) a oriente (ai "liti
eoi"), ora gli è sottratta in mezzo agli amici, nella sua patria (in
Francia), senza nemmeno poter combattere. Colui che gliela sottrasse fu il saggio
imperatore (Carlo), che così facendo volle spegnere un pericoloso incendio (e
cioè, la rivalità fra Orlando e Rinaldo a causa di Angelica)."
1)
Spiegate per quali aspetti si può dire che Machiavelli è un autore del
Rinascimento.
In
quanto separa la politica dalla morale, Machiavelli esprime una nuova mentalità
(rinascimentale) che riconosce ed afferma l’autonomia delle singole discipline
(laddove nel Medioevo ogni conoscenza in ogni campo andava ricondotta alla
scienza suprema, cioè alla teologia). Ma Machiavelli è uomo del Rinascimento
anche perché valorizza, quant’altri mai, la capacità attiva dell’uomo nel mondo
terreno, ovvero la “virtù” (intesa come energia, determinazione, intelligenza).
Infine è rinascimentale il suo atteggiamento umanistico, ovvero il suo amore e
la sua ammirazione per i classici, il cui insegnamento, come in altri campi,
continua ad essere valido anche in politica.
2)
Facendo riferimento al I canto, mostrate, con appropriati esempi, come il
meccanismo che regola gli eventi del Furioso sia quello della
"ricerca" e dell’"attesa delusa".
Nel
I canto i personaggi agiscono in quanto sono alla continua ricerca di qualcuno o
di qualcosa: Rinaldo sta cercando il suo cavallo (Baiardo), quando vede
Angelica e si mette al suo inseguimento; poi ne perde le tracce e riprende a
cercare il cavallo; Ferraù sta cercando l’elmo cadutogli nel fiume, ma poi si
mette anche lui ad inseguire Angelica, quindi torna a cercare l’elmo; costretto
a rinunciarvi (perché dell’elmo si impossessa il fantasma di Argalìa), andrà
alla ricerca di un altro elmo. La ricerca si risolve quindi in una delusione,
sia perché l’oggetto del desiderio appare sempre sfuggente, sia perché, quando
viene raggiunto, perde il suo valore (come spiega Sacripante quando fa l’elogio
della rosa non colta), sia anche perché ciò che si trova si rivela diverso da
ciò che ci si aspetta (Angelica si aspetta di trovare in Sacripante il suo
salvatore, e trova invece il suo seduttore; Sacripante si aspetta di sedurre
Angelica, e invece è costretto a rinunciare, disarcionato da Bradamante).
3)
E’ stato detto che Ariosto attua nel suo poema quella stessa tecnica che in
pittura si chiama "velatura". Di che si tratta?
La
"velatura" è la tecnica attraverso cui i pittori smorzano
("velano") il tono troppo acceso dei colori, al fine di ridurne il
contrasto e produrre armonia. Allo stesso modo Ariosto, attraverso
sottolineature ironiche o paragoni che evocano immagini belle e piacevoli,
intende smorzare gli eccessi, ovvero attenuare sentimenti o immagini troppo
forti (ad esempio, scene di violenza, o comunque cruente) che altrimenti
turberebbero l’armonia e l’equilibrio della composizione (armonia ed equilibrio
che sono propri del poema e che riflettono i più alti ideali del Rinascimento).
4)
Nel coro "O bella età dell’oro" dell’Aminta, per quale aspetto
viene esaltata l’età dell’oro e, al contrario, deplorata l’età presente?
Nel
coro in questione l’età dell’oro viene esaltata non per quegli aspetti che
tradizionalmente la caratterizzano (assenza di lavoro, natura rigogliosa e
benevola, ecc.), ma perché in essa era consentito amare liberamente (secondo il
principio "s’ei piace, ei lice"), senza quelle ipocrisie e
quei falsi pudori che invece, nell’età presente, sono imposti dall’"onore",
ovvero dal senso del decoro, dalle convenzioni sociali proprie di una società
civilizzata.
5)
Quali sono, in sintesi, i problemi che tormentano Tasso e che rendono così
lunga e faticosa l’elaborazione del suo poema?
L’elaborazione
del poema è lunga e faticosa (si va dal Gierusalemme, composta nel 1560,
alla Conquistata, pubblicata nel 1593), in quanto Tasso è tormentato da
problemi sia di ordine religioso-morale che di ordine tecnico-compositivo. Per
quanto riguarda i primi, intende comporre un’opera che sia di ammaestramento
morale e dunque non contenga elementi devianti rispetto all’ortodossia
religiosa (che naturalmente è quella indicata dalla Chiesa di Roma). Per quanto
riguarda i secondi, intende comporre un poema epico che sia ortodosso rispetto
alla Poetica di Aristotele, e dunque sia fondato sulla verità storica,
abbia un protagonista centrale ed osservi le regole di unità di tempo, di luogo
e di azione.
6)
Contestualizzate e parafrasate la seguente ottava, tratta dal canto I della Liberata:
"Sai che là corre il mondo ove più versi / di sue dolcezze il lusinghier
Parnaso, / e che ‘l vero, condito in molli versi, / i più schivi allettando ha
persuaso. / Così a l’egro fanciul porgiamo aspersi / di soavi licor gli orli
del vaso: / succhi amari ingannato intanto ei beve, / e da l’inganno suo vita
riceve."
Nel
proemio della Liberata Tasso invoca la Musa e le chiede di perdonarlo se
nel poema non narrerà sempre e soltanto la verità storica (a lei cara), ma
adornerà la narrazione di piacevoli invenzioni poetiche. Quindi continua:
"Sai che il mondo (la gente, i lettori) accorre là dove la poesia (il
Parnaso indica la poesia, in quanto era il monte sacro ad Apollo e alle muse),
con le attrattive che le sono proprie (lusinghier), offre (versi)
in maggior quantità (più) le sue piacevolezze; e sai che la verità,
mescolata a (resa più gustosa da) dolci versi, ha convinto, con tale
adescamento (allettando), anche i più ritrosi (restii, renitenti alla
verità). Allo stesso modo a un bambino malato porgiamo un bicchiere (contenente
la medicina) con gli orli bagnati da un liquore dolce: così lui beve la
medicina amara e, con questo inganno, ottiene la guarigione"
7) Facendo qualche appropriato riferimento, spiegate che cosa si
intende per “bifrontismo spirituale” a
proposito della Gerusalemme liberata.
Per
“bifrontismo spirituale” intendiamo quella doppiezza psicologica e ideologica,
che è propria dell’autore e che si trova nel poema, tale per cui i due mondi
contrapposti (dei cristiani e dei musulmani, del bene e del male) sono
leggibili anche in maniera capovolta (il bene si rivela come imposizione
autoritaria, negazione di altri modi di essere e di pensare; il male invece è
associato al principio laico della tolleranza e quindi alla possibilità di
esprimere liberamente la propria individualità). Ciò è evidente in maniera
esemplare nel discorso in cui Satana-Plutone, rivolgendosi ai diavoli,
rivendica per se stesso e per i suoi seguaci il coraggio eroico della
ribellione all’“imperialismo” di Dio.
8) Contestualizzate e parafrasate la
seguente ottava: “Né ciò gli parve assai; ma in preda a morte, / sol per farne
più danno, il figlio diede. / Ei venne e ruppe le tartaree porte, / e porre osò
ne’ regni nostri il piede, / e trarne l’alme a noi dovute in sorte, / e
riportarne al Ciel sì ricche prede, vincitor trionfando, e in nostro scherno /
l’insegne ivi spiegar del vinto Inferno.” (Liberata,
IV, 11)
Satana
si sta rivolgendo ai diavoli per esortarli a rinnovare la loro antica lotta
contro Dio, intervenendo ora in aiuto dei musulmani nella guerra contro i
cristiani. Precisamente, qui si riferisce all’umiliazione subita a seguito
della morte e resurrezione di Cristo : “Né questo (cioè, il fatto di averci
vinti e relegati nell’inferno) gli (a Dio) sembrò abbastanza; per farci più
male ha consentito che il proprio figlio (Cristo) morisse. A seguito di quella
morte, Cristo spezzò le porte dell’inferno (le 'tartaree porte') e osò venire
nel nostro regno e prendere, e portare con sè in cielo come un ricco bottino,
anime destinate a noi (allude alle anime del limbo che Cristo, risorgendo,
porta con sé in paradiso); di più, per ulteriore scherno, come fanno i
vincitori trionfanti, ha mostrato in cielo le insegne del nostro esercito
sconfitto”
9)
Con quali argomenti Galileo, nel Dialogo
sopra i massimi sistemi, esalta la capacità intellettiva dell’uomo?
Galileo
paragona la capacità intellettiva dell’uomo a quella di Dio. Dice infatti, per
bocca di Salviati, che, se è vero che per quanto riguarda la quantità di
conoscenze (extensive) la capacità dell’uomo è quasi nulla rispetto a
quella di Dio, per quanto riguarda la perfezione cui l’uomo può giungere in
alcune sue conoscenze (intensive), essa non è inferiore a quella di Dio.
In questo caso (e si riferisce alle conoscenze di tipo geometrico e
matematico), la verità che l’uomo conosce è esattamente la stessa conosciuta da
Dio; l’unica differenza è che Dio la vede con un’intuizione immediata, l’uomo
ci giunge attraverso successivi passaggi logici.
10)
Spiegate in che senso si può dire che Beccaria, nella sua opera Dei delitti e delle pene, contesta tanto
la legittimità quanto l’utilità della pena di morte.
Beccaria
contesta la legittimità della pena di morte in quanto sostiene che,
nell’ipotetico contratto sociale che gli uomini hanno stipulato per dar vita
alla sovranità dello Stato, non è concepibile che gli abbiano ceduto anche il
potere di dare la morte, soprattutto perché di tale potere non disponevano gli
stessi contraenti. Ma la pena di morte è anche inutile in quanto non ha
efficacia deterrente: e questo è dimostrato dall’esperienza storica (laddove è
stata in vigore la pena di morte non è diminuita la criminalità), la quale ci
insegna che non è l’intensità della pena a trattenere il criminale dal
commettere delitti (la morte è un pena “intensa”, ma tutto si risolve in un
attimo), bensì la sua durata nel tempo (la prospettiva di passare tutta la vita
in prigione è più dolorosa della prospettiva della morte).
11) Contestualizzate e parafrasate i seguenti versi
tratti da Il giorno di Parini
(spiegando chiaramente di che si parla quando si dice “nuove delizie” e “gemma degli
eroi”): “… e ben fu dritto / se Pizzarro e Cortese umano sangue / più
non stimar quel ch’oltre l’oceàno / scorrea le umane membra, e se tonando / e
fulminando, alfin spietatamente / balzaron giù da i grandi aviti troni / re
messicani e generosi Incassi; / poi che nuove così venner delizie, / o gemma
degli eroi, al tuo palato.” (Il
Mattino, vv. 149-158)
Il
precettore sta proponendo la scelta della colazione al suo allievo (il “giovin
signore” a cui immagina di insegnare, e lo fa ironicamente, il giusto modo di
comportarsi nei diversi momenti della giornata); quindi dice, appunto con forte
ironia: “e davvero fu giusto se Pizzarrro e Cortez (i conquistadores) non
ritennero umano il sangue che scorreva nelle membra degli indigeni americani
("oltre l'oceano") e se, usando spietatamente le armi da fuoco
(“tonando e fulminando”), spodestarono dai troni dei loro avi re messicani e
nobili Incas; fu giusto, poiché così poterono giungere dei nuovi e gustosi
piaceri (si riferisce al cioccolato) al tuo palato, o fior fiore degli eroi (è
l’ironico appellativo con cui il precettore si rivolge al “giovin signore”)”.
1) Come si
difende Guicciardini, nei Ricordi,
dall’accusa di collaborare con il governo tirannico dei Medici?
Guicciardini
sostiene che, quando il potere è nelle mani di un tiranno, è male se gli uomini
onesti si astengono dalla vita politica ed è bene che invece partecipino, anche
a prezzo dell’accusa di essere collaboratori del tiranno. Infatti la
partecipazione degli onesti può, in qualche misura, ridurre il male del potere
tirannico, che, altrimenti, sarebbe gestito soltanto dai malvagi e disonesti,
con danno per l’intera collettività.
2) Spiegate
e contestualizzate il seguente passo, tratto dal cap. VI del Principe: “E debbesi considerare come e' non è cosa più
difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare,
che farsi capo di introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimico
tutti quegli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tiepidi defensori tutti
quelli che delli ordini nuovi farebbono bene: la quale tepidezza nasce parte
per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte da la
incredulità degli uomini, e' quali non credono in verità le cose nuove, se non
ne veggono nata una ferma esperienza.”
Machiavelli,
dopo avere ricordato le grandi personalità che con virtù ed armi proprie
fondarono nuovi Stati, sottolinea le difficoltà in cui si viene a trovare chi,
al pari di un fondatore di Stato, vuole riformare radicalmente uno Stato,
introducendovi nuovi ordinamenti (nuove istituzioni).
“Si
deve pensare che non c’è cosa di più
difficile, incerta e pericolosa
realizzazione che quella di volere introdurre in uno Stato nuovi
ordinamenti. Perché chi vuole introdurre delle riforme ha come avversari tutti
quelli traggono vantaggio dallo stato di cose esistente e come sostenitori
quelli che potrebbero avere dei vantaggi in futuro, con i nuovi ordinamenti; ma
i sostenitori del nuovo sono ‘tiepidi’, cioè non sono determinati come i
difensori del vecchio, sia perché anche le leggi (essendo quelle dello Stato
esistente) sono contro di loro, sia perché, essendo il nuovo Stato ancora tutto
da costruire, gli uomini sono per natura riluttanti a battersi per ciò che
ancora non esiste."
3) Spiegate
e contestualizzate il seguente passo, tratto dal Cortegiano: “Ma avendo
io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli che
dalle stelle l'hanno, trovo una regula universalissima (…), e ciò è fuggir
quanto più si po, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione;
e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che
nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e
quasi senza pensarvi (...). Però si po dir quella esser vera arte che non pare
esser arte; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla”
Il conte
Ludovico di Canossa sta spiegando in che cosa consista la grazia, che è la
prima qualità che l’uomo di corte deve possedere.
“Poiché più
volte ho riflettuto su come si acquisisca la grazia, ho trovato questa regola
universale (tralascio naturalmente il caso in cui si possieda la grazia per
natura, cioè per un’influenza benevola del cielo): la grazia consiste
nell’evitare, come uno scoglio duro e pericoloso, l’affettazione (cioè,
l’artificiosità e la ricercatezza); in altre parole consiste nel comportarsi
con una disinvoltura tale che non faccia trasparire, in ciò che si fa e dice,
lo studio e l’impegno che ci si è messo. Pertanto, per quanto studiato ed
artificioso possa essere un comportamento, la grazia consiste nel nascondere
l’artificiosità e nell’apparire naturali.”
4) Per quali
ragioni Tasso non ha inserito nella Gerusalemme conquistata un episodio
quale quello di Erminia tra i pastori?
Da un punto
di vista formale l’episodio violava il principio aristotelico dell’unità
compositiva, in quanto risultava a se stante rispetto alla vicenda centrale del
poema. Da un punto di vista contenutistico, all’autore doveva sembrare moralmente
poco appropriato che, nel poema in cui si celebrava la guerra santa come dovere
della cristianità, si vagheggiasse (come succede in quell’episodio) un mondo
idilliaco, di pace e di estraneità a quella guerra.
5)
Contestualizzate e parafrasate la seguente ottava: "Giunge all’irresoluto il vincitore, / e in
arrivando (o che gli pare) avanza / e di velocitade e di furore / e di
grandezza ogni mortal sembianza. / Poco ripugna quel; pur mentre more, / già
non oblia la generosa usanza: / non fugge i colpi e gemito non spande, / né
atto fa se non altero e grande." (Liberata,
canto XX)
Siamo nel
finale del poema, quando si sta combattendo l’ultima battaglia fra cristiani e
musulmani, e Rinaldo (il vincitore) si sta avventando su Solimano
(l’irresoluto). Parafrasi: Addosso a Solimano, che non sa che fare, giunge
Rinaldo (il vincitore, perché ha appena abbattuto Adrasto) e, mentre arriva,
supera (almeno così sembra a Solimano) in velocità, furia e dimensioni fisiche
ogni aspetto umano. Quello (Solimano) lo contrasta (gli resiste) poco; eppure,
mentre muore, non dimentica le sua consueta nobiltà (di guerriero): non evita i
colpi e non emette lamenti, e non compie azione che non sia fiera e di grande
dignità.
6) Spiegate
etimologia e significato del cosiddetto “marinismo”.
Il termine
“marinismo” indica un modo di concepire la poesia, proprio del Seicento,
secondo cui il fine del poeta è quello di “destare meraviglia” nel lettore, e
ciò lo si ottiene inventando immagini sempre nuove e utilizzando metafore
quanto più possibile ardite e originali. Tale concezione era teorizzata dal
poeta Giambattista Marino, il che spiega l’etimologia della parola.
7) Con quali
argomenti, nel Dialogo sopra i massimi sistemi, si mette in ridicolo
l’abitudine degli aristotelici di citare l’opera del filosofo greco come unica
e indiscutibile fonte di verità?
Gli
aristotelici si ostinano a ritenere vero il punto di vista del
"maestro", anche quando questo è in evidente contrasto con i dati
dell’esperienza (Sagredo cita l’esempio di quei medici aristotelici che, pur
vedendo coi propri occhi che l’origine dei nervi è nel cervello, continuavano a
ritenere che fosse nel cuore, perché così aveva detto Aristotele). Soprattutto,
però, è ridicola la pretesa di attribuire ad Aristotele la conoscenza della verità
su ogni questione, prendendo qua e là le parti della sua opera che fanno comodo
e "cucendole" insieme (con tale sistema, dice Sagredo, si può
utilizzare l’opera di qualsiasi autore o, più semplicemente, basta utilizzare
l’alfabeto).
8) Con quali argomenti Galileo nella
lettera Cristina di Lorena si difende dall’accusa di sostenere una tesi (quale
quella copernicana) contraria alla verità delle Sacre Scritture?
Galileo
sostiene che è “parola di Dio” tanto la Bibbia quanto la natura, dunque
entrambe dicono la verità e non possono contraddirsi. L’apparente
contraddizione deriva dal fatto che la Bibbia (la cui funzione è quella di
insegnarci “non come vada il cielo, ma come si vada al cielo”) si serve di
immagini concrete e metaforiche per farsi comprendere da uomini che altrimenti
non capirebbero; ma il libro della natura è scritto con caratteri matematici e
geometrici, dunque le verità scientifiche, che l’intelletto umano raggiunge
attraverso le “sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni”, sono incontrovertibili.
9) De
Sanctis, riferendosi alla letteratura della seconda metà del Settecento, diceva
che finiva "l’arte per l’arte" e ritornava "l’arte per la
vita". Che voleva dire?
Voleva dire
che la letteratura, dopo secoli in cui era stata gusto per la bella forma,
esercizio di stile, dimostrazione di abilità tecnica (e ciò, secondo lui, era
successo dal Rinascimento in poi), nell’età dell’Illuminismo, e precisamente
con Parini ed Alfieri, torna a radicarsi nella vita reale, nei problemi
concreti della società, torna ad essere (come lo era stata ai tempi di Dante)
pervasa da passione morale e civile.
10)
Contestualizzate e parafrasate i seguenti versi tratti da Il giorno di
Parini: "Ma che? Tu
inorridisci, e mostri in capo, / qual istrice pungente, irti i capegli / al
suon di mie parole? Ah non è questo, / Signore, il tuo mattin. Tu col cadente /
sol non sedesti a parca mensa, e al lume / dell’incerto crepuscolo non gisti /
ieri a corcarti in male agiate piume / come dannato è a far l’umile volgo." (Il Mattino, vv.
21-28)
Siamo
all’inizio del poema e l’autore, fingendo di insegnare al "giovin
signore" il giusto comportamento nei diversi momenti della giornata, ne
descrive il mattino. Parafrasi: Che succede? A sentir le mie parole inorridisci
e ti si drizzano i capelli in testa al punto che sembri un istrice con gli
aculei? Certo non è questo il modo in cui si svolge il tuo mattino. Tu al
tramonto non ti sei seduto a cenare ad una tavola modesta e non ti sei coricato
al calar delle prime tenebre in un letto poco comodo, come invece è condannato
a fare il popolo miserabile.
11) Chi è il
"signore" e quale è il "mattino" a cui ci si riferisce,
quando si dice "ah non è questo, Signore, il tuo mattin"?
Il
"signore" è il giovane aristocratico a cui l’autore si rivolge,
fingendo di esserne il precettore. Il "mattino" di cui si parla (e
che è diverso da quello del "signore") è quello del contadino e
dell’artigiano, che si alzano di buon ora per andare a lavorare (proprio a
quell’ora in cui, al contrario, il "giovin signore" ritorna a casa
dai suoi bagordi notturni).
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