Lettura di Voi ch'ascoltate in rime sparse
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,
del vario stile in ch'io piango et ragiono
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
Ma ben veggio or sí come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me mesdesmo meco mi vergogno;
et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
Il sonetto è il primo del Canzoniere, ma certo non in ordine
cronologico, perché fa riferimento ad una vicenda ormai conclusa e rispetto alla
quale il poeta si sente “in parte”
diverso; dunque è stato composto dopo le altre liriche (nel 47 o nel 49-50),
funge contemporaneamente da introduzione e conclusione.
Le “rime” sono chiamate “sparse”
(e l’espressione riecheggia quella di fragmenta):
ma la frammentarietà sarà da riferirsi al loro essere testi distinti e non un
unico poema, non certo alla mancanza di organicità dell’opera. Questa infatti,
con le sue 365 liriche (più il sonetto introduttivo), vuole invece presentarci,
pur nella sua contraddittorietà, lo svolgimento di un amore, dal suo insorgere
(il mio primo giovenile errore) al
riconoscimento della sua vanità (‘l conoscer
chiaramente / che quanto piace al mondo è breve sogno).
Il sonetto ha una struttura
bipartita, subito riconoscibile nell’esistenza di due soli periodi che
occupano, rispettivamente, le due quartine e le due terzine (a loro volta
suddivisi in due unità sintattiche, coincidenti con le singole strofe; non si può non notare il vistoso anacoluto
che caratterizza il primo periodo: il “voi” con cui si apre il componimento non
regge alcun verbo). Ma il carattere bipartito, caro al Petrarca, si ritrova
anche nelle coppie di termini antitetici che descrivono l’esperienza giovanile
(piango et ragiono; fra le vane speranze
e ‘l van dolore) e ancora nei versi che evocano il superamento dell’esperienza
amorosa (spero trovar pietà, nonché
perdono; e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente).
Al centro l’io del poeta (è il
soggetto di tutte le proposizioni, ad eccezione della prima e della settima), a
dimostrazione del fatto che il vero argomento dell’opera non è tanto l’amore
per Laura quanto il dramma interiore del poeta, il travaglio della sua
coscienza.
I due periodi, che si concludono rispettivamente
al verso 8 e la verso 14, indicano una progressione di senso, il passaggio da
un piano personale ad un piano universale: dalla speranza di “trovar pietà non che perdono” presso i
lettori in grado ci capire, si arriva alla affermazione conclusiva, di valore
universale, che “quanto piace al mondo è
breve sogno”.
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