ORLANDO FURIOSO (documenti - materiali)


Interventi di “regia” nel Furioso

 

     Canto 2
      
        30         Or a poppa, or all'orza hann'il crudele,[1]
               che mai non cessa, e vien più ognor crescendo:
               essi di qua di là con umil vele
               vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.
               Ma perché varie fila a varie tele
               uopo mi son, che tutte ordire intendo,
               lascio Rinaldo e l'agitata prua,
               e torno a dir di Bradamante sua.
        31         Io parlo di quella inclita donzella,
               per cui re Sacripante in terra giacque,
               che di questo signor degna sorella,
               del duca Amone e di Beatrice nacque.
               La gran possanza e il molto ardir di quella
               non meno a Carlo e tutta Francia piacque
               (che più d'un paragon ne vide saldo),
               che 'l lodato valor del buon Rinaldo.
 
    Canto 13
       
        42         La donna vecchia[2], amica a' malandrini,
               poi che restar tutti li vide estinti,
               fuggì piangendo e con le mani ai crini,
               per selve e boscherecci labirinti.
               Dopo aspri e malagevoli camini,
               a gravi passi e dal timor sospinti,
               in ripa un fiume in un guerrier scontrosse;
               ma diferisco a ricontar chi fosse:
        43         e torno all'altra, che si raccomanda
               al paladin che non la lasci sola;
               e dice di seguirlo in ogni banda.
               Cortesemente Orlando la consola;
               e quindi, poi ch'uscì con la ghirlanda
               di rose adorna e di purpurea stola
               la bianca Aurora al solito camino,
               partì con Isabella il paladino.
        44         Senza trovar cosa che degna sia
               d'istoria, molti giorni insieme andaro;
               e finalmente un cavallier per via,
               che prigione era tratto, riscontraro.
               Chi fosse, dirò poi; ch'or me ne svia
               tal, di chi udir non vi sarà men caro:
               la figliuola d'Amon, la qual lasciai
               languida dianzi in amorosi guai.
…………………………………………………….
        80         Ma lasciàn Bradamante, e non v'incresca
               udir che così resti in quello incanto; [3]
               che quando sarà il tempo ch'ella n'esca,
               la farò uscire, e Ruggiero altretanto.
               Come raccende il gusto il mutar esca,
               così mi par che la mia istoria, quanto
               or qua or là più variata sia,
               meno a chi l'udirà noiosa fia.
        81         Di molte fila esser bisogno parme
               a condur la gran tela ch'io lavoro.
               E però non vi spiaccia d'ascoltarme,
               come fuor de le stanze il popul Moro
               davanti al re Agramante ha preso l'arme,
               che, molto minacciando ai Gigli d'oro,
               lo fa assembrare ad una mostra nuova,
               per saper quanta gente si ritruova.
            Canto 20
      
       106         Ma vo' seguir la bellicosa donna, [4]
               prima, Signor, che di costor più dica.
               Passò Druenza, il Rodano e la Sonna,
               e venne a piè d'una montagna aprica.
               Quivi lungo un torrente, in negra gonna
               vide venire una femina antica,
               che stanca e lassa era di lunga via,
               ma via più afflitta di malenconia.
       107         Questa è la vecchia che solea servire
               ai malandrin nel cavernoso monte,
               là dove alta giustizia fe' venire
               e dar lor morte il paladino conte.
               La vecchia, che timore ha di morire
               per le cagion che poi vi saran conte,
               già molti dì va per via oscura e fosca,
               fuggendo ritrovar chi la conosca.
       108         Quivi d'estrano cavallier sembianza
               l'ebbe Marfisa all'abito e all'arnese;
               e perciò non fuggì, com'avea usanza
               fuggir dagli altri ch'eran del paese;
               anzi con sicurezza e con baldanza
               si fermò al guado, e di lontan l'attese:
               al guado del torrente, ove trovolla,
               la vecchia le uscì incontra e salutolla.
 
    Canto 23
 
        52         Poi che l'altro matin la bella Aurora
               l'aer seren fe' bianco e rosso e giallo,
               tutto 'l popul gridando: Mora, mora,
               vien per punir Zerbin del non suo fallo. [5]
               Lo sciocco vulgo l'accompagna fuora,
               senz'ordine, chi a piede e chi a cavallo;
               e 'l cavallier di Scozia a capo chino
               ne vien legato in s'un piccol ronzino.
        53         Ma Dio, che spesso gl'innocenti aiuta,
               né lascia mai ch'in sua bontà si fida,
               tal difesa gli avea già proveduta,
               che non v'è dubbio più ch'oggi s'uccida.
               Quivi Orlando arrivò, la cui venuta
               alla via del suo scampo gli fu guida.
               Orlando giù nel pian vide la gente
               che traea a morte il cavallier dolente.
        54         Era con lui quella fanciulla, quella
               che ritrovò ne la selvaggia grotta,
               del re galego la figlia Isabella,
               in poter già de' malandrin condotta,
               poi che lasciato avea ne la procella
               del truculento mar la nave rotta:
               quella che più vicino al core avea
               questo Zerbin, che l'alma onde vivea.
        55         Orlando se l'avea fatta compagna,
               poi che de la caverna la riscosse.
               Quando costei li vide alla campagna,
               domandò Orlando, chi la turba fosse.
               - Non so, - diss'egli; e poi su la montagna
               lasciolla, e verso il pian ratto si mosse.
               Guardò Zerbino, et alla vista prima
               lo giudicò baron di molta stima.
    
   Canto 23
      
       136         I pastor che sentito hanno il fracasso,
               lasciando il gregge sparso alla foresta,
               chi di qua, chi di là, tutti a gran passo
               vi vengono a veder che cosa è questa.
               Ma son giunto a quel segno il qual s'io passo
               vi potria la mia istoria esser molesta;
               et io la vo' più tosto diferire,
               che v'abbia per lunghezza a fastidire.
 
 

 






[1] Crudele è il vento nei confronti della nave di Rinaldo, che, per ordine di Carlo, sta andando in Bretagna a cercare rinforzi.

[2] E’ Gabrina, che custodiva Isabella, promessa sposa di Zerbino, rapita dai malandrini. Orlando ha ucciso i malandrini e l’ha liberata.

[3] E’ rimasta intrappolata, come Ruggero, nel palazzo del mago Atlante.

[4] E’ Marfisa, altra donna guerriero, che si separa da altri cavalieri

[5] Zerbino è stato accusato a torto di avere ucciso Pinabello

 

 

Interventi di “velatura” nel Furioso

 

 
     Canto 24
       
         1         Chi mette il piè su l'amorosa pania,
               cerchi ritrarlo, e non v'inveschi l'ale;
               che non è in somma amor, se non insania,
               a giudizio de' savi universale:
               e se ben come Orlando ognun non smania,
               suo furor mostra a qualch'altro segnale.
               E quale è di pazzia segno più espresso
               che, per altri voler, perder se stesso?
         2         Varii gli effetti son, ma la pazzia
               è tutt'una però, che li fa uscire.
               Gli è come una gran selva, ove la via
               conviene a forza, a chi vi va, fallire:
               chi su, chi giù, chi qua, chi là travia.
               Per concludere in somma, io vi vo' dire:
               a chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena,
               si convengono i ceppi e la catena.
         3         Ben mi si potria dir: - Frate, tu vai
               altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. -
               Io vi rispondo che comprendo assai,
               or che di mente ho lucido intervallo;
               et ho gran cura (e spero farlo ormai)
               di riposarmi e d'uscir fuor di ballo:
               ma tosto far, come vorrei, nol posso;
               che 'l male è penetrato infin all'osso.
         4         Signor, ne l'altro canto io vi dicea
               che 'l forsennato e furioso Orlando
               trattesi l'arme e sparse al campo avea,
               squarciati i panni, via gittato il brando,
               svelte le piante, e risonar facea
               i cavi sassi e l'alte selve; quando
               alcun'pastori al suon trasse in quel lato
               lor stella, o qualche lor grave peccato.
         5         Viste del pazzo l'incredibil prove
               poi più d'appresso e la possanza estrema,
               si voltan per fuggir, ma non sanno ove,
               sì come avviene in subitana tema.
               Il pazzo dietro lor ratto si muove:
               uno ne piglia, e del capo lo scema
               con la facilità che torria alcuno
               da l'arbor pome, o vago fior dal pruno.
        
         6         Per una gamba il grave tronco prese,
               e quello usò per mazza adosso al resto:
               in terra un paio addormentato stese,
               ch'al novissimo dì forse fia desto.
               Gli altri sgombraro subito il paese,
               ch'ebbono il piede e il buono aviso presto.
               Non saria stato il pazzo al seguir lento,
               se non ch'era già volto al loro armento.
         7         Gli agricultori, accorti agli altru' esempli,
               lascian nei campi aratri e marre e falci:
               chi monta su le case e chi sui templi
               (poi che non son sicuri olmi né salci),
               onde l'orrenda furia si contempli,
               ch'a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci,
               cavalli e buoi rompe, fraccassa e strugge;
               e ben è corridor chi da lui fugge.
 
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        64         Non può schivare al fine un gran fendente
               che tra 'l brando e lo scudo entra sul petto.
               Grosso l'usbergo, e grossa parimente
               era la piastra, e 'l panziron perfetto:
               pur non gli steron contra, et ugualmente
               alla spada crudel dieron ricetto.
               Quella calò tagliando ciò che prese,
               la corazza e l'arcion fin su l'arnese.
        65         E se non che fu scarso il colpo alquanto,
               per mezzo lo fendea come una canna;
               ma penetra nel vivo a pena tanto,
               che poco più che la pelle gli danna:
               la non profunda piaga è lunga quanto
               non si misureria con una spanna.
               Le lucid'arme il caldo sangue irriga
               per sino al piè di rubiconda riga.
        66         Così talora un bel purpureo nastro
               ho veduto partir tela d'argento
               da quella bianca man più ch'alabastro,
               da cui partire il cor spesso mi sento.
               Quivi poco a Zerbin vale esser mastro
               di guerra, et aver forza e più ardimento;
               che di finezza d'arme e di possanza
               il re di Tartaria troppo l'avanza.
 

 

 

La riduzione degli enjambement

nell’edizione definitiva del Furioso

 

Il Furioso nella edizione definitiva
(la riduzione degli enjambement)
   
    Canto 10
 
(Ruggero, si è liberato dagli incanti di Alcina con l’aiuto della maga Melissa ed è stato ammaestrato dalla fata Logistilla su come guidare l’Ippogrifo)
       
        68       Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
             da la fata gentil comiato prese,
             alla qual restò poi sempre congiunto
             di grande amore; e uscì di quel paese.
             Prima di lui che se n'andò in buon punto,
             e poi dirò come il guerriero inglese
             tornasse con più tempo e più fatica
             al magno Carlo et alla corte amica.
 
    Canto 11
 
(Ruggero assiste al duello fra un gigante e un cavaliere, che poi scoprirà essere Bradamante)
      
        17       E questo con lo scudo e con la spada,
             di qua di là saltando, si difende,
             perché la mazza sopra non gli cada,
             con che il gigante a due man sempre offende.
             Giace morto il cavallo in su la strada.
             Ruggier si ferma, e alla battaglia attende;
             e tosto inchina l'animo, e disia
             che vincitore il cavallier ne sia.
 
    Canto 12
 
(il mago Atlante ha costruito il palazzo per attirarvi Ruggero)
      
        22         Non pur costui, ma tutti gli altri ancora,
               che di valore in Francia han maggior fama,
               acciò che di lor man Ruggier non mora,
               condurre Atlante in questo incanto trama.
               E mentre fa lor far quivi dimora,
               perché di cibo non patischin brama,
               sì ben fornito avea tutto il palagio,
               che donne e cavallier vi stanno ad agio.
 
    Canto 1 (linearità sintattica e “parabola ad arco”)
 
        18       Poi che s'affaticâr gran pezzo invano
             i duo guerrier per por l'un l'altro sotto,
             quando non meno era con l'arme in mano
             questo di quel, né quel di questo dotto;
             fu primiero il signor di Montalbano,
             ch'al cavallier di Spagna fece motto,
             sì come quel c'ha nel cor tanto fuoco,
            che tutto n'arde e non ritrova loco.
Il Furioso nella prima edizione
 
 
 
 
 
 
 
 
Poi che Ruggier fu d’ogni cosa in punto,
avendo già debite grazie rese
a quelle donne, a cui sempre congiunto
col cor rimase, uscì di quel paese.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
Giace del cavallier in su la strada
morto il caval: Ruggier, ch’al fatto attende,
subito inchina l’animo….
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
perché di cibo e nutrimento brama
non abbiano a patire, avea il palagio
fornito sì, che vi si sta con agio.

 

 

“essere” e “apparire” nel Furioso

 

      Canto 1
       
               E così Orlando arrivò quivi a punto:
               ma tosto si pentì d'esservi giunto;
         7         che vi fu tolta la sua donna poi:
               ecco il giudicio uman come spesso erra!
               Quella che dagli esperii ai liti eoi
               avea difesa con sì lunga guerra,
               or tolta gli è fra tanti amici suoi,
               senza spada adoprar, ne la sua terra.
               Il savio imperator, ch'estinguer vòlse
               un grave incendio, fu che gli la tolse.
 
(Angelica e Sacripante si rivelano diversi da come appaiono)
         51        Ma non però disegna de l'affanno
               che lo distrugge alleggierir chi l'ama,
               e ristorar d'ogni passato danno
               con quel piacer ch'ogni amator più brama:
               ma alcuna finzione, alcuno inganno
               di tenerlo in speranza ordisce e trama;
               tanto ch'a quel bisogno se ne serva,
               poi torni all'uso suo dura e proterva.
        52         E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
               fa di sé bella et improvisa mostra,
               come di selva o fuor d'ombroso speco
               Diana in scena o Citerea si mostra;
               e dice all'apparir: - Pace sia teco;
               teco difenda Dio la fama nostra,
               e non comporti, contra ogni ragione,
               ch'abbi di me sì falsa opinione. –
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        57         - Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
               pigliar per sua sciochezza il tempo buono,
               il danno se ne avrà; che da qui inante
               nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
               (tra sé tacito parla Sacripante):
               ma io per imitarlo già non sono,
               che lasci tanto ben che m'è concesso,
               e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.
        58         Corrò la fresca e matutina rosa,
               che, tardando, stagion perder potria.
               So ben ch'a donna non si può far cosa
               che più soave e più piacevol sia,
               ancor che se ne mostri disdegnosa,
               e talor mesta e flebil se ne stia:
               non starò per repulsa o finto sdegno,
               ch'io non adombri e incarni il mio disegno. -
 
      Canto 2  (Angelica e l’eremita)
      
               Fuggendo non avea fatto via molta,
               che scontrò un eremita in una valle,
               ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
               devoto e venerabile d'aspetto.
        13         Dagli anni e dal digiuno attenuato,
               sopra un lento asinel se ne veniva;
               e parea, più ch'alcun fosse mai stato,
               di conscienza scrupolosa e schiva.
               Come egli vide il viso delicato
               de la donzella che sopra gli arriva,
               debil quantunque e mal gagliarda fosse,
                  tutta per carità se gli commosse.
 
        Canto 8
       
               Mentre a dir di Rinaldo attento sono,
               d'Angelica gentil m'è sovenuto,
               di che lasciai ch'era da lui fuggita,
               e ch'avea riscontrato uno eremita.
        30         Alquanto la sua istoria io vo' seguire.
               Dissi che domandava con gran cura,
               come potesse alla marina gire;
               che di Rinaldo avea tanta paura,
               che, non passando il mar, credea morire,
               né in tutta Europa si tenea sicura:
               ma l'eremita a bada la tenea,
               perché di star con lei piacere avea.
        31         Quella rara bellezza il cor gli accese,
               e gli scaldò le frigide medolle:
               ma poi che vide che poco gli attese,
               e ch'oltra soggiornar seco non volle,
               di cento punte l'asinello offese;
               né di sua tardità però lo tolle:
               e poco va di passo e men di trotto,
               né stender gli si vuol la bestia sotto.
    ……………………………………………..
        46         Come la donna il cominciò a vedere,
               prese, non conoscendolo, conforto;
               e cessò a poco a poco il suo temere,
               ben che ella avesse ancora il viso smorto.
               Come fu presso, disse: - Miserere,
               padre, di me, ch'i' son giunta a mal porto. -
               E con voce interrotta dal singulto
               gli disse quel ch'a lui non era occulto.
        47         Comincia l'eremita a confortarla
               con alquante ragion belle e divote;
               e pon l'audaci man, mentre che parla,
               or per lo seno, or per l'umide gote:
               poi più sicuro va per abbracciarla;
               et ella sdegnosetta lo percuote
               con una man nel petto, e lo rispinge,
               e d'onesto rossor tutta si tinge.
        48         Egli, ch'allato avea una tasca, aprilla,
               e trassene una ampolla di liquore;
               e negli occhi possenti, onde sfavilla
               la più cocente face ch'abbia Amore,
               spruzzò di quel leggiermente una stilla,
               che di farla dormire ebbe valore.
               Già resupina ne l'arena giace
               a tutte voglie del vecchio rapace.
        49         Egli l'abbraccia et a piacer la tocca,
               et ella dorme e non può fare ischermo.
               Or le bacia il bel petto, ora la bocca;
               non è chi 'l veggia in quel loco aspro et ermo.
               Ma ne l'incontro il suo destrier trabocca;
               ch'al disio non risponde il corpo infermo:
               era mal atto, perché avea troppi anni;
               e potrà peggio, quanto più l'affanni.
        50         Tutte le vie, tutti li modi tenta,
               ma quel pigro rozzon non però salta.
               Indarno il fren gli scuote, e lo tormenta;
               e non può far che tenga la testa alta.
               Al fin presso alla donna s'addormenta;

 

 

La pazzia nel Furioso

 

  
 
      Canto 8   (l’anello di Angelica)
 
         1         Oh quante sono incantatrici, oh quanti
               incantator tra noi, che non si sanno!
               che con lor arti uomini e donne amanti
               di sé, cangiando i visi lor, fatto hanno.
               Non con spirti constretti tali incanti,
               né con osservazion di stelle fanno;
               ma con simulazion, menzogne e frodi
               legano i cor d'indissolubil nodi.
         2         Chi l'annello d'Angelica, o più tosto
               chi avesse quel de la ragion, potria
               veder a tutti il viso, che nascosto
               da finzione e d'arte non saria.
               Tal ci par bello e buono, che, deposto
               il liscio, brutto e rio forse parria.
               Fu gran ventura quella di Ruggiero,
               ch'ebbe l'annel che gli scoperse il vero.
 
Canto 10 (le mura della rocca di Logistilla)
 
       58         Né la più forte ancor né la più bella
               mai vide occhio mortal prima né dopo.
               Son di più prezzo le mura di quella,
               che se diamante fossino o piropo.
               Di tai gemme qua giù non si favella:
               et a chi vuol notizia averne, è d'uopo
               che vada quivi; che non credo altrove,
               se non forse su in ciel, se ne ritruove.
        59         Quel che più fa che lor si inchina e cede
               ogn'altra gemma, è che, mirando in esse,
               l'uom sin in mezzo all'anima si vede;
               vede suoi vizii e sue virtudi espresse,
               sì che a lusinghe poi di sé non crede,
               né a chi dar biasmo a torto gli volesse:
               fassi, mirando allo specchio lucente
               se stesso, conoscendosi, prudente.
 
 
      Canto 34  (Astolfo sulla luna)
       
        73         Non stette il duca a ricercare il tutto;
               che là non era asceso a quello effetto.
               Da l'apostolo santo fu condutto
               in un vallon fra due montagne istretto,
               ove mirabilmente era ridutto
               ciò che si perde o per nostro diffetto,
               o per colpa di tempo o di Fortuna:
               ciò che si perde qui, là si raguna.
        74         Non pur di regni o di ricchezze parlo,
               in che la ruota instabile lavora;
               ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
               non ha Fortuna, intender voglio ancora.
               Molta fama è là su, che, come tarlo,
               il tempo al lungo andar qua giù divora:
               là su infiniti prieghi e voti stanno,
               che da noi peccatori a Dio si fanno.
        75         Le lacrime e i sospiri degli amanti,
               l'inutil tempo che si perde a giuoco,
               e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
               vani disegni che non han mai loco,
               i vani desidèri sono tanti,
               che la più parte ingombran di quel loco:
               ciò che in somma qua giù perdesti mai,
               là su salendo ritrovar potrai.
       ……………………………………….
       83           Era come un liquor suttile e molle,
               atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
               e si vedea raccolto in varie ampolle,
               qual più, qual men capace, atte a quell'uso.
               Quella è maggior di tutte, in che del folle
               signor d'Anglante era il gran senno infuso;
               e fu da l'altre conosciuta, quando
               avea scritto di fuor: «Senno d'Orlando».
        84         E così tutte l'altre avean scritto anco
               il nome di color di chi fu il senno.
               Del suo gran parte vide il duca franco;
               ma molto più maravigliar lo fenno
               molti ch'egli credea che dramma manco
               non dovessero averne, e quivi denno
               chiara notizia che ne tenean poco;
               che molta quantità n'era in quel loco.
        85         Altri in amar lo perde, altri in onori,
               altri in cercar, scorrendo il mar, richezze;
               altri ne le speranze de' signori,
               altri dietro alle magiche sciocchezze;
               altri in gemme, altri in opre di pittori,
               et altri in altro che più d'altro aprezze.
               Di sofisti e d'astrologhi raccolto,
               e di poeti ancor ve n'era molto.
 

 

 

 

 

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