PETRARCA (schede)

Il senso della caducità in Petrarca



U. BOSCO, Francesco Petrarca,
Laterza 1973, pp. 52-57.


In una lettera all’amico di giovinezza, divenuto vescovo, Filippo di Cabassole (Fam. XXIV, 1), Petrarca, ormai vecchio, analizza quel senso della caducità che gli è stato compagno per tutta la vita.
Dice che, sin da giovane studente, nei classici notava (e sottolineava: lo attestano i suoi vecchi libri), più che le questioni grammaticali, l’espressione di un’angoscia per la vita che fugge (in Orazio, Seneca, Cicerone). E questa è una dolorosa verità esistenziale che poi ha sperimentato in tutta la vita.
Si tratta quindi di un sentimento congenito allo spirito di Petrarca, senz’altro anteriore all’esperienza dell’amore; tale esperienza diverrà centrale perchè in essa si verifica, paradigmaticamente, l’angoscia dell’esistere: Laura è la bellezza e la giovinezza; la visione di lei è fissata in questi termini (anche nel ricordo), quasi a volere esorcizzare la dimensione del tempo che tutto trasforma (ma invano: la bella immagine è sempre contemplata con la paura che essa si dilegui[1]).
Da questo punto di vista può essere spiegata anche quell’aspirazione, quasi maniacale, alla gloria, che ossessiona Petrarca per tutta la vita: è un altro modo per cercare di sfuggire alla paura della morte; la gloria garantisce una “durata” oltre la brevità della vita.
Ma, soprattutto, anche la meditazione religiosa (lo arguiamo dalla Familiare) è posteriore a quel sentimento “costituzionale”: è l’approdo necessario per chi vuole sfuggire al tempo, al divenire, alla morte (né l’amore, né la gloria servono a ciò); quella dell’altra vita è la dimensione dove il presente è sempre soddisfacente (così nella Senile III, 9: “O lieta e sempre uguale vita celeste, che non conosce nè passato nè futuro: tutto è presente... Là ciò che una volta è piaciuto, sempre piace e sempre piacerà, immutabile ed eterno...”); laddove nella dimensione del tempo “noi odiamo sempre il presente, come odiammo il passato quando era presente, e odieremo il futuro quando verrà. Solo il ricordo e l’aspettativa sono dolci...[2] (ibidem).















[1]Con la certezza, anche: si veda il sonetto Erano i capei d’oro a l’aura sparsi, costruito proprio sull’antitesi fra ricordo del passato (quando splendeva la bellezza miracolosa - quasi stilnovistica - di Laura) e consapevolezza del presente (in cui - pur conservandosi l’amore -  quella bellezza è irrimediabilmente sfiorita).
[2]Non si può non notare come il passo sembri esattamente leopardiano (si pensi alle riflessioni sulla noia e sul piacere).

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