TECNICHE NARRATIVE (lezioni)

Narratologia
Bachtin oppone il romanzo ai generi alti (tragedia, lirica e, in particolare, epica); compare dopo la scrittura (si presta alla percezione muta, cioè alla lettura, mentre gli altri generi sono caratterizzati da una natura orale e sonora). Ancora, il romanzo non ha canone, è un genere in continuo divenire, e questo spiega perché trionfi in un’età (XVIII-XIX secc.) in cui è in atto un rivolgimento nei confronti della tradizione letteraria, in particolare nei confronti dei canoni (delle regole) propri dei generi classici. Inoltre, mentre l’epica ha per oggetto un passato “assoluto”, il tempo dei “primi” e dei “migliori”, non comparabile, sul piano dei valori, con il presente dei produttori e dei fruitori, il romanzo ha origine dai generi “bassi”, che annullano la distanza epica (il comico si fonda sulla vicinanza). E’ proprio del romanzo parlare del presente o di un passato accessibile.
Narrazione è l’atto del narrare in se stesso.
Racconto o discorso narrativo indica la narrazione sul piano dell’espressione.
Storia indica la narrazione sul piano del contenuto.
Intreccio designa l’insieme degli elementi della storia nell’ordine in cui sono disposti nel testo (con le eventuali inversioni logiche e temporali volute dall’autore).
Fabula indica gli stessi elementi ricostruiti in ordine logico e cronologico.
Il patto narrativo è quello che si instaura fra autore e lettore, per cui quest’ultimo accetta le convenzioni che il primo pone, in particolare è disposto a leggere come vera una storia che sa essere in larga parte fittizia, ne riconosce la verosimiglianza (ovviamente i criteri di accettabilità della verosimiglianza mutano a seconda delle epoche storiche, dei contesti culturali e dei generi letterari). Si attua così una lettura disponibile, diversa da quella ingenua (il lettore scambia per vera la storia, si immedesima totalmente) e da quella critica (non c’è immedesimazione, il lettore analizza le strutture, interpreta i significati nascosti; generalmente è “seconda” nel senso che è successiva a quella disponibile). 
Autore reale è la figura storica dello scrittore, che noi conosciamo attraverso documenti, a prescindere dalle informazioni che possiamo desumere dal testo narrativo.
Autore implicito designa l’idea dell’autore che ci facciamo esclusivamente sulla base del testo (Manzoni, autore bonario e sereno nei Promessi Sposi, ma nella realtà non era così; fiducioso nella validità del romanzo storico, ma di fatto, poco dopo la ventisettana, nel Discorso sul romanzo storico, condanna quel genere letterario; Verga, autore preverista e autore verista; Salgari, autore avventuroso, ma nella realtà era sedentario).
Narratore è il personaggio che dice “io” nel racconto; nel caso in cui la narrazione sia rigorosamente in terza persona, assolutamente impersonale, tende a confondersi con l’autore implicito (si parla di autore-narratore: i naturalisti francesi, Verga in Mastro don Gesualdo, Borgese in Rubè). Ma anche con la narrazione in prima persona può esserci l’identificazione, più o meno marcata, fra autore implicito e narratore, per dichiarazione dello stesso narratore: memorie (Goldoni, Casanova), confessioni (Agostino, Rousseau), autobiografie romanzate (Proust); ma, ovviamente, il testo è sempre una finzione letteraria, non un documento inoppugnabile sulla vita dell’autore reale. Particolare il caso dei Promessi Sposi, in cui l’autore implicito è anche il narratore (il quale narra, riscrivendola, una storia già narrata per iscritto dall’Anonimo, a cui l’aveva narrata oralmente Renzo)
Narratario è il personaggio (o i personaggi) cui esplicitamente il narratore dichiara di rivolgersi (la “lieta brigata” rispetto ai singoli narratori nel Decamerone; i venticinque lettori ironicamente indicati nei Promessi Sposi).
Lettore implicito designa quel pubblico per il quale intendeva scrivere l’autore, quel pubblico quindi a cui si conformano le scelte linguistiche, stilistiche, contenutistiche (il lettore implicito del Convivio o della Commedia è diverso da quello del De vulgari eloquentia; il “popolo”, ovvero la borghesia ottocentesca, è il lettore implicito dei Promessi Sposi).
Lettore reale indica tutti i lettori effettivi del testo, non ipotizzati dall’autore, anche quelli dei secoli successivi.
All’interno della narrazione si possono riscontrare più livelli, secondo due modalità:
della rielaborazione: Manzoni (narratore di 1° grado) dice di aver letto la storia nel manoscritto dell’Anonimo (narratore di 2° grado), il quale presumibilmente (PS, XXXVII, 81-83) l’ha sentita da Renzo (narratore di 3° grado);
della citazione: Boccaccio (narratore di 1° grado) narra la vicenda della “lieta brigata” (e direttamente, nell’introduzione alla IV giornata, la novella di Filippo Balducci), i cui componenti (dieci giovani: narratori di 2° grado) narrano cento novelle, al cui interno, a volte, ci sono personaggi che narrano (narratori di 3° grado: Melchisedech, in I, 3).
Più che la distinzione fra narrazione in III o in I persona, è appropriata la distinzione fra:
narratore esterno (racconta una storia a cui è estraneo; generalmente la narrazione è in terza persona, ma può essere anche sostenuta da enunciati in prima persona, nel senso che il narratore, pur essendo estraneo, interviene con commenti: Manzoni, Boccaccio, D’Annunzio ne Il piacere, Svevo in Senilità). In questo caso si può parlare anche di narratore eterodiegetico;
narratore interno (chi narra è il protagonista – Mattia Pascal o Silvestro di Conversazione in Sicilia - o un testimone della storia – Ishmael di Moby Dick o l’anonimo narratore di Eva: particolarmente in questo caso saranno prevalenti gli enunciati in terza persona). In questo caso si può fare un‘ulteriore distinzione fra narratore autodiegetico (quando il narratore è il protagonista stesso della storia, v. Mattia Pascal o Zeno) e narratore omodiegetico (quando il narratore è un personaggio, ma non il protagonista, della storia raccontata, v. Ishmael di Moby Dick o Adso de Il nome della rosa)
A seconda del punto di vista dal quale si immagina che gli eventi siano visti e giudicati, si parla di:
racconto non focalizzato (o a focalizzazione zero): il narratore ne sa e ne dice più di quanto ne sappia uno qualunque dei personaggi (è il caso del cosiddetto narratore onnisciente, generalmente esterno - tipico del romanzo del primo Ottocento, e quindi, ad esempio, dei Promessi Sposi - che può anticipare gli eventi, dire ciò che accade contemporaneamente in più luoghi, rivelare pensieri nascosti dei personaggi, ecc);
racconto a focalizzazione interna: il narratore dice solo ciò che sa il personaggio di cui adotta il punto di vista; può essere interna fissa (il punto di vista è sempre e solo quello di un solo personaggio (il protagonista: vedi Il fu Mattia Pascal), interna variabile (un narratore esterno adotta in diversi episodi il punto di vista di diversi personaggi: l’avvicinamento di Renzo all’Adda è descritto dal punto di vista di Renzo; il prelevamento di don Rodrigo da parte dei monatti è narrato dal punti di vista di don Rodrigo); interna multipla (uno stesso evento è descritto dai diversi punti di vista di più personaggi, come in certi romanzi epistolari, o in PS, XXXIV, 61-100: Renzo incrocia un milanese e gli si avvia incontro, togliendosi il cappello, per chiedergli informazioni; l’altro crede che in mano abbia “lo scatolino dell’unto” e gli vada incontro per appestarlo);
racconto a focalizzazione esterna: il narratore dice meno di quanto sappia il personaggio di cui in quel momento si narra (tipico della narrativa poliziesca, per creare suspence, ma anche della narrativa verista, che vuole creare l’impressione dell’impersonalità; De Roberto, nella Prefazione alle novelle intitolate Processi verbali, teorizzava la necessità di limitarsi a registrare i dialoghi accompagnandoli con minime didascalie, escludendo narrazione e descrizione).
Ovviamente si possono sempre trovare infrazioni: nella Recherche Proust, pur avendo adottato una focalizzazione interna, non la segue rigorosamente, perché il protagonista si mostra al corrente di eventi o pensieri diversi da quelli caduti sotto il suo punto di osservazione; in PS XXXIV, 237-261, Manzoni, pur avendo dichiarato di descrivere solo ciò che vide Renzo, aggiunge considerazioni che sono estranee a ciò che vede e pensa Renzo.

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