venerdì 27 novembre 2015

Tasso: l'episodio di Olindo e Sofronia nella Liberata

Olindo e Sofronia
 
dalla Gerusalemme Liberata (canto II, 14-36)
 
Il re di Gerusalemme, Aladino, su consiglio del mago Ismeno, aveva fatto prelevare da una chiesa cristiana l’immagine della Vergine e l’aveva fatta trasportare in una moschea. Questo, secondo il mago, avrebbe reso inespugnabile Gerusalemme. Ma qualcuno aveva sottratto l’immagine dalla moschea e Aladino, infuriato, aveva dato ordine che tutti i cristiani di Gerusalemme fossero trucidati. Per evitare ciò, la cristiana Sofronia decide di autoaccusarsi del furto.   
      
    
        14         Vergine era fra lor di già matura
               verginità, d'alti pensieri e regi,
               d'alta beltà; ma sua beltà non cura,
               o tanto sol quant'onestà se 'n fregi.
               È il suo pregio maggior che tra le mura
               d'angusta casa asconde i suoi gran pregi,
               e de' vagheggiatori ella s'invola
               a le lodi, a gli sguardi, inculta e sola.
        15         Pur guardia esser non può ch'in tutto celi
               beltà degna ch'appaia e che s'ammiri;
               tu il consenti, Amor, ma la riveli
               d'un giovenetto a i cupidi desiri.
               Amor, ch'or cieco, or Argo, ora ne veli
               di benda gli occhi, ora ce gli apri e giri,
               tu per mille custodie entro a i più casti
               verginei alberghi il guardo altrui portasti.
        16         Colei Sofronia, Olindo egli s'appella,
               d'una cittate entrambi e d'una fede.
               Ei che modesto è sì com'essa è bella,
               brama assai, poco spera, e nulla chiede;
               sa scoprirsi, o non ardisce; ed ella
               o lo sprezza, o no 'l vede, o non s'avede.
               Così fin ora il misero ha servito
               o non visto, o mal noto, o mal gradito.
        17         S'ode l'annunzio intanto, e che s'appresta
               miserabile strage al popol loro.
               A lei, che generosa è quanto onesta
               viene in pensier come salvar costoro.
               Move fortezza il gran pensier, l'arresta
               poi la vergogna e 'l verginal decoro;
               vince fortezza, anzi s'accorda e face
               vergognosa e la vergogna audace.
        18         La vergine tra 'l vulgo uscì soletta,
               non coprì sue bellezze, e non l'espose,
               raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,
               con ischive maniere e generose.
               Non sai ben dir s'adorna o se negletta,
               se caso od arte il bel volto compose.
               Di natura, d'Amor, de' cieli amici
               le negligenze sue sono artifici.
        19         Mirata da ciascun passa, e non mira
               l'altera donna, e innanzi al re se 'n viene.
               , perché irato il veggia, il piè ritira,
               ma il fero aspetto intrepida sostiene.
               - Vengo, signor, - gli disse - e 'ntanto l'ira
               prego sospenda e 'l tuo popolo affrene:
               vengo a scoprirti, e vengo a darti preso
               quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso. -
        20         A l'onesta baldanza, a l'improviso
               folgorar di bellezze altere e sante,
               quasi confuso il re, quasi conquiso,
               frenò lo sdegno, e placò il fer sembiante.
               S'egli era d'alma o se costei di viso
               severa manco, ei diveniane amante;
               ma ritrosa beltà ritroso core
               non prende, e sono i vezzi esca d'Amore.
        21         Fu stupor, fu vaghezza, e fu diletto,
               s'amor non fu, che mosse il cor villano.
               - Narra - ei le dice - il tutto; ecco, io commetto
               che non s'offenda il popol tuo cristiano. -
               Ed ella: - Il reo si trova al tuo cospetto:
               opra è il furto, signor, di questa mano;
               io l'imagine tolsi, io son colei
               che tu ricerchi, e me punir tu déi. -
        22         Così al publico fato il capo altero
               offerse, e 'l volse in sé sola raccòrre.
               Magnanima menzogna, or quand'è il vero
               bello che si possa a te preporre?
               Riman sospeso, e non sì tosto il fero
               tiranno a l'ira, come suol, trascorre.
               Poi la richiede: - I' vuo' che tu mi scopra
               chi diè consiglio, e chi fu insieme a l'opra. -
 
       
       23         - Non volsi far de la mia gloria altrui
               pur minima parte; - ella gli dice
               - sol di me stessa io consapevol fui,
               sol consigliera, e sola essecutrice. -
               - Dunque in te sola - ripigliò colui
               - caderà l'ira mia vendicatrice. -
               Diss'ella: - È giusto: esser a me conviene,
               se fui sola a l'onor, sola a le pene. -
        24         Qui comincia il tiranno a risdegnarsi;
               poi le dimanda: - Ov'hai l'imago ascosa?
               - Non la nascosi, - a lui risponde - io l'arsi,
               e l'arderla stimai laudabil cosa;
               così almen non potrà più violarsi
               per man di miscredenti ingiuriosa.
               Signore, o chiedi il furto, o 'l ladro chiedi:
               quel no 'l vedrai in eterno, e questo il vedi.
        25         Benché né furto è il mio, né ladra i' sono:
               giust'è ritòr ciò ch'a gran torto è tolto. -
               Or, quest'udendo, in minaccievol suono
               freme il tiranno, e 'l fren de l'ira è sciolto.
               Non speri più di ritrovar perdono
               cor pudico, alta mente e nobil volto;
               e 'ndarno Amor contr'a lo sdegno crudo
               di sua vaga bellezza a lei fa scudo.
        26         Presa è la bella donna, e 'ncrudelito
               il re la danna entr'un incendio a morte.
               Già 'l velo e 'l casto manto a lei rapito,
               stringon le molli braccia aspre ritorte.
               Ella si tace, e in lei non sbigottito,
               ma pur commosso alquanto è il petto forte;
               e smarrisce il bel volto in un colore
               che non è pallidezza, ma candore.
        27         Divulgossi il gran caso, e quivi tratto
               già 'l popol s'era: Olindo anco v'accorse.
               Dubbia era la persona e certo il fatto;
               venia, che fosse la sua donna in forse.
               Come la bella prigionera in atto
               non pur di rea, ma di dannata ei scorse,
               come i ministri al duro ufficio intenti
               vide, precipitoso urtò le genti.
        28         Al re gridò: - Non è, non è già rea
               costei del furto, e per follia se 'n vanta.
               Non pensò, non ardì, né far potea
               donna sola e inesperta opra cotanta.
               Come ingannò i custodi? e de la Dea
               con qual arti involò l'imagin santa?
               Se 'l fece, il narri. Io l'ho, signor, furata. -
               Ahi! tanto amò la non amante amata.
               (…………………………………..)
        33         Composto è lor d'intorno il rogo omai,
               e già le fiamme il mantice v'incita,
               quand'il fanciullo in dolorosi lai
               proruppe, e disse a lei ch'è seco unita:
               - Quest'è dunque quel laccio ond'io sperai
               teco accoppiarmi in compagnia di vita?
               questo è quel foco ch'io credea ch'i cori
               ne dovesse infiammar d'eguali ardori?
        34         Altre fiamme, altri nodi Amor promise,
               altri ce n'apparecchia iniqua sorte.
               Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divise,
               ma duramente or ne congiunge in morte.
               Piacemi almen, poich'in sì strane guise
               morir pur déi, del rogo esser consorte,
               se del letto non fui; duolmi il tuo fato,
               il mio non già, poich'io ti moro a lato.
        35         Ed oh mia sorte aventurosa a pieno!
               oh fortunati miei dolci martìri!
               s'impetrarò che, giunto seno a seno,
               l'anima mia ne la tua bocca io spiri;
               e venendo tu meco a un tempo meno,
               in me fuor mandi gli ultimi sospiri. -
               Così dice piangendo. Ella il ripiglia
               soavemente, e 'n tai detti il consiglia:
        36         - Amico, altri pensieri, altri lamenti,
               per più alta cagione il tempo chiede.
               Ché non pensi a tue colpe? e non rammenti
               qual Dio prometta a i buoni ampia mercede?
               Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti,
               e lieto aspira a la superna sede.
               Mira 'l ciel com'è bello, e mira il sole
               ch'a sé par che n'inviti e ne console. -

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