domenica 29 novembre 2015

Ariosto: dalla Satira III

L’ideale della vita tranquilla  (dalla Satira III)
      
       
        28        So ben che dal parer dei più mi tolgo,
        29   che 'l stare in corte stimano grandezza,
        30   ch'io pel contrario a servitù rivolgo.
        31        Stiaci volentier dunque chi la apprezza;
        32   fuor n'uscirò ben io, s'un dì il figliuolo
        33   di Maia vorrà usarmi gentilezza.
        34        Non si adatta una sella o un basto solo
        35   ad ogni dosso; ad un non par che l'abbia,
        36   all'altro stringe e preme e gli dà duolo.
        37        Mal può durar il rosignuolo in gabbia,
        38   più vi sta il gardelino, e più il fanello;
        39   la rondine in un dì vi mor di rabbia.
        40        Chi brama onor di sprone o di capello,
        41   serva re, duca, cardinale o papa;
        42   io no, che poco curo questo e quello.
        43        In casa mia mi sa meglio una rapa
        44   ch'io cuoca, e cotta s'un stecco me inforco,
        45   e mondo, e spargo poi di acetto e sapa,
        46        che all'altrui mensa tordo, starna o porco
        47   selvaggio; e così sotto una vil coltre,
        48   come di seta o d'oro, ben mi corco.
        49        E più mi piace di posar le poltre
        50   membra, che di vantarle che alli Sciti
        51   sien state, agli Indi, alli Etiopi, et oltre.
        52        Degli uomini son varii li appetiti:
        53   a chi piace la chierca, a chi la spada,
        54   a chi la patria, a chi li strani liti.
        55        Chi vuole andare a torno, a torno vada:
        56   vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;
        57   a me piace abitar la mia contrada.
        58        Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna,
        59   quel monte che divide e quel che serra
        60   Italia, e un mare e l'altro che la bagna.
        61        Questo mi basta; il resto de la terra,
        62   senza mai pagar l'oste, andrò cercando
        63   con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra;
        64        e tutto il mar, senza far voti quando
        65   lampeggi il ciel, sicuro in su le carte
        66   verrò, più che sui legni, volteggiando.
 
 
Gli uomini e la luna    (dalla Satira III)
      
 
       208        Nel tempo ch'era nuovo il mondo ancora
       209   e che inesperta era la gente prima
       210   e non eran l'astuzie che sono ora,
       211        a piè d'un alto monte, la cui cima
       212   parea toccassi il cielo, un popul, quale
       213   non so mostrar, vivea ne la val ima;
       214        che più volte osservando la inequale
       215   luna, or con corna or senza, or piena or scema,
       216   girar il cielo al corso naturale;
       217        e credendo poter da la suprema
       218   parte del monte giungervi, e vederla
       219   come si accresca e come in sé si prema;
       220        chi con canestro e chi con sacco per la
       221   montagna cominciar correr in su,
       222   ingordi tutti a gara di volerla.
       223        Vedendo poi non esser giunti più
       224   vicini a lei, cadeano a terra lassi,
       225   bramando in van d'esser rimasi giù.
       226        Quei ch'alti li vedean dai poggi bassi,
       227   credendo che toccassero la luna,
       228   dietro venian con frettolosi passi.
       229        Questo monte è la ruota di Fortuna,
       230   ne la cui cima il volgo ignaro pensa
       231   ch'ogni quiete sia, né ve n'è alcuna.
       232        Se ne l'onor si trova o ne la immensa
       233   ricchezza il contentarsi, i' loderei
       234   non aver, se non qui, la voglia intensa;
       235        ma se vediamo i papi e i re, che dèi
       236   stimiamo in terra, star sempre in travaglio,
       237   che sia contento in lor dir non potrei.

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