martedì 11 aprile 2017

(IV) La poesia di Montale: da Clizia a Volpe alle "Conclusioni provvisorie"


Volpe e L’anguilla
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Maria Luisa Spaziani (Volpe)

1.      Ma è una speranza che va delusa. L’incarnazione nella storia dei valori, cristiani e umanistici, non si realizza. Ecco allora la scoperta di un altro valore, quello della vitalità e della forza degli istinti. Se Clizia è la donna-angelo, portatrice di valori intellettuali e morali, un’altra figura femminile, la Volpe (al secolo la poetessa Maria Luisa Spaziani) rappresenta il mondo concreto, tutto terreno e materiale, dell’eros e della passione. Volpe – presente nella terza raccolta, La bufera e altro è l’anti-Beatrice che può garantire solo una salvezza “privata” per il poeta, non per “tutti”, come invece era annunciato da Clizia.
2.      A Volpe sono associate allegorie di animali (l’anguilla, il gallo cedrone) che indicano la strada della salvezza non nella cultura o nei valori cristiani, ma nel fango (e nella vitalità) dell’eros e degli istinti. L’anguilla, che risale dall’acqua e dalla melma alle vette degli Appennini per andare a riprodursi, diventa in particolare l’emblema di questa celebrazione della pura forza biologica. E’ “sorella” di Clizia, ma testimone di una speranza che si annida in basso, nel terreno, non in alto, nel cielo.

L’anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli[1] di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri[2] o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde[3] che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito[4];
l’iride breve[5], gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?

3.      Qui al topos montaliano del paesaggio arso e desolato (ribadito più volte: pozze d’acquamorta, i disseccati ruscelli pirenaici, morde l’arsura e la desolazione, incarbonirsi, bronco seppellito) si contrappone la inesauribile vitalità dell’anguilla, indicata da immagini di luce e di energia (guizzo, torcia, frusta, freccia d’Amore, anima verde, scintilla, iride breve).
4.      Il “gemellaggio” fra l’iride-anguilla e l’iride di Clizia (è lei, secondo tutti gli interpreti, la donna cui il poeta si rivolge con la domanda retorica nei versi finali), ed anche la comunanza del fango in cui sono immersi sia l’anguilla che Clizia, sembrano indicare la via di salvezza nella tenacia con cui la forza vitale, la potenza dell’eros, resistono alla negatività della storia.

La struttura “anguillare” del testo

5.      Una riflessione va fatta anche sulla struttura originale del testo. Qualcuno ha parlato di “struttura anguillare”. Infatti l’alternanza fra versi lunghi (di 14 sillabe) e versi brevi (di 7 sillabe) sembra richiamare sia il profilo dell’anguilla sia il suo modo di procedere a zig zag. Ma anche la struttura sintattica può ricordare il corpo allungato dell’anguilla. La poesia è infatti costituita da un unico lungo periodo interrogativo (una interrogativa retorica), che comincia con il complemento oggetto (l’anguilla) e finisce con il soggetto e il verbo (puoi tu non crederla). In mezzo, una serie di apposizioni che definiscono il significato letterale ed allegorico dell’anguilla.  L’ultima parola (sorella, tecnicamente il predicativo dell’oggetto), richiama fonicamente (è quasi in rima) l’oggetto cui si riferisce (l’anguilla del primo verso). Ma l’anguilla è richiamata anche dal ricorrere di parole in cui è presente la doppia liquida (la elle): capello, gorielli, ancora anguilla, ruscelli, scintilla, seppellito, gemella, quella, brillare, sorella.

Le Conclusioni provvisorie: Il sogno del prigioniero

6.      Ma una salvezza solo privata, non “per tutti” (tale è definita in Anniversario: “il dono che sognavo / non per me ma per tutti / appartiene a me solo”) equivale a una sconfitta, ed ecco l’ultima sezione de La bufera (Conclusioni provvisorie), composta di due sole poesie, in cui nella prima (Piccolo testamento) si preannuncia la catastrofe del mondo occidentale, cui resiste soltanto la fiammella di una poesia che ha continuato, flebile ma tenace, a denunciare la negatività dell’esistenza; e nella seconda (Il sogno del prigioniero) si denuncia la condizione di prigionia in cui si vive (è una condizione esistenziale, a prescindere da riferimenti a lager nazisti o gulag staliniani, che pure sono evidentemente il motivo ispiratore) ed in cui si può solo sognare una vita diversa (cito il verso finale, bellissimo: “il mio sogno di te non è finito”: non è finita la speranza in un mondo diverso, ma quel tu rimanda ancora una volta ad una figura femminile; che sia Clizia o Volpe non importa, perché ogni significato allegorico porta in sé anche un significato letterale, e allora questa è anche la dichiarazione di un amore che non si estingue, di un amore che solo può liberare dalla prigionia, può salvare dalla negatività dell’esistenza: L’attesa è lunga, / il mio sogno di te non è finito).

Albe e notti qui variano per pochi segni.

Il zigzag degli storni[6] sui battifredi[7]
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d'aria polare,
l'occhio del capoguardia dello spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolio dalle cave, girarrosti
veri o supposti - ma la paglia é oro,
la lanterna vinosa é focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.

La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
può salvarsi da questo sterminio d'oche ;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d'altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel paté
destinato agl'Iddii pestilenziali.

Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull'impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
sciorinate all'aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati[8] dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo è il minuto -

e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito. L'attesa é lunga,
il mio sogno di te non e finito.

Le Conclusioni provvisorie: Piccolo testamento

7.      Leggiamo Piccolo testamento:

Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d’officina
che alimenti
chierico rosso o nero.
Solo quest’iride posso
lasciarti a testimonianza
d’una fede che fu combattuta,
d’una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, del Hudson, della Senna
scuotendo l’ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.
Non è un’eredità, un portafortuna
che può reggere all’urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l’estinzione.
Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio
non era fuga, l’umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.

8.      Si era nel dopo guerra, in tempi di feroci polemiche sul ruolo degli intellettuali, e da sinistra si accusò Montale di essere un piccolo borghese, incapace di comprendere i conflitti della storia, di partecipare, con la sua scrittura, alle lotte per il progresso sociale. Montale rispose così:  L'argomento della mia poesia (...) è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio (...). Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia.” 
9.      Piccolo testamento è ancora una risposta a quelle accuse. La donna a cui il poeta si rivolge può essere Clizia o Volpe. Non conta, perché qui è il poeta che difende la sua testarda coerenza, il senso della sua poesia che è rimasta sempre fedele ad una ostinata ricerca morale, mai sedotta da dogmi e ideologie (da lume di chiesa o d’officina / che alimenti / chierico rosso o nero).
10.   Certo, quella della poesia è una luce debole (traccia madreperlacea di lumaca, smeriglio di vetro, tenue bagliore) che non può reggere alla violenza della storia (all’urto dei monsoni); ma è pur sempre una luce, e chi è capace di vederla e riconoscerla potrà salvarsi quando spenta ogni lampada / la sardana si farà infernale, quando le forze del male che agiscono nella storia prenderanno il sopravvento (la poesia è scritta nel 1953, e si sente qui l’angoscia per la possibilità di una catastrofe nucleare).


[1] Rigagnoli.
[2] Fossati.
[3] Viva, vitale.
[4] Ramo secco, ricoperto di terra.
[5] La stessa anguilla, o i suoi occhi.
[6] Gli uccelli, ma anche gli aerei.
[7] Le torri di guardia.
[8] Ciambella toscana di pane dolce.

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