Premessa
1. Presentare Montale non è impresa facile,
sia perché non si tratta di un poeta di
facile comprensione, sia perché ci sono diversi momenti nella sua produzione, diversi pur nella persistenza
di una tematica di fondo. Io ho cercato di delineare un percorso, che in
qualche modo dia conto di questi diversi momenti, e l’ho fatto sostenendo il
mio discorso con la lettura di alcune poesie, scelte, a mio giudizio, fra le
più belle e significative – e ovviamente, per necessità di tempo, trascurandone
altre, altrettanto belle e significative.
2. Leggo
le poesie e cerco di spiegarle letteralmente e di interpretarle. L’impresa,
dicevo, non è sempre facile. A volte ci
aiuta lo stesso Montale, il quale, appositamente interpellato, ha fornito
dei chiarimenti sul senso di alcuni versi e di alcune immagini. Altre volte la comprensione letterale e
l’interpretazione allegorica a me sembrano totalmente affidate al lettore.
Una
linea che parte da Pascoli…
3.
Montale è un poeta che si colloca
pienamente nella tradizione poetica del nostro Novecento, nel senso che non è
difficile riconoscere nella sua poesia ascendenze
che rimandano ai due maestri della poesia italiana del Novecento, ovvero
Pascoli e D’Annunzio.
4.
Dico Pascoli, ma meglio dovrei dire
quella linea che congiunge Pascoli ai poeti crepuscolari e che si caratterizza
per la predilezione delle cosiddette
“piccole cose”, per l’introduzione in poesia di cose, oggetti
tradizionalmente esclusi, in quanto appartenenti alla realtà “bassa”, alla
quotidianità, e quindi indegni della “altezza” della poesia. Pascoli, in una
lettera del 1899 al pittore Antony de Witt, indicava in questo
modo l’intenzione di estendere il diritto di cittadinanza in poesia a tutti gli
elementi della realtà: “Le anime e le
cose, sieno esse grandi o piccole, buone o cattive, belle o brutte, hanno tutte
un quid poetico in esse celato, celato più o meno: il poeta ve lo coglie e ne
fa la poesia: come l’ape che, sia il fiore amaro o dolce, grande o piccolo, sia
trifoglio o rosa, vistoso o umile, ne estrae sempre quel miele.”
5.
E’ un pensiero perfettamente coerente con la
cosiddetta “poetica del fanciullino”:
il poeta è un fanciullo, e dunque è attratto ed emozionato non solo da ciò che
è grande e vistoso, ma anche da ciò che è piccolo ed apparentemente insignificante.
6.
Chi conosce la poesia di Pascoli sa bene
come gli elementi che costituiscono il paesaggio della campagna, ma anche le
piccole cose, gli oggetti della vita quotidiana siano sempre nominati con
precisione: gli alberi non sono mai genericamente alberi, ma meli, peri,
ciliegi, faggi, ecc.; gli uccelli non saranno uccelli, ma puffini, tordi,
cinciallegre, ecc.. Del resto si pensi che Pascoli ha dedicato un poemetto alla piadina, un altro al bucato…
7.
Certo, nella poesia di Pascoli c’è
dell’altro, Pascoli è un visionario,
sente come pochi altri la contiguità fra il mondo dei vivi e il mondo dei
morti, dietro le piccole cose si nascondono sensazioni e sentimenti
inquietanti. Ma questa sua predilezione per il tono basso della poesia ha fatto
scuola, i poeti crepuscolari, in polemica antidannunziana, lo riprendono e lo
esasperano.
…
passa per Gozzano
8.
Se Pascoli aveva parlato del trifoglio
per rivendicare la dignità poetica delle piccole cose, Gozzano, il più
significativo dei crepuscolari, va ancora più in là. Sentite questi versi
tratti da La signorina Felicita:
Sei
quasi brutta, priva di lusinga
nelle
tue vesti quasi campagnole,
ma
la tua faccia buona e casalinga,
ma
i bei capelli di color di sole,
attorti
in minutissime trecciuole,
ti
fanno un tipo di beltà fiamminga...
E
rivedo la tua bocca vermiglia
così
larga nel ridere e nel bere,
e
il volto quadro, senza sopracciglia,
tutto
sparso d'efelidi leggiere
e
gli occhi fermi, l'iridi sincere
azzurre d'un
azzurro di stoviglia...
Tu
m'hai amato. Nei begli occhi fermi
rideva
una blandizie femminina.
Tu
civettavi con sottili schermi,
tu
volevi piacermi, Signorina:
e
più d'ogni conquista cittadina
mi
lusingò quel tuo voler piacermi!
Ogni
giorno salivo alla tua volta
pel
soleggiato ripido sentiero.
Il
farmacista non pensò davvero
un'amicizia
così bene accolta,
quando
ti presentò la prima volta
l'ignoto
villeggiante forestiero.
Talora
- già la mensa era imbandita -
mi
trattenevi a cena. Era una cena
d'altri
tempi, col gatto e la falena
e la stoviglia
semplice e fiorita
e
il commento dei cibi e Maddalena
decrepita,
e la siesta e la partita...
Per
la partita, verso ventun'ore
giungeva
tutto l'inclito collegio
politico
locale: il molto Regio
Notaio,
il signor Sindaco, il Dottore;
ma
- poiché trasognato giocatore -
quei
signori m'avevano in dispregio...
M'era
più dolce starmene in cucina
tra
le stoviglie a vividi colori:
tu
tacevi, tacevo, Signorina:
godevo
quel silenzio e quegli odori
tanto
tanto per me consolatori,
di
basilico d'aglio di cedrina...
Maddalena
con sordo brontolio
disponeva
gli arredi ben detersi,
rigovernava
lentamente ed io,
già
smarrito nei sogni più diversi,
accordavo
le sillabe dei versi
sul
ritmo eguale dell'acciottolio.
9.
Al di là del trifoglio pascoliano, per
rimanere al mondo vegetale, ci sono le piante
da cucina, il basilico, l’aglio, la cedrina. E ci sono anche, con
tutt’altro valore rispetto a Pascoli, le piccole cose della quotidianità: il gatto, la falena, le stoviglie…
10.
Montale
amava Gozzano, diceva di lui che era stato “il primo che abbia dato scintille facendo
cozzare l’aulico col prosaico ”, in quanto “fondò la sua poesia sull’urto, o choc, di una materia psicologicamente
povera, frusta, apparentemente adatta ai soli toni minori, con una sostanza
verbale ricca, gioiosa, estremamente compiaciuta di sé ”. Fare cozzare
l’aulico col prosaico, è una modalità, vedremo, propria anche di Montale:
Gozzano lo fa continuamente, ad esempio, nella strofa in cui descrive la
bellezza “quasi campagnola” di
Felicita, accosta – nel luogo della rima, dove il rilievo è maggiore – una
parola della quotidianità come “casalinga” ad una parola, “fiamminga”,
che evoca un riferimento coltissimo alla pittura; ma anche sotto, le “iridi
sincere” degli occhi sono accostate
all’azzurro delle stoviglie. Ma sentite anche questa strofa:
Tu non fai versi. Tagli le camicie
per tuo padre. Hai fatta la seconda
classe, t’han detto che la Terra è tonda,
ma tu non credi.... E non mediti Nietzsche....
Mi piaci. Mi faresti più felice
d’un’intellettuale gemebonda....
11.
La scintilla scocca grazie
all’accostamento, in rima, fra una parola del lessico quotidiano come “camicie”
e il nome di un filosofo di altissimo livello (Nietzsche).
…
e arriva a Montale: I limoni
12.
Ebbene, se c’è una poesia di Montale che
senz’altro rivela, proprio nell’incipit, l’appartenenza dello stesso a questa
linea che va da Pascoli ai crepuscolari, è I limoni, nella prima raccolta, Ossi di seppia (1925-28):
Ascoltami, i
poeti laureati
si muovono
soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le
gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.
Vedi, in
questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma
l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
13.
La polemica contro i “poeti laureati” (quelli cinti da una corona di alloro, quelli con
la voce forte e chiara, come Carducci o D’Annunzio) si concretizza nel
riferimento a piante rare e illustri (altro che il trifoglio di Pascoli o il
basilico, l’aglio e la cedrina di Gozzano): a tali piante Montale oppone gli “erbosi
fossi”, i “ciuffi delle canne” e
gli “alberi dei limoni”.
I
limoni:
la tematica
14.
Ma è una poesia, questa, che già enuncia
pienamente la tematica cara a Montale. Montale avverte un senso di estraneità rispetto al mondo circostante,
si sente in “disarmonia” o “inadatto”
(sono parole che usa lui stesso; e aggiunge anche: mi sentivo come rinchiuso in una “campana di vetro”).
Il mondo fenomenico, nel quale viviamo, gli pare falso, inautentico, eppure è il mondo che ci contiene, come una
prigione dalla quale non si può evadere. Non a caso sono spesso nominati
oggetti che indicano la chiusura, l’impedimento, il muro in particolare: “l’erto
muro” in In limine, lo “scalcinato muro” in Non chiederci la parola, la “muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” in Meriggiare pallido e assorto, “la
rete che ci stringe” ancora in In
limine; e si potrebbe continuare.
15.
Ma ci sono occasioni, momenti miracolosi, in cui sembra aprirsi uno squarcio,
sembra rompersi la rete che ci imprigiona, ed è possibile, per un momento, attingere ad una verità profonda, entrare
in una dimensione di autenticità e sentirsi finalmente in armonia. Vedere il
giallo dei limoni e sentirne l’odore è uno di questi momenti (questo il senso
delle strofe 2 e 3).
16.
Ma è un momento precario, destinato a
venir meno. Tale è il senso del passaggio
dalla campagna alla città e dalla stagione estiva a quella invernale: nell’inverno
cittadino si ricompone l’inganno usuale della realtà fenomenica, un inganno
rotto occasionalmente dalla vista, “tra
gli alberi di una corte” del giallo dei limoni.
I
limoni:
il linguaggio e il “correlativo oggettivo”
17.
Qualche osservazione sul linguaggio.
Anche Montale, come Gozzano, ama far cozzare l’aulico col prosaico: agli elementi della quotidianità (si
pensi ad esempio ad una espressione propria del parlato quale “Io, per me, amo le strade…) sono associate parole o espressioni colte o
rare: sparuta (l’anguilla) susurro (con una esse sola), piove (usato transitivamente), divertite (è un latinismo), cimase (parola già in Pascoli e
Gozzano), s’affolta (per s’addensa). Anche
la sintassi, pur abbastanza lineare, non è priva di ricercatezza: oltre al piove usato transitivamente, sottolineo
il ricorrere dell’anastrofe (agguantano i
ragazzi, si ascolta il susurro, … tace la guerra, ci riporta il tempo,
s’affolta il tedio, ecc.)
18.
Ma Montale è anche molto attento alla
musicalità, al livello fonico della poesia: i richiami in rima sono frequenti,
non solo a fine di verso, ma anche interni (laureati,
usati; dolcezza, ricchezza; indaga, dilaga; umana, allontana); notevole la
rima in chiasmo al v. 42 (avara, amara,
con richiamo fonico anche con anima).
Ma i legami fonici sono anche dati da assonanze e consonanze (piante, acanti; muove, odore; portone, corte).
19.
A me non sembra casuale anche l’uso
nelle prime strofe di parole dal suono
duro, aspro, quasi a significare, sul piano fonico, l’asprezza del vivere:
tali sono le ricorrenti parole con la doppia zeta (pozzanghere, mezzo, ragazzi, viuzze, gazzarre, azzurro) affiancate
ad altre dal suono altrettanto duro (seccate,
agguantano, ciuffi).
20.
Ma notiamo già un’altra caratteristica
della poesia di Montale: è una poesia
“di cose” – ha detto un critico – non
“di parole”, e voleva dire che quella di Montale non è una poesia della
parola pura, della parola unica e significativa che emerge dal silenzio, come
per Ungaretti, che appunto isola la parola nel verso perché esprima appieno
l’intensità del suo significato. Montale
nomina cose, oggetti concreti (li nomina con precisione, in questo è
pascoliano), rifugge, per quanto possibile, dalle astrazioni. Gli oggetti
diventano così gli emblemi, o meglio, per usare un’espressione tratta da Eliot,
il “correlativo oggettivo” del suo
stato d’animo, del suo sentire. Qui, ad esempio, gli erbosi fossi, le pozzanghere,
l’anguilla, i ciuffi della canne, gli alberi
dei limoni; e poi più avanti l’anello
che non tiene, il filo da
disbrogliare, ecc.).
Il
“correlativo oggettivo”: Spesso il male
di vivere ho incontrato
21.
E’ una caratteristica che vediamo bene
in un’altra poesia, fra le più famose, Spesso il male di viere ho incontrato:
Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
22.
Il male di vivere è rappresentato, nella
prima quartina, con tre “cose” concrete,
tre elementi della natura: il rivo
strozzato che gorgoglia (una strettoia, dove l’acqua del ruscello fatica a
passare, e il suo gorgogliare sembra un lamento), l'incartocciarsi della foglia riarsa (una foglia rinsecchita dal
sole, che si accartoccia, e in questo accartocciarsi c’è la sofferenza
determinata dalla perdita dei fluidi vitali: del resto il motivo dell’aridità, della secchezza, è ricorrente nella poesia
montaliana, particolarmente negli Ossi,
vero e proprio correlativo oggettivo di una condizione esistenziale desolata,
prosciugata e svuotata: la terra
polverosa e seccata dal sole è il luogo della privazione e della negatività.
Lo stesso titolo della raccolta rimanda a questo motivo, visto che gli ossi di seppia non sono che un relitto,
quanto mai inaridito, della vita organica), infine il cavallo stramazzato al suolo evoca con potenza il male di
vivere.
23.
Nella seconda quartina sono indicati i
correlativi oggettivi dell’unico “bene” possibile, ovvero di quella che Montale
chiama “la divina Indifferenza”.
L’indifferenza – con la i maiuscola e detta “divina” perché propria degli dei,
come già sosteneva la filosofia epicurea – ovvero la capacità di non lasciarsi
coinvolgere dalla sofferenza del mondo, di vivere, diceva Epicuro, in
condizione di atarassia, è oggettivata da tre elementi: la statua nella sonnolenza del meriggio (qui compare la figura
umana, ma pietrificata, come lo è la statua, e quindi capace di indifferenza), la nuvola, il falco alto levato (sono elementi che rimandano al cielo, e quindi
ad una distanza rispetto ai mali della terra, del resto non si può non
rilevare l’opposizione fra ciò che sta in alto, e che ha a che fare con la “divina Indifferenza”, e ciò che sta in
basso – gli elementi della prima quartina – e che ha a che fare con il male di
vivere).
24.
Ma si noti anche l’opposizione fra i suoni duri e
aspri della prima quartina (strozzato,
gorgoglia, incartocciarsi, riarsa, stramazzato) e quelli senz’altro chiari e distesi della seconda quartina, in
particolare nell’ultimo verso (…la
nuvola, e il falco alto levato).
molto interessante grazie collega
RispondiEliminaMolto esauriente grazie
RispondiEliminaGrazie mille
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