Le
occasioni:
il motivo della memoria e la difficoltà di comprensione
1.
Dicevo che la possibilità di fuoriuscire
dalla condizione di inautenticità, di spezzare l’anello che non tiene, di
trovare una smagliatura nella rete che ci imprigiona, è concessa in alcuni
momenti, in alcune occasioni. Un’altra
di queste possibilità è data dalla memoria. La capacità di restare
attaccati ad un ricordo, particolarmente ad un ricordo condiviso, il ricordo di
un episodio felice, di un volto, di una figura femminile significativa, sembra essere la garanzia di avere
afferrato qualcosa che appartiene alla vita vera, autentica, qualcosa che
resiste al logoramento del tempo. E’ un motivo che ricorre nella seconda
raccolta, Le occasioni (1939).
2.
Rispetto agli Ossi, si tratta di poesie di comprensione più difficile, per il
semplice fatto che, mentre negli Ossi
gli oggetti simbolici erano accompagnati, per così dire, da una spiegazione (si
pensi a I limoni o a Spesso il male di vivere…), ne Le occasioni gli oggetti, gli eventi,
compaiono senza alcun chiarimento sul senso della loro presenza, appartengono
alla memoria del poeta, sono legati a vicende della sua vita che, ovviamente,
il lettore non conosce. Del resto è lo stesso Montale che dice di aver pensato
alla poesia come “a un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio
senza spiattellarli. Ammesso che in arte esista una bilancia tra il di fuori e
il di dentro, tra l’occasione e l’opera-oggetto, bisognava esprimere l’oggetto
e tacere l’occasione-spinta”.
La
difficoltà di comprensione: La speranza
di pure rivederti
3.
Per spiegare ancora meglio, ascoltate
questa breve poesia:
La speranza
di pure rivederti
m’abbandonava;
m’abbandonava;
e mi chiesi
se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d’immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:
ogni senso di te, schermo d’immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:
(a Modena,
tra i portici,
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).
4.
Il senso delle prime due strofe è
abbastanza chiaro, ma decisamente
enigmatica pare la terza strofa, con quel riferimento ad un servo gallonato che
trascina due sciacalli al guinzaglio. Ci ha pensato lo stesso Montale, in
un articolo sul “Corriere della Sera”, a spiegare l’occasione-spinta. Ed ecco
qua: “Un pomeriggio d’estate Mirco si trovava a Modena e passeggiava sotto i
portici. Angosciato com’era e sempre assorto nel suo "pensiero
dominante", stupiva che la vita gli presentasse come dipinte o riflettesse
su uno schermo tante distrazioni. Era un giorno troppo gaio per un uomo non
gaio. Ed ecco apparire a Mirco un vecchio in divisa gallonata che trascinava
con una catenella due riluttanti cuccioli color sciampagna, due cagnuoli che a
una prima occhiata non parevano né lupetti, né bassotti, né volpini. Mirco si
avvicinò al vecchio e gli chiese: "Che cani sono questi?" E il
vecchio secco e orgoglioso: "Non sono cani, sono siacalli". (Così pronunciò da buon settentrionale incolto; e scantonò poi
con la sua pariglia). Clizia amava gli animali buffi. Come si sarebbe divertita
a vederli! Pensò Mirco. E da quel giorno non lesse il nome di Modena senza
associare quella città all’idea di Clizia e dei due sciacalli. Strana,
persistente idea. Che le due bestiole fossero inviate da lei, quasi per
emanazione? Che fossero un emblema, una citazione occulta, un senhal? O forse erano solo un’allucinazione, i segni premonitori della sua
decadenza, della sua fine? Fatti consimili si ripeterono spesso; non apparvero
più sciacalli ma altri strani prodotti della boîte à surprise (scatola a sorpresa) della vita: cani
barboni, scimmie, civette sul trespolo, menestrelli, ... E sempre sul vivo
della piaga scendeva il lenimento di un balsamo. Una sera Mirco si trovò alcuni
versi in testa, prese una matita e un biglietto del tranvai (l’unica carta che
avesse nel taschino) e scrisse queste righe: "La speranza di pure rivederti – m’abbandonava; – e mi chiesi se
questo che mi chiude – ogni senso di te, schermo d’immagini, – ha i segni della
morte o dal passato – è in esso, ma distorto e fatto labile, – un tuo
barbaglio." S’arrestò, cancellò il punto fermo e lo sostituì con due punti
perché sentiva che occorreva un esempio che fosse anche una conclusione. E
terminò così: "(a Modena fra i
portici, – un servo gallonato trascinava – due sciacalli al
guinzaglio)". Dove la parentesi voleva isolare l’esempio e suggerire un
tono di voce diverso, lo stupore di un ricordo intimo e lontano. (...) Ho
toccato un punto (un punto solo) del problema dell’oscurità o dell’apparente
oscurità di certa arte d’oggi: quella che nasce da un’estrema concentrazione e
da una confidenza forse eccessiva nella materia trattata.”
5.
Dunque, ecco il senso: la speranza di
rivederti ancora mi abbandonava; mi chiesi se questo schermo di immagini (le
immagini della multiforme realtà quotidiana) che mi impedisce di sentirti e
vederti fosse un presagio di morte oppure ci fosse in esso un segno luminoso (un tuo barbaglio), per quanto debole,
della tua presenza. E questa ambiguità è testimoniata proprio dal ricordo dei
due sciacalli, che il poeta non sa se “fossero inviati da lei, quasi per emanazione”,
quindi fossero un segno della sua presenza, o fossero invece un segno della
decadenza e della fine.
La
casa dei doganieri
Anna degli Uberti (Annetta/Arletta) |
6.
Ma vediamo una delle più note poesie de Le occasioni, La casa dei doganieri:
Tu non
ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza
da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo
ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh
l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende ...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende ...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
7.
La casa dei doganieri era un edificio
della Guardia di Finanza a Monterosso,
dove Montale negli anni giovanili trascorreva l’estate, ed era – così sembra
dal testo – il luogo dell’incontro, o degli incontri, con la donna cui il poeta
si rivolge con il “tu”. E’ una donna che compare anche negli Ossi di seppia (e il cui ricordo torna
anche nelle poesie più tarde) e a cui il poeta ha dato il nome di Annetta o Arletta. Ho detto che così sembra dal testo, ma in realtà si tratta di un ricordo
immaginario, o dell’immagine di un ricordo, visto quel che ha detto lo
stesso Montale: “La casa dei doganieri fu
distrutta quando avevo sei anni. La fanciulla in questione non potè mai
vederla; andò verso la morte, ma io lo seppi molti anni dopo”; e in
un’altra occasione ha detto che si trattava di una villeggiante conosciuta a
Monterosso e morta giovane: “Per quel
poco che visse, forse lei non s’accorse nemmeno che io esistevo”.
8.
In questa immaginazione, l’impossibilità
di condividere il ricordo (perché la donna è morta, o è lontana,
irrimediabilmente estranea alla vita del poeta) implica per il poeta la perdita di un punto di riferimento nel
percorso della vita, ne determina lo smarrimento,
il disorientamento: a questo
alludono gli oggetti evocati: la bussola impazzita, i dadi,
il cui calcolo non torna, il filo che si aggroviglia, la banderuola
che “gira senza pietà” (bella anche
l’immagine della casa che “s’allontana”:
sembra una ripresa cinematografica con uno zoom
all’incontrario, a indicare il dileguarsi del ricordo in un passato ormai
irrevocabile).
9.
In questo smarrimento in cui la
quotidianità del presente prende il sopravvento, ecco che ritorna un motivo
caro a Montale, quello della possibilità, o del desiderio, di spezzare la rete
che ci imprigiona (si pensi a I limoni),
di fuoriuscire da una dimensione che si sente inautentica, negativa, di trovare
un “varco”.
Ne I limoni erano il colore e l’odore
dei limoni, qui la luce intermittente di
una petroliera che passa in lontananza. Ma l’immagine dell’onda che “ripullula”,
che continua a infrangersi sulla scogliera, sembra indicare l’impossibilità
della fuoriuscita, un destino di immobilità segnato dal ripetersi degli stessi
fenomeni.
10.
Resta il verso finale, enigmatico: “Ed io non so
chi va e chi resta”. Mi affido a Montale che, interpellato in proposito,
dopo aver detto che la fanciulla morì, aggiunge: “Io restai e resto ancora. Non si sa chi abbia fatto la scelta migliore.
Ma verosimilmente non vi fu scelta.” Dunque, se “andare” e “restare”
equivalgono a morire e restare in vita, dire “Ed io non so chi va e chi resta”, significa
dire “non so chi sia morto veramente, lei o io, che vivo in una condizione di
immobilità simile alla morte”.
La dogana e
Silvia
11.
Del resto, riflettiamo anche sulla significatività del
luogo evocato: la casa dei doganieri. I
doganieri sono gli addetti ai confini, quindi quel luogo segnala un confine, che non può essere altro che quello fra la vita vera e vita falsa, vita
autentica e vita inautentica, e infine fra vita e morte. Non a caso è da
qui che si può intravedere “il varco”.
E allora il verso finale intende insinuare il dubbio che chi è biologicamente
morto, come Arletta, viva una vera vita, mentre chi è biologicamente vivo, come
il poeta, viva una vita simile alla morte.
12.
Un’ultima considerazione. Viene in mente A Silvia di Leopardi, perché in ambedue
le poesie ci si rivolge ad una fanciulla morta, ma l’incipit segnala un
rovesciamento di segno. In Leopardi
Silvia è invitata a ricordare (Silvia,
rimembri ancora…), Montale invece
afferma con nettezza l’impossibilità per la fanciulla di ricordare (Tu non ricordi, non solo nell’incipit,
ma ancora ai vv. 10 e 21). Ma le due
fanciulle sembrano accomunate da un carattere che le vede contemporaneamente
allegre e pensierose: “lieta e
pensosa” era Silvia ed aveva occhi “ridenti
e fuggitivi”, era “lieto” il “riso” di Annetta-Arletta, ma c’era in
lei il turbamento di un’inquietudine (“lo
sciame dei tuoi pensieri” “vi sostò
irrequieto”).
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