Clizia e Nuove stanze
Irma Brandeis (Clizia) |
1.
Ma la figura femminile più significativa, fra le tante
che compaiono nell’opera di Montale, è senz’altro quella di Clizia. Clizia è presente sia ne Le occasioni, sia nella terza raccolta, La
bufera e altro (1956). E’ lo pseudonimo (o, alla provenzale, il senhal) dietro cui si cela
un’italianista americana, Irma Brandeis, conosciuta da Montale a Firenze fra il
1932 e il 1939, quando la donna, di origine ebraica, tornò negli USA a seguito
delle leggi razziali. Clizia è nella
mitologia greca la ninfa innamorata del sole, ovvero del dio Apollo; da questi
rifiutata, si trasforma in eliotròpio o girasole e conserva il suo amore
guardando sempre verso il sole. Nell’opera di Montale diventa una novella Beatrice, una sorta di donna-angelo, o “visiting angel”, un angelo
visitatore. Come la Beatrice dantesca, così Clizia, che ha come punto di riferimento la luce del sole, può indicare
una via d’uscita dalla realtà negativa in cui viviamo, può guidare alla
salvezza.
2.
Ma Clizia è la
sacerdotessa di una religione laica, perché Apollo è anche il dio della
poesia e dunque la sua fedeltà ad Apollo
rappresenta la fedeltà ai valori della cultura e dell’intelligenza in un mondo
che sempre più sembra negarli, un mondo su cui incombe l’oppressione delle
dittature e infine la catastrofe della guerra. In questo senso due poesie
estremamente significative sono Nuove stanze (Le occasioni), scritta nella consapevolezza dell’imminenza della
guerra, e La primavera hitleriana (La
bufera e altro), scritta in occasione dell’incontro tra Hitler e Mussolini,
avvenuto a Firenze nel maggio del 1938. In entrambe Clizia rappresenta la
speranza che l’intelligenza e la cultura possano avere la meglio sulla barbarie
che incombe.
3.
Certo, in Nuove stanze
persiste il dubbio che il potere di Clizia, ovvero della cultura, sia
insufficiente: “follia di morte non si
placa a poco / prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo, / ma domanda altri
fuochi…”, ovvero altre armi, armi diverse da quelle della cultura. Ma nel
finale è affermata con forza la certezza che lo sguardo di quegli “occhi d’acciaio” possa resistere alla violenza dello “specchio ustorio” e infine vincere:
“… Ma resiste / e vince il premio della
solitaria / veglia chi può con te allo specchio ustorio / che accieca le pedine
opporre i tuoi / occhi d’acciaio.” La leggiamo:
Poi che gli ultimi fili di tabacco
al tuo gesto si spengono nel piatto
di cristallo, al soffitto lenta sale
la spirale del fumo
che gli alfieri e i cavalli degli scacchi
guardano stupefatti; e nuovi anelli
la seguono, più mobili di quelli
delle tua dita.
torri e ponti è sparita
al primo soffio; s'apre la finestra
non vista e il fumo s'agita. Là in fondo,
altro stormo si muove: una tregenda
d'uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.
Il mio dubbio d'un tempo era se forse
tu stessa ignori il giuoco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte:
follìa di morte non si placa a poco
prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo
ma domanda altri fuochi, oltre le fitte
cortine che per te fomenta il dio
del caso, quando assiste.
Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco
le sagome d'avorio in una luce
spettrale di nevaio. Ma resiste
e vince il premio della solitaria
veglia chi può con te allo specchio ustorio
che accieca le pedine opporre i tuoi
occhi
d'acciaio.
Clizia e La primavera hitleriana
4.
Questa stessa speranza ne La primavera hitleriana assume anche connotati religiosi. La leggiamo:
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite[3]
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
forti come un battesimo nella lugubre attesa
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
dell’avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
Oh la piagata
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
fino a che il cieco sole che in te porti[23]
si abbàcini nell’Altro e si distrugga
che salutano i mostri nella sera
col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
5. Clizia qui è portatrice di una
salvezza non più individuale, ma “per tutti” (ripetuto due
volte, ai vv. 37 e 41). E il cupo pessimismo che domina nelle prime strofe e
che ha il suo culmine nella domanda “Tutto
per nulla, dunque?”, il pessimismo su una possibilità di salvezza affidata
all’intelligenza e alla cultura in un mondo popolato da demoni (“il messo infernale”, la “tregenda” – parola questa che ricorre
anche in Nuove stanze, e significa
proprio un’adunanza di diavoli) pronti a scatenare l’orrore della guerra,
sembra superato già in quella parentesi nella terza strofa, laddove una stella cadente pare presagire la
possibilità di un riscatto, evocato dal riferimento biblico agli angeli di
Tobia. E’ un ottimismo del cuore e della volontà, ribadito in conclusione,
nell’ultima strofa, così come è ribadita
la valenza religiosa che Clizia sembra assumere: non più solo intelligenza
e cultura, ma novello Cristo (“cristofora”), mediatrice fra cielo e terra, che
si annulla, si sacrifica (si abbàcini
nell’Altro e si distrugga in Lui) per l’intera umanità (per tutti).
[1]
Il miraggio.
[2]
Campana di Firenze che annunciava un pericolo.
[3] Montale ricorda che ci fu quel
giorno un’invasione di farfalle bianche, e poi una morìa a causa del freddo
improvviso.
[22] Come nell’epigrafe – Né quella che a veder lo sol si gira –
sono versi tratti da un sonetto attribuito a Dante.
[28] Torna il motivo dell’aridità, qui
correlativo oggettivo di un mondo devastato dall’ideologia nazifascista. Ai “greti arsi del sud” si contrappongono i
“ghiacci e le riviere” del nord, ove
si sta recando Clizia.
i like it. bravo
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