Verga non populista
A. ASOR ROSA, Scrittori
e popolo,
Samonà e Savelli
1965, pp. 74-77.
Se il populismo
è la convinzione che il popolo sia portatore di valori positivi da contrapporre
alla corruttela della società (1) (e pertanto, è mistificazione), Verga non
è populista; non ha ideologie progressive da difendere e pertanto vede la
realtà senza lenti deformanti e riesce a dare "la rappresentazione più
convincente che del mondo popolare sia stata data in Italia durante tutto
l’Ottocento".
La sua poetica
è la sua ideologia: descrivere la realtà così com’è vuol dire rinunciare
a moralismi (indignazione, protesta) e a speranze (progressive):
moralismi e speranze che invece compaiono nella Serao, nei
toscani Fucini e Pratesi, in De Amicis.
"Se volessimo scegliere la strada di un giudizio immaginoso, diremmo che
il borghese Verga rifiuta la tazza del consòlo (2) che la borghesia è
sempre pronta ad apprestarsi quando s’avvicina al cosiddetto problema sociale:
alla protesta e alla speranza, categorie molto dubbie sul piano ideologico e
letterario, perchè presuppongono fatalmente una posizione subalterna in chi le
esprime, egli preferisce la conoscenza e la consapevolezza. Il rifiuto di
un’ideologia progressista costituisce la fonte, non il limite, della riuscita
verghiana."
Nella "Sintesi" ci vede l’analogia con Leopardi (analogo il
pessimismo e analogo l’atteggiamento nei confronti delle correnti ideologiche
dominanti nel loro tempo) e parla di un connotato siciliano della
scuola (verista) che sarebbe riscontrabile nell’atteggiamento di scetticismo
circa la possibilità di un effettivo progresso (così ne I viceré
di De Roberto; più tardi ne I vecchi e i giovani di
Pirandello)
Si potrebbe aggiungere che tale "sicilianità" persiste con Il
Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e con 1848 di Sciascia.
NOTE
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