La leggenda del santo Graal
A. VISCARDI, Letterature d’oc e d’oil,
Nuova Accademia 1962, pp. 267-281.
DIZ. BOMPIANI delle opere e dei personaggi,
voci Perceval, Galaad, Storia del Graal.
La leggenda nasce con il romanzo-poema di Chretien
de Troyes (attivo in Francia fra il 1160 e il 1190), Perceval,
ou le conte dou Graal : si tratta di un’opera non conclusa, per la
morte dell’autore, in cui c’è per la prima volta il motivo del Graal (Perceval
lo vede nel castello del Re Pescatore, ferito da insanabile ferita: lo
regge a due mani una damigella gentile, ed è così scintillante che fa
impallidire la luce delle candele; l’ingresso nella sala della damigella è
stato preceduto da quello di un paggio che impugna una lancia bianca dalla cui
punta sgorga sangue vermiglio; Perceval, pur bramoso di sapere, non osa
chiedere niente, perché Gournemanz, colui che lo ha iniziato alla
cavalleria, gli ha insegnato a guardarsi da indiscreto parlare; dopo varie avventure,
sarà un santo eremita a rivelargli una parte del mistero: il Graal si serve al
padre (?) del Re Pescatore, e contiene un’ostia con cui quegli sostenta la sua
vita) (1); ed è un motivo funzionale alla problematica che sta a cuore a Chretien,
ovvero quella della crescita del protagonista dalla primitività istintiva alla
piena coscienza di sè, realizzata nell’incontro con il santo romito (centrale è
il motivo dell’abbandono della madre da parte di Perceval per seguire la
cavalleria; lei ne morrà di crepacuore, e di tale colpa, di cui per altro non è
consapevole, Perceval porterà il peso per tutto il romanzo, finché il romito
gliela rivelerà appieno e lo avvierà ad una vita di penitenza).
Il tema del Graal, come tema a sè stante, è ripreso e
sviluppato dai continuatori di Chretien: soprattutto da Robert de Boron
(vive in Inghilterra alla fine del sec. XII), il quale nel Romans de
l’estoire dou Graal e nel Merlin stabilisce la
connessione fra leggenda cristiana (tratta dai vangeli apocrifi) e ciclo
bretone-arturiano (il Graal è il vaso servito alla celebrazione eucaristica
nell’ultima cena; in esso Giuseppe d’Arimatea ha raccolto il sangue
uscito dal costato di Cristo, e la lancia non è altro che quella con cui Longino
ha colpito al fianco il Crocefisso; dopo la distruzione di Gerusalemme,
Giuseppe fonda una sorta di ordine di fedeli del Graal, che si riuniscono
attorno ad una tavola con una sedia libera, destinata ad essere occupata dal
futuro difensore del Graal; è Bron, cognato di Giuseppe, a portare in
occidente la sacra reliquia; con ciò siamo in Bretagna, dove, in continuità con
la tavola dell’ultima cena e con quella di Giuseppe, si costituisce una terza
tavola, ovvero la Tavola rotonda di Artù, con un seggio vacante
riservato all’eroe eletto a por fine agli incantamenti).
Appartiene a compilazioni più o meno anonime
l’ulteriore svolgimento che fa di Lancillotto un “cercatore” del Graal;
ma poichè costui si è macchiato della colpa di adulterio con Ginevra, la grazia
del compimento dell’impresa è concessa da Dio al di lui figlio (generato
dall’unione fra Lancillotto, che crede di essere fra le braccia di Ginevra, e
la figlia del Re Pescatore), Galaad, l’eroe vergine e perfetto,
il puro tra i puri, colui che può conquistare il Graal non in forza di cortesia
e audacia, ma grazie ad un assoluto grado di elevazione spirituale. E’ in un
romanzo intitolato Giuseppe d’Arimatea che si parla di tale
conquista: tanti cavalieri partono, ma tre sono gli eletti: Boors de
Gaunes, Perceval e Galaad; ma il primo
pecca, il secondo, pur essendo il puro per definizione, è soggetto alle
tentazioni del demonio; solo Galaad rimane il compiuto cavaliere di Dio e potrà
presenziare ai misteri del sacro Graal.
Il tema di Perceval arriva fino a Wagner
(Parsifal, 1877) attraverso Wolfram von Eschenbach
(circa 1170-1220), massimo poeta tedesco del Medio Evo, che nel suo Parzifal
aveva ritessuto la trama del poema di Chretien (ne riprende la struttura di Bildungsroman,
ovvero di romanzo di formazione).
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1) Curtius (Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia 1992, p.
129) accredita l’interpretazione secondo cui la malattia del Re Pescatore
sarebbe l’impotenza virile (nel suo paese sono inaridite fonti e vegetazione e
la guarigione del re comporterebbe il ritorno della fertilità; del resto certi
riti di fertilità erano connessi, nella tarda antichità e nel Medio Evo, con il
simbolismo dell’eucarestia; tale motivo sarebbe poi andato perduto nelle
rielaborazioni successive della leggenda del Graal).
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