Apuleio
Abbiamo poche
notizie (dalla sua stessa opera) su di lui. Nacque nella provincia di Africa,
a Madaura (o Madauro, nell’odierna Algeria). La data di nascita
(attorno al 125 d. C.) la deduciamo da quella del processo per magia (1).
Studiò a Cartagine e poi ad Atene, viaggiò molto (fu quasi sicuramente anche a
Roma), fu iniziato a numerosi riti misterici. Da adulto si dedicò
soprattutto all’attività di conferenziere, dando prova della sua eloquenza
epidittica (è un’epoca – detta anche della seconda sofistica – in
cui è apprezzata l’abilità oratoria, non quella impegnata nella contesa
politica o giudiziaria, ma quella che si manifesta in commemorazioni, omaggi,
conferenze). Di tale attività ci resta come documento un’antologia intitolata Florĭda
(una raccolta di estratti dei suoi discorsi, di argomento vario, accomunati da
uno straordinario – e nauseante – virtuosismo oratorio; intera ci è giunta la
conferenza intitolata De deo Socratis, in cui, partendo dal
demone da cui Socrate diceva di essere ammonito, si svolge un vero e proprio
trattato sulla natura dei demoni; questa opera, insieme ad altre due di tipo
filosofico – il De mundo e il De Platone et eius dogmate
– sono alla base della fama di filosofo platonico attribuita ad Apuleio). La
morte va collocata fra il 170 e il 190 (2)..
I suoi capolavori
sono il De magia (nota anche come Apologia) e le Metamorfosi
(note anche come l’Asino d’oro).
Il primo non è
altro che l’orazione di autodifesa pronunciata (poi evidentemente rielaborata,
per la pubblicazione) a Sàbrata, in Tripolitania, davanti al proconsole
Claudio Massimo, nel processo in cui era accusato di avere sedotto la
vedova Pudentilla con un filtro magico (a Tripoli, allora Oea, un vecchio
compagno di studi, Ponziano, gli aveva proposto di sposare la propria madre,
vedova da quattordici anni, per impedire che l’eredità paterna finisse nelle
mani di qualche avventuriero; Apuleio, dopo qualche esitazione, accettò, ma di
lì a poco Ponziano morì e un cognato di Pudentilla, che avrebbe voluto
sposarla, induce l’altro figlio della donna, Pudente, ad intentare causa per
magia al neo-patrigno). E’ un testo straordinario, in cui si mescolano grande
cultura letteraria, scientifica e filosofica (Apuleio ci tiene a mostrarsi,
davanti al giudice, di un altro livello rispetto ai suoi accusatori, ignoranti
e meschini) e abilità nel ridicolizzare le tesi degli avversari (in tal senso
diventa anche un documento delle superstizioni dell’epoca: ad esempio, viene
accusato di aver confezionato della pasta dentifricia e di tenere in casa uno
specchio e lui si difende ora con una lezione sulla igiene della bocca e
ricordando il riprovevole uso dell’orina citato da Catullo, ora sostenendo che
gli specchi si usano non per incantesimi, ma per contemplare la propria persona).
Ma il colpo decisivo lo serba al finale, dove dimostra che per sé ha avuto poco
o niente e che il vero erede è il figliastro (Pudente). L’esito non lo
sappiamo, ma l’assoluzione è certa, visto che negli anni successivi lo
ritroviamo attivo come conferenziere.
Il capolavoro
narrativo è Metamorphosĕon libri XI (per la prima volta da
Agostino chiamato Asinus aureus, forse per l’intelligenza
umana dell’asino protagonista, forse per le qualità “auree” dello stile). La
trama presenta notevoli somiglianze con un’opera attribuita a Luciano di
Samòsata (scrittore greco contemporaneo di Apuleio), Lucio o l’asino
(ma questa è molto più breve e schematica, mentre quella di Apuleio è
curatissima ed arricchita da una serie di narrazioni secondarie); inoltre Fozio,
patriarca di Costantinopoli nel IX sec., ci dice che l’opera di Luciano
derivava da un racconto di Lucio di Patre, oggi Patrasso, che però è
andato perduto; quel racconto era forse il modello sia per lo Pseudoluciano sia
per Apuleio – che forse per questa ragione nel proemio chiama fabula
Graecanica la storia che si accinge a raccontare). Il genere ha a che fare
con le fabulae Milesiae (3) ma
non si risolve in esse. Infatti, se è vero che c’è un’intenzione di divertire
il lettore tramite racconti di argomento erotico (4), com’era proprio della Milesiae,
sono anche evidenti gli aspetti allegorico-mistici, e dunque l’intento edificante,
che si chiarisce nell’ultimo libro: la vicenda della trasformazione in asino (animale
simbolo di ignoranza e sensualità) e del recupero della forma umana dopo il
superamento di una serie di prove, allude ad un percorso iniziatico che conduce
dalla perdizione alla salvezza grazie alla benevolenza divina; e tale
significato è ripreso nella novella centrale di Amore e Psiche (5) (che
dunque diventa una sorta di chiave interpretativa del romanzo: sia per Lucio
che per Psiche la curiositas – rispettivamente, di conoscere le arti
magiche e di vedere l’amante – è ciò che determina la perdita della condizione
felice; quindi per entrambi seguono peripezie e sofferenze che hanno termine
grazie all’azione salvifica della divinità). Ed è altrettanto evidente che
Apuleio allude ad un proprio percorso, quando nel finale al sacerdote di
Osiride appare il dio in persona e gli dice che il giorno dopo si presenterà un
Madaurensis per essere iniziato ai sacri misteri (6).
Si possono
distinguere tre sezioni narrative: la prima (I-III),
dominata dai temi della curiositas e della magia, contiene le vicende di
Lucio fino alla sua trasformazione in asino; la seconda (IV-X)
narra delle peripezie di Lucio-asino e contiene il maggior numero di inserzioni
novellistiche (fra cui la favola di Amore e Psiche); la terza
(XI) narra del recupero della forma umana da parte di Lucio e della sua
iniziazione ai culti di Iside e di Osiride.
Originale è
l’impasto stilistico: arcaismi si intrecciano con raffinate figure
retoriche (grande rilievo assumono sia le figure di suono – come anafore,
allitterazioni, omoteleuti, rime, assonanze – sia le cluasole), con neologismi,
con volgarismi.
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1) Il processo si celebra nel 158/59 e si dice che la vedova Pudentilla
aveva oltrepassato i quarant’anni mentre lui era molto più giovane; dunque, se
lei era nata attorno al 115, a lui si possono attribuire dieci anni di meno.
2) Negli stralci delle sue conferenze ci sono accenni ad eventi degli anni
fra il 162 e il 169.
3) E’ lo stesso autore nel proemio a farvi riferimento: At ego tibi
sermone isto Milesio varias fabulas conseram auresque tuas benivolas lepido
sussurro permulceam.
4) Nel proemio si dice: lector intende, laetaberis.
5) La racconta una vecchia, nel rifugio dei briganti,
per consolare una fanciulla rapita. Psiche è bellissima e suscita la gelosia di
Venere, ma Amore, figlio di Venere, se ne innamora e, per mezzo di
Zefiro, la trasporta in un castello incantato. Qui è trattata come una regina
da ancelle invisibili, ma Amore la visita solo di notte, senza mai lasciarsi
vedere. Per consolare la sua solitudine, Psiche ottiene di far venire in visita
al castello le sue due sorelle, le quali però, mosse da invidia, la esortano a
guardare il suo amante notturno. Così fa Psiche, violando la proibizione, ma fa
appena in tempo a vedere Amore e ad innamorarsene perdutamente che dalla
lampada, con cui lo sta osservando mentre dorme. cade un goccia d’olio bollente
che lo sveglia. Amore fugge via e Psiche lo cerca invano. Venere la costringe a
superare delle prove difficilissime, finché Amore si ripresenta e i due
convolano felicemente a nozze. Dal loro matrimonio nascerà una fanciulla che
avrà nome Voluptas.
6) E’ questa la cosiddetta sphragìs, ovvero la firma o sigillo
dell’autore.
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