L’arte nel Rinascimento
E. H.
GOMBRICH, La storia dell’arte raccontata da Gombrich,
Einaudi 1966
(1974), pp. 214-55; 278-92.
La "rinascita" è della grandezza classica,
per cui si spiega l’atteggiamento sprezzante nei confronti dell’età di mezzo e
della sua arte (gotica, ossia barbarica).
Il nuovo è già in Giotto (1266-1337), ma
solo più tardi assurge a livello di coscienza critica e di programma. Ciò
succede con F. Brunelleschi (1377-1446), che va a Roma a studiare
le rovine (così come farà Donatello): la cappella dei Pazzi
non ha più niente a che spartire con le forme gotiche
(alte finestre, arco a sesto acuto); pur non riproducendo un tempio classico,
colonne, trabeazioni ed archi sono tipicamente classici (cosiccome il frontone
triangolare sulla porta); stessa cosa può dirsi per l’interno. Probabilmente è
lui il primo ad interessarsi di prospettiva, ma la prima opera
realizzata con l’aiuto di norme matematiche è la pittura murale di Masaccio
(1401-28) rappresentante la Trinità, la Vergine, san Giovanni e
donatori (in S. Maria Novella):
non più la grazia delicata e i
graziosi particolari del gotico, ma figure massicce e pesanti, architettura
austera e maestosa.
Osservazioni simili possono farsi per il San
Giorgio di Donatello (1386-1466)
e per i rilievi
in bronzo da lui eseguiti per il fonte battesimale di Siena; in
particolare, nella formella rappresentante il convito di Erode
(la scena in cui Salomè ottiene da Erode la testa di Giovanni Battista),
vediamo una fuga prospettica di stanze e scale sullo sfondo; anche qui la grazia
del gotico lascia il posto ad un effetto di caos improvviso, a figure dure ed
angolose nei movimenti.
Nei Paesi Bassi, Jan Van Eyck (1390-1441)
arriva ugualmente alla "conquista della realtà": non studiando le
leggi della prospettiva e della anatomia come gli italiani, ma sommando
pazientemente un particolare all’altro (per questo "ha bisogno" di
inventare la pittura ad olio: perché per lavorare di fino, anche come
sfumature di colori, necessitava di colori che non si seccassero subito come
quelli impastati con l’uovo).
L. B. Alberti (1404-72), nella facciata di Sant’Andrea a Mantova
riproduce il motivo romano dell’arco trionfale; nel palazzo Rucellai
(a Firenze),
il motivo dei tre ordini presente nel Colosseo.
Nella tecnica della prospettiva esercita la sua
abilità P. Uccello (1397-1475), la cui opera resta però piuttosto
astratta e geometrica;
non avendo imparato a valersi degli effetti di chiaroscuro per ammorbidire i contorni, non raggiunge i risultati di A. Mantegna (1431-1506),
né di Piero della Francesca (1416-92).
non avendo imparato a valersi degli effetti di chiaroscuro per ammorbidire i contorni, non raggiunge i risultati di A. Mantegna (1431-1506),
né di Piero della Francesca (1416-92).
Ora che l’arte ha scoperto la realtà, il problema che
si pone è quello di recuperare l’armonia che la realtà non ha (e
quindi non può avere una riproduzione realistica) e che invece i pittori
medievali realizzavano con il fondo d’oro e la disposizione simmetrica delle
figure.
A. Pollaiolo (1432-98) nel Martirio di san Sebastiano
fallisce
perchè la simmetria è visibilmente artificiosa. S. Botticelli
(1446-1510) raggiunge lo scopo nella Nascita di Venere,
ma a
scapito della solidità realistica e della precisione anatomica delle figure (1).
L’armonia è mirabilmente realizzata da Leonardo
(1452-1519) nell’Ultima cena.
Ma è nella Gioconda
che l’abilità dell’artista si manifesta appieno. Il segreto della bellezza
della Gioconda sta nella sua vitalità. Nessuno poteva essere più
paziente di Van Eyck nella imitazione della natura, nessuno più esperto di
Mantegna nella prospettiva: eppure le loro figure somigliano più a statue che
ad esseri viventi. Come si fa a dare la vita? Botticelli ci aveva provato
accentuando il moto ondoso dei capelli e il movimento delle vesti. La soluzione
di Leonardo è lo sfumato, ovvero l’arte di non definire
seccamente i contorni; adottando tale tecnica agli angoli della bocca e degli
occhi di un volto, si ha il fascino indescrivibile di monna Lisa.
Nuova, nel Rinascimento, è anche la condizione
dell’artista. L’emulazione fra città e città, fra signore e signore, nel
tentativo di acquisire prestigio attraverso l’arte, favorisce una ascesa
della condizione dell’artista. Da modesto artigiano, cui tutti
possono chiedere prestazioni (conformemente alla mentalità medievale, che
colloca pittura, scultura, architettura fra le arti meccaniche, o
manuali, e non fra le arti liberali (2), cui appartengono,
invece, musica e poesia) diventa un artista, la cui formazione non è più
solo tecnica, ma anche, e soprattutto, umanistica, e la cui arte è un’attività
intellettuale di tipo scientifico (ci vuole cultura classica per leggere il De
Architectura di Vitruvio; e ci vuole cultura
geometrico-matematica per studiare proporzioni e misure) (3).
NOTE
1) Attivo alla corte di Lorenzo dei Medici, Botticelli
traspone in pittura le idee neoplatoniche aleggianti in quell’ambiente, in
quanto diffuse dall’accademia di M. Ficino; è la stessa operazione che,
in poesia, compie Poliziano: la realtà è trasfigurata in una dimensione
mitica, di bellezza ideale. Tale idealizzazione è evidente nella Nascita di
Venere (così poco realistica, ad esempio, nella lunghezza del collo, nelle
spalle spioventi, nella strana torsione del braccio sinistro - eppure capace di
evocare il sentimento di un’armonia superiore). Opere come questa e come la Primavera
sembrano l’esatto sfondo per le Stanze per la giostra del Poliziano.
2) Sono quelle del trivium (grammatica, retorica,
dialettica) e del quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia,
musica).
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