martedì 30 giugno 2015

Machiavelli teorico dello Stato borghese


Machiavelli teorico dello Stato borghese

 

M. HORKHEIMER, Gli inizi della filosofia borghese della storia,
Einaudi 1978, pp. 7-13 (in M. I., 4, pp. 736-740).

 

Nel suo oscillare fra principato e repubblica, nel suo ammaestrare sia i detentori del potere sia gli oppositori, Machiavelli sembrerebbe indifferente ai risultati, appassionato unicamente ai meccanismi della lotta (per la conquista e per la difesa del potere). In realtà, ciò che gli interessa è la formazione di una saldo potere borghese, che possa garantire lo sviluppo delle forze e delle attività economiche.

E’ infatti chiaro dalle sue opere – si veda il finale del cap. XXI del Principe (1); e Discorsi I, LV (2) – che è giunto alla conclusione che “dal dispiegarsi degli scambi, dalla diffusione dell’abilità borghese nel commercio e nell’artigianato, dal libero gioco delle forze economiche, dipende il benessere della totalità”. Lo stesso concetto di “virtù” va compreso in questo contesto: non indica più lo spirito statuale e guerriero del romano, e nemmeno l’umiltà cristiana, ma l’insieme delle qualità che attengono alla laboriosità e alla capacità di guadagno.

Quindi, non in astratto “il fine giustifica i mezzi”, ma quel fine concreto, nobile (la creazione della migliore comunità possibile), chiede la subordinazione di ogni scrupolo (3).

L’errore di Machiavelli consisterebbe nell’aver giustificato, anche per il passato e per il futuro, strumenti di dominio (di conquista del potere) che erano condizione irrinunciabile per l’ascesa della borghesia nel suo tempo e nel suo paese (quando si trattava di spazzare via i “gentiluomini”, ovvero la vecchia nobiltà, i cui interessi erano contrari alla costituzione di un forte potere centrale, funzionale allo sviluppo borghese).
 
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1) “(Il principe) debbe animare li sua cittadini di potere quietamente esercitare li esercizii loro, e nella mercanzia e nella agricoltura... e che quello non tema di ornare le sua possessione per timore che le gli sieno tolte, e quell’altro di aprire uno traffico per paura delle taglie; ma debbe preparare premii a chi vuol fare queste cose...”
2) “... dico che gentiluomini sono chiamati quelli che oziosi vivono delle rendite delle loro possessioni abbondantemente, senza avere cura alcuna o di coltivazione o di altra necessaria fatica a vivere. Questi tali sono perniziosi in ogni repubblica...”; “(chi vuol fondare una repubblica) dove sono assai gentiluomini... non lo può fare se prima non gli spegne tutti”.
3) Questa tesi fa evidentemente il paio con quella di Chabod, che vede la nobiltà del fine nella fondazione dello Stato nazionale.
 
 

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