La
crisi d’identità del personaggio in alcuni scrittori e opere del ’900
1) La crisi d’identità del personaggio (che
troviamo rappresentata in tanta narrativa del Novecento) non è altro che uno
dei modi in cui si esprime quella più vasta crisi di certezze (politiche,
morali, filosofiche) che investe l’Europa nella cosiddetta "età del
decadentismo";
2) Sul piano filosofico, più che il pensiero di
Nietzche o Bergson (che pure sono significativi, perché rompono il modo
tradizionale di concepire, ad esempio, la morale o il tempo), è la psicanalisi
di Freud che pone in termini nuovi la questione dell’identità dell’individuo:
la psicanalisi, in quanto scopre che la coscienza è spezzata fra conscio e
inconscio, fra Es, Io e Super-io, spezza anche l’illusione che i comportamenti
dell’individuo siano univoci e coerenti, che ci sia perfetta corrispondenza fra
quel che si pensa e quel che si fa, fra quel che si fa e quel che si vorrebbe
fare (la parte conscia rispetto a quella inconscia è come la punta di un
iceberg rispetto al suo corpo sommerso; gli istinti, pulsioni - Trieb - sono
mostri paurosi che sfuggono ad ogni controllo morale e razionale; ecc.);
3) la letteratura europea, o perché influenzata
direttamente o perché respira la stessa aria, non può non risentirne: le Memorie del sottosuolo
di Dostojevskij, del 1864, sono un’anticipazione clamorosa della scoperta che
accanto a un "io" tranquillo e conformista esiste un "io"
distruttivo ed autodistruttivo; Proust, Joyce, Kafka non sono comprensibili
senza riferimenti alla scoperta dell’inconscio da parte della psicanalisi; ed
opere come The Strange
Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde di Stevenson (1886) e Heart of darkness di
Conrad (1906) sono perfettamente leggibili entro queste categorie;
4) sul versante italiano, Svevo e Pirandello, in
modi diversi ma accostabili, esprimono questa stessa condizione: è vero per
ambedue che il personaggio non si sente più "uno" (ma si sente
"nessuno" e "centomila"), ed è vero per ambedue che la
"malattia" consiste in un eccesso di sviluppo (una ipertrofia) della
coscienza che inibisce irrimediabilmente naturalità ed immediatezza ("ma
il cervello... cosa ci ha a che fare il cervello col prendere pesci?" dice
Macario commentando il volo del gabbiano in Una vita);
5) più precisamente, in Pirandello il personaggio
inizia la ricerca della propria identità, dal momento in cui scopre di non
essere autenticamente se stesso (scopre la dissonanza fra le "forme",
entro cui è costretto a vivere, e la "vita", che scorre altrove; si
accorge di indossare delle "maschere", attore suo malgrado, mentre il
vero "volto" è sconosciuto; ecc.): così è per Mattia Pascal (che
diventa Adriano Meis, per sbarazzarsi di una "forma" o
"maschera", quella di Mattia, nella quale non si riconosce più); per
Vitangelo Moscarda (che paga con l’emarginazione e la "pazzia" il
tentativo di conoscersi al di sotto della "maschera" di usuraio che
ha ereditato dal padre); e così è per i protagonisti di tante novelle (il
professore de La carriola,
Belluca de Il treno ha
fischiato, ecc.); d’altra parte, proprio in certe
pagine del saggio su L’umorismo
Pirandello chiarisce come sia proprio dell’arte il compito di svelare questa
"doppiezza" della condizione umana (ed è emblematica l’immagine
dell’erma bifronte che da una faccia ride del pianto dell’altra); il che
equivale a dire che l’arte demistifica l’apparenza convenzionale della realtà e
rivela l’emergenza del contrario per eccellenza: l’esigenza di una vita
autentica che, ovviamente, si manifesta come il contrario della presunta
normalità;
6) analogamente, in Svevo il personaggio è alla
ricerca della "salute" perduta, della ricomposizione dell’unità
originaria fra coscienza e vita: e questo è vero non solo per Zeno (per il
quale la malattia è il punto di partenza; e per il quale è evidente che si
tratta di compiere un viaggio attraverso la propria coscienza, con l’aiuto
della psicanalisi - salvo poi ricredersi nel finale, quando riconosce che la
malattia appartiene alla società tutta, e non all’individuo singolo), ma anche
per un "inetto" come Alfonso Nitti o un "senile" come Emilio
Brentani (non è difficile riconoscere nella "inettitudine" e nella
"senilità" nomi diversi per una stessa malattia). E’ interessante
notare come l’alternativa malattia-salute si manifesti, in maniera ricorrente
nei diversi romanzi, come sdoppiamento fra il protagonista ed una sorta di
alter-ego, che è rappresentato da un personaggio che è contemporaneamente, e
non a caso, amico e rivale del protagonista: così è per le coppie
Alfonso-Macario in Una
vita, Emilio-Balli in Senilità, Zeno-Guido ne La coscienza di Zeno
(e qualcosa di analogo si potrebbe riscontrare per le coppie femminili: Annetta
Maller-Lucia Lanucci; Amalia-Angiolina; Ada-Augusta);
7) dal punto di vista sociale tale crisi
d’identità può essere interpretata come il riflesso di una crisi che investe la
piccola e media borghesia fra la fine dell’’800 e i primi decenni del ’900
(tale è la condizione sociale dei personaggi sveviani e pirandelliani:
impiegati, professionisti, piccoli proprietari, piccoli imprenditori): una
classe schiacciata fra le elites del potere da una parte e l’emergere delle
grandi masse operaie e contadine dall’altra; una classe, quindi, che soffre di
una vera e propria crisi d’identità sociale, che non ha più certezze sul
proprio ruolo e sulla propria funzione. Tale interpretazione può essere
legittimata da un romanzo come I
vecchi e i giovani di Pirandello o da certe pagine (ad es.
quelle finali de La
coscienza di Zeno) di Svevo, ove il male di cui si soffre è
visto non come un dato esistenziale-metafisico, ma come il prodotto di una ben
determinata evoluzione storica.
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