martedì 9 giugno 2015

La crisi di identità del personaggio nella narrativa del '900


La crisi d’identità del personaggio in alcuni scrittori e opere del ’900


1) La crisi d’identità del personaggio (che troviamo rappresentata in tanta narrativa del Novecento) non è altro che uno dei modi in cui si esprime quella più vasta crisi di certezze (politiche, morali, filosofiche) che investe l’Europa nella cosiddetta "età del decadentismo";

2) Sul piano filosofico, più che il pensiero di Nietzche o Bergson (che pure sono significativi, perché rompono il modo tradizionale di concepire, ad esempio, la morale o il tempo), è la psicanalisi di Freud che pone in termini nuovi la questione dell’identità dell’individuo: la psicanalisi, in quanto scopre che la coscienza è spezzata fra conscio e inconscio, fra Es, Io e Super-io, spezza anche l’illusione che i comportamenti dell’individuo siano univoci e coerenti, che ci sia perfetta corrispondenza fra quel che si pensa e quel che si fa, fra quel che si fa e quel che si vorrebbe fare (la parte conscia rispetto a quella inconscia è come la punta di un iceberg rispetto al suo corpo sommerso; gli istinti, pulsioni - Trieb - sono mostri paurosi che sfuggono ad ogni controllo morale e razionale; ecc.);

3) la letteratura europea, o perché influenzata direttamente o perché respira la stessa aria, non può non risentirne: le Memorie del sottosuolo di Dostojevskij, del 1864, sono un’anticipazione clamorosa della scoperta che accanto a un "io" tranquillo e conformista esiste un "io" distruttivo ed autodistruttivo; Proust, Joyce, Kafka non sono comprensibili senza riferimenti alla scoperta dell’inconscio da parte della psicanalisi; ed opere come The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde di Stevenson (1886) e Heart of darkness di Conrad (1906) sono perfettamente leggibili entro queste categorie;

4) sul versante italiano, Svevo e Pirandello, in modi diversi ma accostabili, esprimono questa stessa condizione: è vero per ambedue che il personaggio non si sente più "uno" (ma si sente "nessuno" e "centomila"), ed è vero per ambedue che la "malattia" consiste in un eccesso di sviluppo (una ipertrofia) della coscienza che inibisce irrimediabilmente naturalità ed immediatezza ("ma il cervello... cosa ci ha a che fare il cervello col prendere pesci?" dice Macario commentando il volo del gabbiano in Una vita);

5) più precisamente, in Pirandello il personaggio inizia la ricerca della propria identità, dal momento in cui scopre di non essere autenticamente se stesso (scopre la dissonanza fra le "forme", entro cui è costretto a vivere, e la "vita", che scorre altrove; si accorge di indossare delle "maschere", attore suo malgrado, mentre il vero "volto" è sconosciuto; ecc.): così è per Mattia Pascal (che diventa Adriano Meis, per sbarazzarsi di una "forma" o "maschera", quella di Mattia, nella quale non si riconosce più); per Vitangelo Moscarda (che paga con l’emarginazione e la "pazzia" il tentativo di conoscersi al di sotto della "maschera" di usuraio che ha ereditato dal padre); e così è per i protagonisti di tante novelle (il professore de La carriola, Belluca de Il treno ha fischiato, ecc.); d’altra parte, proprio in certe pagine del saggio su L’umorismo Pirandello chiarisce come sia proprio dell’arte il compito di svelare questa "doppiezza" della condizione umana (ed è emblematica l’immagine dell’erma bifronte che da una faccia ride del pianto dell’altra); il che equivale a dire che l’arte demistifica l’apparenza convenzionale della realtà e rivela l’emergenza del contrario per eccellenza: l’esigenza di una vita autentica che, ovviamente, si manifesta come il contrario della presunta normalità;

6) analogamente, in Svevo il personaggio è alla ricerca della "salute" perduta, della ricomposizione dell’unità originaria fra coscienza e vita: e questo è vero non solo per Zeno (per il quale la malattia è il punto di partenza; e per il quale è evidente che si tratta di compiere un viaggio attraverso la propria coscienza, con l’aiuto della psicanalisi - salvo poi ricredersi nel finale, quando riconosce che la malattia appartiene alla società tutta, e non all’individuo singolo), ma anche per un "inetto" come Alfonso Nitti o un "senile" come Emilio Brentani (non è difficile riconoscere nella "inettitudine" e nella "senilità" nomi diversi per una stessa malattia). E’ interessante notare come l’alternativa malattia-salute si manifesti, in maniera ricorrente nei diversi romanzi, come sdoppiamento fra il protagonista ed una sorta di alter-ego, che è rappresentato da un personaggio che è contemporaneamente, e non a caso, amico e rivale del protagonista: così è per le coppie Alfonso-Macario in Una vita, Emilio-Balli in Senilità, Zeno-Guido ne La coscienza di Zeno (e qualcosa di analogo si potrebbe riscontrare per le coppie femminili: Annetta Maller-Lucia Lanucci; Amalia-Angiolina; Ada-Augusta);

7) dal punto di vista sociale tale crisi d’identità può essere interpretata come il riflesso di una crisi che investe la piccola e media borghesia fra la fine dell’’800 e i primi decenni del ’900 (tale è la condizione sociale dei personaggi sveviani e pirandelliani: impiegati, professionisti, piccoli proprietari, piccoli imprenditori): una classe schiacciata fra le elites del potere da una parte e l’emergere delle grandi masse operaie e contadine dall’altra; una classe, quindi, che soffre di una vera e propria crisi d’identità sociale, che non ha più certezze sul proprio ruolo e sulla propria funzione. Tale interpretazione può essere legittimata da un romanzo come I vecchi e i giovani di Pirandello o da certe pagine (ad es. quelle finali de La coscienza di Zeno) di Svevo, ove il male di cui si soffre è visto non come un dato esistenziale-metafisico, ma come il prodotto di una ben determinata evoluzione storica.

 

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