Il Cortegiano come maschera della corte reale
A. QUONDAM, Introduzione
al Cortegiano,
Garzanti
1981-87, pp. XXXVI-XLI.
Il libro del Cortegiano si presenta, già nella lettera
dedicatoria a Michel De Silva (ambasciatore portoghese presso la corte
pontificia), come "epicedio di una situazione remota", una
situazione ormai dissolta al momento dell’edizione del libro (cominciato nel
1518, è pubblicato nel 1528). Ciononostante, con il
suo porsi in un tempo metastorico, Il Cortegiano diventa la grammatica
fondamentale della società di corte fino alla rivoluzione francese.
Tale grammatica si fonda su una "regula
universalissima": la grazia, o sprezzatura,
ottenuta attraverso la simulazione (la fatica, richiesta dall’artificiosità, è
occultata, non abolita); la grazia come forma assoluta del vivere (nel giocare,
nel conversare, nel vestire, ecc.).
Ma questa corte ideale diventa maschera ideologica
delle corti reali. L’assenza del Duca dalle conversazioni nel palazzo d’Urbino,
diventa trasparente metafora della separazione fra potere e cultura, fra
la struttura (economica, politica) reale e la sua idealizzazione (ovvero anche:
quel modello non è che la sublimazione di un rapporto di dipendenza).
In questa ottica, tale idealizzazione sarebbe la
"nebbia" di cui parla Guicciardini (Ricordi, serie
seconda, 141) (1), laddove dice che fra "palazzo" e
"piazza" c’è una nebbia folta, o un muro, che non consente al popolo
di vedere cosa fa chi governa.
Nessun commento:
Posta un commento