lunedì 22 giugno 2015

L'uomo di corte nel Rinascimento


Il Cortegiano come maschera della corte reale

A. QUONDAM, Introduzione al Cortegiano,
Garzanti 1981-87, pp. XXXVI-XLI.

Il libro del Cortegiano si presenta, già nella lettera dedicatoria a Michel De Silva (ambasciatore portoghese presso la corte pontificia), come "epicedio di una situazione remota", una situazione ormai dissolta al momento dell’edizione del libro (cominciato nel 1518, è pubblicato nel 1528). Ciononostante, con il suo porsi in un tempo metastorico, Il Cortegiano diventa la grammatica fondamentale della società di corte fino alla rivoluzione francese.

Tale grammatica si fonda su una "regula universalissima": la grazia, o sprezzatura, ottenuta attraverso la simulazione (la fatica, richiesta dall’artificiosità, è occultata, non abolita); la grazia come forma assoluta del vivere (nel giocare, nel conversare, nel vestire, ecc.).

Ma questa corte ideale diventa maschera ideologica delle corti reali. L’assenza del Duca dalle conversazioni nel palazzo d’Urbino, diventa trasparente metafora della separazione fra potere e cultura, fra la struttura (economica, politica) reale e la sua idealizzazione (ovvero anche: quel modello non è che la sublimazione di un rapporto di dipendenza).

In questa ottica, tale idealizzazione sarebbe la "nebbia" di cui parla Guicciardini (Ricordi, serie seconda, 141) (1), laddove dice che fra "palazzo" e "piazza" c’è una nebbia folta, o un muro, che non consente al popolo di vedere cosa fa chi governa.

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