sabato 27 giugno 2015

Dante definisce lo stil novo


Il recupero dello stilnovismo
nel XXIV del Purgatorio

 

BOSCO-REGGIO, commento al Purgatorio;
introduzione al canto XXIV.

 

La dichiarazione di poetica stilnovistica, tutt’altro che essere fuori luogo, come è stato detto, ben s’inserisce nel contesto dell’incontro con Forese: alla rievocazione della dissipata vita giovanile (e del gusto letterario che ne era il riflesso) segue il ricordo della riconquista della moralità (ovvero, della celebrazione stilnovistica dell’amore-virtù).

La novità della poetica in questione non consiste (come si potrebbe pensare, ad una lettura superficiale dei famosi versi di risposta a Bonagiunta Orbicciani) in una sorta di realismo sentimentale svuotato di ornamenti letterari (giacché, anzi, il carattere colto e dottrinale è una caratteristica del gruppo).

Anzitutto, la “dolcezza”: ha a che fare con la lingua, che non presenta più le dissonanze e gli aggrovigliamenti sintattici di un Guittone, ma si fonda su vocaboli dal suono non “aspro e chioccio”: prevalentemente di misura trisillabica, piani, cioè non sdruccioli né tronchi; senza z  o x, doppia liquida (l, r) o incontro di muta (o occlusiva: p, b, t, d ) più liquida.

Quanto alla “novità”, essa è da ricercarsi in quel capitolo della Vita Nova ove Dante riconosce il valore dell’amore in sé, indipendentemente dalla corresponsione: ciò comporta che la sua rappresentazione cessa di essere quella di una vicenda sentimentale a due (come era stata per i poeti precedenti, ed anche per gli stilnovisti: Guinizzelli aveva, sì, estremamente spiritualizzato l’amore, ma lo stilnovismo non si era liberato dal peso della tradizione, che imponeva preghiere di corresponsione, lamenti per l’indifferenza della donna; ancor peggio, Cavalcanti vedeva l’amore come angoscia mortale, obnubilamento della ragione) per diventare pura introspezione (“noto” quel che amore “ditta dentro”), descrizione dei sentimenti esaltanti provocati dalla presenza della donna amata, slancio verso l’alto. E’ l’amore-passione (oltre il quale non sa sollevarsi Cavalcanti) che può recare dolore, non questo amore-virtù, che è aspirazione al bene.

Questo è, però, lo stilnovismo di Dante, che egli, qui, attribuisce a tutto il gruppo: evidentemente egli pensa che anche gli altri (escluso Cavalcanti?) tendevano, pur senza averne coscienza, a questo amore-virtù. Da questo punto di vista, gli sembra che la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore dia voce ad una esigenza collettiva, fin allora inespressa.

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