Il recupero dello stilnovismo
nel XXIV del Purgatorio
BOSCO-REGGIO, commento al Purgatorio;
introduzione al canto XXIV.
La dichiarazione di poetica stilnovistica, tutt’altro
che essere fuori luogo, come è stato detto, ben s’inserisce nel contesto dell’incontro
con Forese: alla rievocazione della dissipata vita giovanile (e del gusto
letterario che ne era il riflesso) segue il ricordo della riconquista della
moralità (ovvero, della celebrazione stilnovistica dell’amore-virtù).
La novità della poetica in questione non consiste
(come si potrebbe pensare, ad una lettura superficiale dei famosi versi di
risposta a Bonagiunta Orbicciani) in una sorta di realismo sentimentale
svuotato di ornamenti letterari (giacché, anzi, il carattere colto e dottrinale
è una caratteristica del gruppo).
Anzitutto, la “dolcezza”: ha a che fare con la
lingua, che non presenta più le dissonanze e gli aggrovigliamenti sintattici
di un Guittone, ma si fonda su vocaboli dal suono non “aspro e
chioccio”: prevalentemente di misura trisillabica, piani, cioè
non sdruccioli né tronchi; senza z o x, doppia
liquida (l, r) o incontro di muta (o occlusiva: p,
b, t, d ) più liquida.
Quanto alla “novità”, essa è da ricercarsi in
quel capitolo della Vita Nova ove Dante riconosce il valore dell’amore
in sé, indipendentemente dalla corresponsione: ciò comporta che la sua
rappresentazione cessa di essere quella di una vicenda sentimentale a due (come
era stata per i poeti precedenti, ed anche per gli stilnovisti: Guinizzelli
aveva, sì, estremamente spiritualizzato l’amore, ma lo stilnovismo non si era
liberato dal peso della tradizione, che imponeva preghiere di corresponsione,
lamenti per l’indifferenza della donna; ancor peggio, Cavalcanti
vedeva l’amore come angoscia mortale, obnubilamento della ragione) per
diventare pura introspezione (“noto” quel che amore “ditta dentro”),
descrizione dei sentimenti esaltanti provocati dalla presenza della donna
amata, slancio verso l’alto. E’ l’amore-passione (oltre il quale non sa
sollevarsi Cavalcanti) che può recare dolore, non questo amore-virtù,
che è aspirazione al bene.
Questo è, però, lo stilnovismo di Dante, che egli,
qui, attribuisce a tutto il gruppo: evidentemente egli pensa che anche gli
altri (escluso Cavalcanti?) tendevano, pur senza averne coscienza, a questo
amore-virtù. Da questo punto di vista, gli sembra che la canzone Donne
ch’avete intelletto d’amore dia voce ad una esigenza collettiva, fin allora
inespressa.
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