lunedì 22 giugno 2015

L'aristocrazia del Rinascimento


Dalla borghesia comunale all’aristocrazia rinascimentale

A. HAUSER, Storia sociale dell’arte, vol. I,
Einaudi 1956, pp. 312-13; 322-23.

Nella seconda metà del ’400 i principi di vita positiva e razionale (tipici della borghesia in ascesa) cedono di fronte all’ideale del rentier ("redditiero", che vive di rendita), ed allora la vita del borghese assume caratteri signorili. E’ un processo che, dalla "fase eroica del capitalismo" (combattiva e avventurosa), attraverso quella di un’organizzazione razionale della produzione, conduce alla fase in cui, conseguita la sicurezza economica, si cede agli ideali dell’ozio e della bella vita.

Questo passaggio è segnato dalla differenza che corre, a Firenze, tra Cosimo ("il Vecchio": 1389-1464) e Lorenzo de’ Medici ("il Magnifico": 1449-92; era succeduto al nonno Cosimo dopo cinque anni di signoria del padre, Piero il Gottoso) (1): il primo era ancora, sostanzialmente, un uomo d’affari (pur essendo anche un uomo politico e di cultura); il secondo è interessato solo agli affari di Stato, alla sua corte principesca, all’accademia neo-platonica, alla sua attività di poeta e mecenate.

Quella di Lorenzo è la seconda generazione, o generazione dei figli viziati o ricchi eredi, per cui "dall’antica borghesia proba e intenta al profitto si è sviluppata una classe che vive di rendita, disprezza il lavoro e il guadagno, vuole godersi nell’ozio la ricchezza ereditata dai padri".

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