domenica 28 giugno 2015

La poesia trobadorica


 

La poesia trobadorica: una lettura sociologica

 

E. KÖHLER, Sociologia della fin’amor,
Liviana 1976, in M. I., vol. I, pp. 169-171.

 

C’è un gruppo sociale (la piccola nobiltà) che, non potendo più pretendere (per ragioni storiche) un feudo, chiede l’“onore” dello stato cavalleresco: tale prestigio sociale è ottenuto mediante il servigio d’amore. La dama infatti è come il signore, con diritti, ma anche con doveri: precisamente è lei che con la sua grazia (il surrogato del compenso in feudi) può integrare nella nobiltà.

Si definisce così tutta una serie di doti (la liberalità, la cortesia, ecc.) che fanno la vera nobiltà, indipendentemente dal possesso di terre.

A proposito delle caratteristiche dell’amor cortese, si può rilevare quanto segue:

1) la gelosia non è tollerata; l’amante non parla della sua gelosia, se non come colpa; e il marito geloso è degno di disprezzo (è un “villano”);

2) sul piano sociale, il corrispettivo è il rifiuto della proprietà privata; o meglio: il desiderio di una utilizzazione collettiva della proprietà del grande feudatario (questo sarebbe implicito nella esaltazione della liberalità);

3) ciò, naturalmente, non sarebbe che l’espressione ideologica della volontà della piccola nobiltà di integrarsi nella classe dominante (vedi M. I., vol. I, pp. 260-261).

 

Il discorso sulla piccola nobiltà che si dà un sistema di valori (di idealità) per integrarsi nella classe dominante, mi pare accettabile, e del resto è assimilabile al discorso di Hauser sui ministeriales (v. p. 2). Mi pare invece una forzatura la tesi (fondata su quali elementi?) che associa il disprezzo della gelosia al rifiuto della proprietà privata. Noto peraltro che c’è un passo del De amore (Guanda 1980, pp. 127 e segg., e altrove) in cui si afferma che la gelosia (riprovevole tra coniugi) è la sostanza stessa dell’amore, il quale, anche per questo, non si può che sviluppare fuori del matrimonio.

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