La poesia trobadorica: una lettura sociologica
E. KÖHLER, Sociologia della fin’amor,
Liviana 1976, in M. I., vol. I, pp. 169-171.
C’è un gruppo sociale (la piccola nobiltà) che, non
potendo più pretendere (per ragioni storiche) un feudo, chiede l’“onore” dello
stato cavalleresco: tale prestigio sociale è ottenuto mediante il servigio
d’amore. La dama infatti è come il signore, con diritti, ma anche con
doveri: precisamente è lei che con la sua grazia (il surrogato del
compenso in feudi) può integrare nella nobiltà.
Si definisce così tutta una serie di doti (la
liberalità, la cortesia, ecc.) che fanno la vera nobiltà, indipendentemente dal
possesso di terre.
A proposito delle caratteristiche dell’amor cortese,
si può rilevare quanto segue:
1) la gelosia non è tollerata; l’amante non parla
della sua gelosia, se non come colpa; e il marito geloso è degno di disprezzo
(è un “villano”);
2) sul piano sociale, il corrispettivo è il rifiuto
della proprietà privata; o meglio: il desiderio di una utilizzazione collettiva
della proprietà del grande feudatario (questo sarebbe implicito nella
esaltazione della liberalità);
3) ciò, naturalmente, non sarebbe che l’espressione
ideologica della volontà della piccola nobiltà di integrarsi nella classe
dominante (vedi M. I., vol. I, pp. 260-261).
Il discorso sulla piccola nobiltà che si dà un sistema
di valori (di idealità) per integrarsi nella classe dominante, mi pare
accettabile, e del resto è assimilabile al discorso di Hauser sui ministeriales
(v. p. 2). Mi pare invece una forzatura la tesi (fondata su quali elementi?)
che associa il disprezzo della gelosia al rifiuto della proprietà privata. Noto
peraltro che c’è un passo del De amore (Guanda 1980, pp. 127 e segg., e
altrove) in cui si afferma che la gelosia (riprovevole tra coniugi) è la sostanza
stessa dell’amore, il quale, anche per questo, non si può che sviluppare fuori
del matrimonio.
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