giovedì 4 giugno 2015

Il futurismo


I futuristi e la politica

 

Molti futuristi provenivano dalle file anarchiche, anarco-sindacaliste e più tardi anche comuniste, oltreché dalle file del nazionalismo: si veda la lettera, del 1922, di Gramsci a Trotsky (“Prima della guerra i futuristi erano molto popolari tra i lavoratori. La rivista Lacerba... era diffusa per i quattro quinti tra i lavoratori. Durante le molte manifestazioni dell’arte futurista nei teatri delle grandi città italiane capitò che i lavoratori difendessero i futuristi contro i giovani mezzo aristocratici o borghesi”); e si veda come Boccioni (1911: Città che sale)

La città che sale

 e Carrà (I funerali dell’anarchico Galli)


riprendano temi dell’arte sociale (operai, muratori, temi del lavoro).

Una impostazione politica anarcoide, repubblicana, anticlericale, antiborghese è nel Manifesto politico del ’16 (pubblicato nel ’18): si chiedono la espropriazione delle terre, la giornata di otto ore di lavoro, la parificazione del salario maschile e femminile, la liberazione dell’Italia da preti, frati, Madonne e campane, ecc. (1)

 Prevalgono, però, le componenti belliciste e nazionaliste (già presenti nel 1° manifesto, del 1909: “Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo...”): ecco quindi l’esaltazione, prima della guerra di Libia e poi della prima guerra mondiale; le loro tesi finiscono per identificarsi con quelle della spregiudicata borghesia del Nord (non per nulla la capitale del futurismo fu Milano); e Carrà può dire che “oggi il borghese favorevole alla guerra è più rivoluzionario del cosiddetto rivoluzionario neutralista (2).

Nel dopoguerra i futuristi convergono con i fascisti. Quando il fascismo, preso il potere, diventa regime d’ordine, gerarchia e tradizione, il futurismo ha già assolto al suo compito (di rottura del vecchio ordine); e il ribellismo “rientra”. L’odio futurista contro la Roma clericale e mantenuta è sostituito dal recupero fascista della romanità, del destino imperiale, ecc.. Marinetti finisce accademico d’Italia, e poi a Salò, cantore della X Mas (Quarto d’ora di poesia della X MAS ).
 
Manifesto tecnico della letteratura futurista  (1912)

 
Distruzione della sintassi: equivale a distruggere l’ordine logico del pensiero, nei suoi aspetti di causalità e consequenzialità;

Parole in libertà (paroliberismo):  conseguenza della distruzione della sintassi e trionfo dell’”immaginazione senza fili” (disporre “i sostantivi a caso, come nascono”);

Abolizione della punteggiatura e sua sostituzione con segni della matematica:  altra conseguenza della distruzione della sintassi (che la punteggiatura tradizionale scandisce nei suoi passaggi) ed esaltazione del fluire ininterrotto delle sensazioni  (vieppiù velocizzato dai simboli matematici);

Uso del verbo all’infinito: equivale a sottrarre l’azione alle determinazioni sia della soggettività sia della temporalità;

Eliminazione dell’aggettivo e dell’avverbio: mira ad abolire le sfumature e, valorizzando al massimo il sostantivo, ad esaltare la consistenza materiale delle cose;

Sperimentalismo grafico: i caratteri tipografici sono diversificati, la linearità grafica orizzontale è stravolta, perché le parole (e la scrittura) valgono non solo per il loro significato concettuale, ma anche come segni concretamente visibili (come disegni);

Uso privilegiato dell’analogia: è il modo più veloce e sintetico della comunicazione, perché salta i processi logici; è la messa in atto dell’”immaginazione senza fili”, è “l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili”, è la capacità di vedere fra le cose “rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi”;

Ogni sostantivo deve avere il suo doppio: è la tecnica privilegiata per rendere l’analogia (“il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia. Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto”);

Distruzione dell’”io”: significa abolire le problematiche psicologiche e sostituirle con “l’ossessione lirica della materia”; significa afferrare l’essenza della materia “a colpi d’intuizione”, riproducendone il peso, l’odore, il rumore attraverso procedimenti sin estetici.

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1) Non si può non notare come una simile impostazione demagogica, che pesca nel torbido dell’irrazionalismo di sinistra, sia anche presente nel programma fascista del 1919 (detto di S. Sepolcro).
2) Decisamente antibellicista ed antimilitarista è invece la posizione di Majakovskij: “La terra non avrà più membra intatte / e domani l’anima sarà calpestata / da piedi stranieri / e tutto ciò perché un tizio qualsiasi / possa allungare le mani / su qualche Mesopotamia.../ Tu che combatti per loro e muori, / quand’è che ti leverai in piedi / in tutta la tua statura / e lancerai sulla loro faccia / la tua ira profonda / in un grido: - Perché / si combatte questa guerra? ” (dal poema Bene ). Del resto Majakovskij, pur ammettendo che “tra il futurismo italiano e il futurismo russo esistono elementi comuni... nel campo dei procedimenti formali ”, dichiarava anche: “Idealmente non abbiamo niente a che spartire col futurismo italiano ”.
 

 

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