lunedì 22 giugno 2015

L'ideale della "kalòkagathìa" nel Rinascimento


L’ideale della kalòkagathìa
ovvero il formalismo del Rinascimento

A. HAUSER, Storia sociale dell’arte, vol. I,
Einaudi 1956, pp. 375-79.

"Nel Cinquecento la bellezza e la forza fisica divengono espressione perfetta della bellezza e del valore spirituale": perciò, ad esempio, santi, profeti, apostoli non potranno più essere rappresentati come volgari contadini o semplici artigiani, ma lo saranno nella pienezza della loro bellezza, con "nobile struttura delle membra, studiata armonia dei gesti, sostenuta dignità dell’atteggiamento" (al contrario, si possono nobilitare figure umili: nell’Incendio di Borgo di Raffaello "la portatrice d’acqua è della stirpe delle Madonne e delle Sibille michelangiolesche: umanità gigantesca, dal piglio energico, orgogliosa e sicura").

La forma esteriore è specchio della bellezza interiore (1). Ecco perché il Cortegiano (così attento all’esteriorità, alla "forma", alla immagine che appare) è il modello di tutta un’epoca.

E come quella società "sottomette la vita a una canone formale che la protegga dall’anarchia del sentimento", dettando norme precise di un galateo il cui "più alto precetto è la padronanza di sé, la repressione degli affetti", così nell’arte figurativa si ricercano quella misura e quell’armonia che frenano il sentimento, la spontaneità (il sentimento ostentato, la smorfia di dolore, sono all’origine del brutto; "Cristo non è più un martire sofferente, ma il re dei cieli, superiore ad ogni umana debolezza") e riflettono "l’utopistica immagine di un mondo da cui ogni lotta è esclusa".

Si tratta di un’arte funzionale alla conservazione del potere da parte della classe dominante, la quale "nell’arte cercherà anzitutto il simbolo della calma e della stabilità che essa persegue nella vita. Infatti il primo Cinquecento, sviluppando la composizione in simmetrie e rispondenze, costringendo la realtà nello schema di un triangolo o di un cerchio, non soltanto risolve un problema formale, ma esprime una tendenza alla stasi e il desiderio di perpetuarla".


 

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