sabato 27 giugno 2015

Il dolce stil novo


La novità del dolce stil novo

 

A. RONCAGLIA, in Pazzaglia, vol. I, p. 217;
U. BOSCO, in Giudice-Bruni (4ª), vol. I, p. 140.

 

Secondo Roncaglia, visto che solamente con Dante si può parlare di una “angelicazione” della donna, ovvero di una spiritualizzazione religiosa dell’amore (giacché prima, e ancora fino a Guinizzelli, si tratta di una trasposizione metaforica di immagini dal linguaggio religioso al linguaggio profano), la novità di Guinizzelli consiste nell’approfondimento teologico-filosofico di detta metafora: come le intelligenze angeliche attualizzano la potenza di Dio, così la donna traduce in atto, cioè in amore, la potenza del cor gentile.

Così si spiega anche l’insistenza sull’elemento visivo della luminosità: corrisponde proprio a quella teologia della luce che da S. Bonaventura giungeva a Bologna attraverso Bartolomeo da Bologna (Dio è luce, e tanto più luminose sono le creature vicine a lui).

Bosco invece, partendo dalla famosa terzina dantesca (“Io mi son un che quando / amor mi spira, noto, ed a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando ”), rileva che qui si mette l’accento sull’amore come pura interiorità (a prescindere, quindi, dalle vicende esterne: illusioni e delusioni, speranze e disperazioni; Bosco sottolinea: a prescindere anche dall’interpretazione romantica che ci vede una dichiarazione di sincerità sentimentale), come introspezione, cioè analisi del meccanismo di perfezionamento che si realizza nel poeta-amante (1): tant’è vero che la donna tende a scomparire come protagonista, a favore del protagonismo assoluto del poeta, che medita sull’essenza dell’amore, sul processo intimo che lo sta perfezionando (2).

Ecco perché la richiesta di corrispondenza, il desiderio di appagamento sensuale (presenti dai provenzali ai siciliani) tende a scomparire: si tratta qui di un amore-virtù che ha valore di per sé (3).

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1) o anche, direi, del meccanismo di abbattimento, nel caso di Cavalcanti.

2) o abbattendo.

3) Ma questo sarebbe più propriamente l’approdo di Dante, secondo quanto dice Bosco nel commento al XXIV del Purgatorio (vedi scheda).

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