Eloisa ed Abelardo (1940)
E.
GILSON
Einaudi 1950
Gilson si imbatte nei due amanti analizzando le
origini medievali dell’umanesimo; la sua tesi, verificata dall’incontro di due
simili personalità, è che le formulette tipo ‘Rinascimento = individualità =
capacità di analisi psicologica’ sono appunto formulette, contraddette, ad
esempio, dalla presenza nel XII sec. di un simile carteggio, da cui si vede che
non tutte le personalità sono appiattite nel “sistema” cristiano (non Dante
con la Vita Nova o Petrarca hanno iniziato l’auto-analisi; non Erasmo
la critica alle regole).
Ma più che Abelardo (la cui grandezza e smania di
gloria erano già note), sconvolge la personalità di Eloisa, indimenticabile
figura di innamorata che, fino all’ultimo, non riesce ad accettare pienamente
la sua condizione di religiosa; pospone sempre l’amore per Dio a quello per
Abelardo.
Mentre i termini della vicenda di Abelardo sono, in un
certo senso, scontati (propone il matrimonio segreto “riparatorio”; una volta
evirato, si dedica totalmente alla vita religiosa e lo stesso pretende da
Eloisa; sconfitte le sue posizioni teologiche al concilio, muore da penitente a
Cluny), sorprendenti sono i caratteri che emergono della figura di Eloisa: è
contro il matrimonio (sarebbe di ostacolo alla carriera di Abelardo, e poi non
è questo il segno, l’istituzione, dell’amore); denuncia la contraddizione di
aver preso il velo materialmente, ma non col cuore (se ciò che conta è
l’intenzione, non le opere, il suo cuore è di Abelardo, non di Dio); mette in
discussione le regole della vita monacale (non ha senso che esistano
particolari regole per particolari persone: esiste per tutti il Vangelo, che non
impone la castità).
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