domenica 7 giugno 2015

Pirandello: Sei personaggi in cerca d'autore


Sei personaggi in cerca d’autore (1921) 

Mentre una compagnia sta rappresentando Il gioco delle parti (dello stesso Pirandello, che ha modo di fare dell’autoironia, facendo dire al capocomico: "ci siamo ridotti a mettere in scena commedie di Pirandello, che chi l’intende è bravo, fatte apposta di maniera che né attori né critici né pubblico ne restino mai contenti"), compaiono i sei personaggi: il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto, la Bambina (la didascalia precisa: indossino una maschera, affinché "ciascuno sia fissato nell’espressione del proprio sentimento fondamentale, che è il rimorso per il Padre, la vendetta per la Figliastra, lo sdegno per il Figlio, il dolore per la Madre"). Chiedono al capocomico che porti a conclusione la loro vicenda, giacché l’autore non ha potuto o voluto; vicenda che (malgrado le perplessità del capocomico, che non riesce a capire con chi ha a che fare) cercano di esprimere, ognuno però (in particolare, il Padre e la Figliastra) interpretandola a suo modo.

Il Padre aveva avuto il Figlio dalla Madre; poi costei si era innamorata del segretario del Padre (non c’era stato tradimento, anche se, visto dall’esterno, poteva sembrarlo; il Padre, per il bene della Madre, aveva voluto che se ne andassero insieme, avendo notato l’intesa fra due persone della stessa natura, umile e buona) e da costui aveva avuto gli altri tre figli (la Figliastra, il Giovinetto, la Bambina). Il Figlio resta col Padre, il quale segue da lontano, ma con affetto, il crescere della nuova famigliola (tutte le mattine, va a vedere la Figliastra all’uscita della scuola), finché questa va a vivere in un’altra città. Ma il segretario muore, la Madre, ridotta in miseria, torna con i figli nella città del Padre, e qui, per sopravvivere, si adatta a fare la sarta presso Madama Pace (vero e proprio settimo personaggio, della stessa materia fantastica degli altri: compare, grassa e parlando spagnolo, evocata dal Padre; e scompare, cacciata dalla Madre); costei ha una sorta di negozio-sartoria, come paravento per una casa d’appuntamenti, dove la Figliastra, senza che la Madre lo sappia, si prostituisce. Qui capita il Padre, e sta per avere un rapporto incestuoso con la Figliastra quando sopraggiunge, con un grido d’orrore, la Madre. Il Padre se li riporta tutti a casa, dove il Figlio però (da sempre sdegnato con la Madre, che praticamente non ha conosciuto, e con il Padre, che si è disinteressato di lui facendolo allevare in campagna) non li accetta. La cupa tragedia ha la sua catastrofe con l’annegamento della Bambina nella vasca del giardino e il suicidio del Giovinetto con la pistola.

Questo il dramma da farsi, che però è continuamente interrotto sia perché ognuno dei personaggi ha una sua visione della realtà, incomunicabile (dice il Padre: "Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo d’intenderci; non c’intendiamo mai!"; ed anche i "fatti", si pensi solo all’episodio della separazione fra il Padre e la Madre, sono solo in apparenza inoppugnabili, perché "un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che l’han determinato"), sia perché gli attori (il teatro) non sono in grado di riprodurre la unicità ed irripetibilità della vita, giacché anche loro non possono che interpretare soggettivamente il dramma (rappresentandone le forme esteriori), non possono esprimerne la verità (vivendone la vita).

La prefazione, scritta nel 1924, per la prima metà funge da introduzione al testo (si dice che i personaggi sono frutto della fantasia dell’autore, che li ha abbozzati; dopo di che questi si sono continuamente presentati alla sua mente, pretendendo di avere compimento, e quindi vita), per la seconda metà è un’autodifesa dalle critiche (di assurdità, di incoerenza interna). Si chiarisce che i drammi sono due, di cui uno (quello narrato dai personaggi) è soltanto strumentale a quello che l’autore ha veramente voluto rappresentare (il dramma dell’aspirazione, da parte dei personaggi, alla vita compiuta - eterna ed immodificabile - dell’arte).

Senza dubbio questo è il motivo centrale. E infatti, per paradosso, i personaggi si sentono partecipi di una realtà più vera di quella delle persone vive e reali, perché hanno il privilegio - o meglio, a quel privilegio aspirano - di essere fissati una volta per tutte (così nella prefazione: "Tutto ciò che vive, per il fatto che vive, ha forma, e per ciò stesso deve morire: tranne l’opera d’arte, che appunto vive per sempre, in quanto è forma"; e cioè, nell’opera d’arte vita e forma coincidono perfettamente); la loro realtà non cambia, mentre invece le persone reali sono soggette a continui cambiamenti - di punti di vista, di comportamenti - nel tempo, in relazione ai diversi momenti della propria vita, e nello spazio, in relazione ai diversi ambienti e alle diverse persone frequentate: per cui, si crede di essere "uno", ma si scopre di essere "tanti", e si finisce per essere "nessuno" (dice il Padre, vero e proprio portatore delle idee dell’autore: ciascuno di noi si crede "uno", ma non è vero: è "tanti", signore, "tanti", secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: "uno" con questo, "uno" con quello - diversissimi! E con l’illusione, intanto, di essere sempre "uno per tutti"; e ancora: Un personaggio, signore, può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio ha sempre una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre "qualcuno". Mentre un uomo... un uomo così in genere, può non essere "nessuno").

Ma c’è un altro motivo, ed è quello che concerne il rapporto fra finzione teatrale (letteratura) e vita. Il teatro tradizionale è disintegrato, nel momento in cui si rappresenta non una vicenda fissa e conclusa, ma il problema stesso del rappresentare ciò che non è rappresentabile perchè appartiene ad una soggettività incomunicabile (addirittura fra personaggi e personaggi, figuriamoci fra attori e personaggi); paradossalmente, proprio attraverso personaggi di natura letteraria (e quindi "finti"), la vita irrompe nel teatro (è abbattuta la tradizionale barriera fra spettatori e palcoscenico: i personaggi passano dalla sala, il suicidio del Giovinetto sconvolge gli attori e tutto l’apparato della finzione teatrale, pretendendo di essere "realtà"), lo sollecita a riflettere su se stesso e sulla non rappresentabilità della vita. Il teatro diventa meta-teatro, ovvero teatro nel teatro, teatro che rappresenta se stesso (e infatti i Sei personaggi fanno parte della cosiddetta trilogia del meta-teatro, che comprende Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto)

Interessante, nella prefazione, una vera e propria definizione, in tre punti, della costante problematica pirandelliana: "ciascun d’essi... esprime con sua viva passione e suo tormento quelli che per tanti anni sono stati i travagli del mio spirito: l’inganno della comprensione reciproca fondato irrimediabilmente sulla vuota astrazione delle parole; la molteplice personalità d’ognuno secondo tutte le possibilità d’essere che si trovano in ciascuno di noi; e infine il tragico conflitto immanente tra la vita che di continuo si muove e cambia, e la forma che la fissa, immutabile."

 

 

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