Non si deve interrompere l’assedio contro Veio
I Romani stavano assediando la città
etrusca di Veio da circa un anno, e quindi c’era a Roma chi sosteneva che si
dovesse desistere e ritirarsi. Quello che si riporta qui, è un passo del
discorso con cui Appio Claudio cerca di convincere i suoi concittadini che è
stato giusto intraprendere la guerra e che è bene concluderla vittoriosamente
al più presto, se non si vuole subire il contrattacco dei Veienti.
Aut non suscipi bellum oportuit, aut geri
pro dignitate populi Romani et perfici quam primum oportet. Decem quondam
annos tam procul a domo urbs oppugnata est ob unam mulierem ab universa
Graecia (1); nos autem in conspectu prope urbis nostrae (2) annuam
oppugnationem perferre piget? Fuerit sane levis huius
belli causa, at superiores illas iniurias (3) quis vestrum, Quirites,
oblivisci potest? Septies rebellarunt (4); in pace nunquam fida fuerunt;
Etruriam omnem adversus nos concitare voluerunt hodieque id moliuntur. Cum
his molliter et per dilationes bellum geri oportet? (5) Si reducimus
exercitum, quis dubitet illos, non cupiditate solum ulciscendi sed etiam
necessitate praedandi, cum sua amiserint, agrum nostrum invasuros? Utinam
nunquam illum diem populus noster videat! Ne differamus igitur bellum neve
bellum intra fines nostros ferri sinamus.
Livio, Ab urbe condita, V, 4-5
NOTE
1) Si riferisce
alla guerra che i Greci combatterono contro Troia per dieci anni.
2) Veio distava da
Roma circa venti miglia.
3) Le iniuriae
sono quelle che elenca subito dopo.
4) E’ una forma
"sincopata".
5) E’ una domanda
retorica.
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Traduzione
O sarebbe stato
opportuno (indicativo con valore di condizionale; ma è accettabile anche
l'indicativo italiano, meglio l'imperfetto: era opportuno, bisognava)
non intraprendere la guerra (lett.: che la guerra non fosse intrapresa),
o sarebbe opportuno (come sopra) condurla (lett.: che sia
condotta) secondo la dignità del popolo romano e portarla a termine (lett.:
che sia portata a termine) quanto prima. Un tempo per dieci anni (accusativo
di tempo continuato) tanto lontano dalla patria una città (non
"la" città, che non ha senso) fu assediata dall'intera Grecia a
causa di una sola donna; a noi invece rincresce di portare a termine
l'assedio di un anno quasi (prope) in vista della nostra città (cioè,
talmente vicini a Roma che quasi possiamo vederla)? Ammettiamo pure che
sia stato (fuerit è congiuntivo concessivo) di poco conto il motivo
di questa guerra, ma chi di voi, o Quiriti, può dimenticare quelle precedenti
(antiche) offese (non "ingiurie", che in italiano
significa insulti, offese verbali)? Per sette volte si sono ribellati;
non sono mai stati affidabili in pace (lett.: non sono mai stati in una
pace fidata); hanno voluto sollevare tutta l'Etruria contro di noi, e
oggi ci provano (lett.: tentano, ordiscono ciò). E' opportuno
condurre la guerra contro questi fiaccamente e in maniera inconcludente
(lett.: attraverso dilazioni, rinvii)? Se riportiamo indietro
l'esercito, chi potrebbe dubitare (dubitet è congiuntivo
dubitativo) che quelli invaderanno la nostra terra, non solo per
desiderio di vendicarsi, ma anche per necessità di fare bottino, dato che
hanno perso (cum più congiuntivo, con valore causale) tutti i loro
beni (lett.: le loro cose)? Voglia il cielo che il nostro popolo non
veda mai (videat è congiuntivo desiderativo) quel giorno! Dunque non
dilazioniamo (non rinviamo, non portiamo per le lunghe) la guerra e
non permettiamo (differamus e sinamus sono congiuntivi esortativi)
che la guerra sia portata dentro il nostro territorio.
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mercoledì 29 aprile 2015
Traduzione da Livio (Ab urbe condita, V, 4-5)
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