L’onestà
di Lucrezia e la bassezza di Sesto Tarquinio
Forte potantibus his (1) apud Sex.
Tarquinium, ubi et Collatinus Tarquinius (2) cenabat, incidit de uxoribus
mentio. Suam quisque laudare (3) miris modis; inde, certamine accenso, Collatinus
negat verbis opus esse; paucis id quidem horis posse sciri (4) quantum
ceteris praestet Lucretia sua. "Quin
(5), si vigor iuventae inest, conscendimus equos invisimusque praesentes
nostrarum ingenia?" Incaluerant vino; citatis equis avolant Romam. Quo
cum pervenissent, pergunt Collatiam (6), ubi Lucretiam haudquaquam ut regis
nurus, quas in convivio luxuque cum aequalibus viderant tempus terentes, sed
nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas sedentem inveniunt. Muliebris
certaminis laus penes (7) Lucretiam fuit. Adveniens vir Tarquiniique excepti
(8) benigne; victor maritus comiter invitat regios iuvenes. Ibi Sex. Tarquinium mala libido Lucretiae per vim
stuprandae capit: cum forma tum spectata castitas incitat.
Livio, Ab
urbe condita (I, 57)
NOTE
1)
Sono i giovani nobili romani all’assedio di Ardea, durante la guerra mossa
dal re Tarquinio il Superbo (padre di Sesto Tarquinio).
2)
Si tratta di Tarquinio Collatino, che sarà poi, proprio a seguito della
vicenda qui raccontata, il promotore della rivolta popolare che porterà alla
cacciata del re e all’inizio della repubblica.
3)
Laudare è un infinito storico.
4)
L’infinitiva è retta da un verbo sottinteso, del tipo "dicit".
5)
Quin = perché non…?
6)
E’ la città d’origine di Tarquinio, detto appunto "Collatino".
7)
Penes = apud.
8)
Sottinteso "sunt".
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Traduzione
Trovandosi
questi a bere (potantibus his,
ablativo assoluto = bevendo questi) presso Sesto Tarquinio, dove cenava anche
(et = etiam) Tarquinio Collatino, il discorso cadde per caso (forte
= per caso) sulle mogli. Ciascuno lodava (non "lodò":
l'infinito storico o descrittivo corrisponde in italiano ad un imperfetto,
non ad un passato remoto) la propria in modo straordinario (lett.:
plurale); quindi, infiammatasi la contesa, Collatino dice che non c’è bisogno
di parole; in poche ore si può sapere questo, (cioè) di quanto la sua
Lucrezia superi le altre. "Se è vero che siamo giovani e forti (lett.: se
c’è vigore nella giovinezza), perché non montiamo a cavallo e andiamo a
verificare di persona i comportamenti delle nostre (mogli)?" Si erano
scaldati per il vino; spronati i cavalli, volano a Roma. Una volta giunti là,
si dirigono a Collazia, dove trovano Lucrezia niente affatto come le nuore
del re, che avevano visto passare il tempo nel banchetto e nel lusso con le
loro amiche (lett.: le loro "pari", o "coetanee"; ma
va bene anche il maschile), ma a tarda notte dedita a lavorare la lana
(lett.: alla lana), seduta (lett.: sedente, che sedeva) fra le
ancelle che vegliavano. La vittoria (lett.: la lode) della gara delle
mogli (lett.: femminile) fu di Lucrezia. Il marito che giungeva e i
Tarquini furono accolti benevolmente; il marito vincitore invita gentilmente
i giovani reali (non "re"; sono i Tarquini, figli e i nipoti del
re). Allora una malsana bramosia di stuprare Lucrezia con la forza invade
Sesto Tarquinio: lo eccitano sia la bellezza sia (cum… tum = sia…
sia) la provata castità.
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martedì 28 aprile 2015
Traduzione da Livio (Ab urbe condita, I, 57)
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