lunedì 13 aprile 2015

Sulla defensa (dalle Costituzioni melfitane)


Titolo XVI – Sulla imposizione della defensa e su chi possa imporla

L’autorità del diritto delle genti richiede, e la ragione naturale non aborre, che si permetta a chiunque la difesa della propria persona. Poiché tuttavia spesso accade che la potenza dell’aggressore sia talmente sovrastante che un oppresso, anche se ha il diritto di difendersi, tuttavia, di fatto, non può farlo, con l’autorità della presente legge concediamo a chiunque la facoltà di difendersi da un aggressore tramite l’invocazione del nostro nome e di proibire allo stesso (aggressore), da parte dell’imperatore, di proseguire nell’offesa. E ciò stabiliamo che valga non solo nel suddetto caso, quando colui che impone la defensa teme per la propria persona, ma anche quando qualcuno teme che gli sia fatta violenza nelle cose che possiede, mobili o immobili, o sé-moventi e non materiali.

Titolo XVII – Sulla defensa imposta da (pubblici) ufficiali

… e tuttavia di queste defense imposte da magistrati camerarii, baiuli (giudici incaricati) e giudici suddetti, o anche da privati, non giudichino loro stessi, ma il maestro giustiziere e i nostri giudici.

Titolo XVIII – Della defensa imposta e violata e della pena corrispondente

Se in futuro si proverà – con non meno di tre testimoni degni di fede e al di sopra di ogni sospetto e con altre legittime prove – che qualcuno, in disprezzo dell’invocazione del nostro nome fatta a seguito della defensa impostagli da pubblici ufficiali o da privati cittadini, sotto qualunque quantità (o forma), abbia commesso violenza nei confronti delle cose o offesa nei confronti delle persone dalle quali (o a favore delle quali) gli era stata imposta la proibizione (di persistere); anche se nessuna cifra era stata indicata, qualora abbia agito con armi, sia punito con la multa di un terzo dei suoi beni, cioè da parte nostra si imponga una defensa semplice; se invece avrà agito senza armi, stabiliamo che il reo debba essere condannato ad una multa pari ad un quarto dei suoi beni (….) Anche a Giudei e Saraceni, e per loro ai nostri pubblici ufficiali, concediamo nei casi suddetti la facoltà di imporre la defensa; perché non vogliamo che costoro, per il fatto che sono Giudei o Saraceni, subiscano violenza pur essendo innocenti.

Titolo XXI – Della violenza fatta a meretrici
 
Quelle miserevoli donne, che per il turpe mercato sono definite prostitute, godano del nostro beneficio, acciocché nessuno le costringa controvoglia a soddisfare il proprio piacere. Coloro che agiscono contro questo editto, rei confessi e condannati, saranno da punire con la pena capitale (….)

Se alcuni accusati di tali violenze, per le loro confessioni (che per rimorso di coscienza facciano pubblicamente) o grazie a testimoni, che abbiano scoperto gli accusati nell’atto stesso di commettere violenza sessuale (cosa che tuttavia raramente può capitare), saranno stati giudicati colpevoli, siano sottoposti alla pena capitale (per direttissima), anche senza consultarci.

Titolo XXIII – Se qualcuno non abbia prestato aiuto ad una donna che grida perché subisce violenza

Vogliamo che chiunque abbia udito gridare una donna, a cui sia fatta violenza, sia veloce a correre e a soccorrerla. Se non lo farà, il nostro tribunale gli imporrà una multa di quattro augustali, come pena per la sua dannosa inerzia. E nessuno per evitare la pena potrà fingere di non avere udito le grida, nessuno che si sia trovato sotto lo stesso tetto o in luogo da cui abbia potuto udire la voce, a meno che non si dimostri che è sordo o, senza inganno, zoppo o altrimenti deficiente o che dormiva nello stesso momento delle grida.  

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