giovedì 16 aprile 2015

"Essere" e "apparire" nell'Orlando furioso


      Canto 1
       
               E così Orlando arrivò quivi a punto:
               ma tosto si pentì d'esservi giunto;
         7         che vi fu tolta la sua donna poi:
               ecco il giudicio uman come spesso erra!
               Quella che dagli esperii ai liti eoi
               avea difesa con sì lunga guerra,
               or tolta gli è fra tanti amici suoi,
               senza spada adoprar, ne la sua terra.
               Il savio imperator, ch'estinguer vòlse
               un grave incendio, fu che gli la tolse.
 
(Angelica e Sacripante si rivelano diversi da come appaiono)
         51        Ma non però disegna de l'affanno
               che lo distrugge alleggierir chi l'ama,
               e ristorar d'ogni passato danno
               con quel piacer ch'ogni amator più brama:
               ma alcuna finzione, alcuno inganno
               di tenerlo in speranza ordisce e trama;
               tanto ch'a quel bisogno se ne serva,
               poi torni all'uso suo dura e proterva.
        52         E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
               fa di sé bella et improvisa mostra,
               come di selva o fuor d'ombroso speco
               Diana in scena o Citerea si mostra;
               e dice all'apparir: - Pace sia teco;
               teco difenda Dio la fama nostra,
               e non comporti, contra ogni ragione,
               ch'abbi di me sì falsa opinione. –
……………………………………………….
        57         - Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
               pigliar per sua sciochezza il tempo buono,
               il danno se ne avrà; che da qui inante
               nol chiamerà Fortuna a sì gran dono
               (tra sé tacito parla Sacripante):
               ma io per imitarlo già non sono,
               che lasci tanto ben che m'è concesso,
               e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.
        58         Corrò la fresca e matutina rosa,
               che, tardando, stagion perder potria.
               So ben ch'a donna non si può far cosa
               che più soave e più piacevol sia,
               ancor che se ne mostri disdegnosa,
               e talor mesta e flebil se ne stia:
               non starò per repulsa o finto sdegno,
               ch'io non adombri e incarni il mio disegno. -
 
      Canto 2  (Angelica e l’eremita)
      
               Fuggendo non avea fatto via molta,
               che scontrò un eremita in una valle,
               ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
               devoto e venerabile d'aspetto.
        13         Dagli anni e dal digiuno attenuato,
               sopra un lento asinel se ne veniva;
               e parea, più ch'alcun fosse mai stato,
               di conscienza scrupolosa e schiva.
               Come egli vide il viso delicato
               de la donzella che sopra gli arriva,
               debil quantunque e mal gagliarda fosse,
                  tutta per carità se gli commosse.
 
        Canto 8
       
               Mentre a dir di Rinaldo attento sono,
               d'Angelica gentil m'è sovenuto,
               di che lasciai ch'era da lui fuggita,
               e ch'avea riscontrato uno eremita.
        30         Alquanto la sua istoria io vo' seguire.
               Dissi che domandava con gran cura,
               come potesse alla marina gire;
               che di Rinaldo avea tanta paura,
               che, non passando il mar, credea morire,
               né in tutta Europa si tenea sicura:
               ma l'eremita a bada la tenea,
               perché di star con lei piacere avea.
        31         Quella rara bellezza il cor gli accese,
               e gli scaldò le frigide medolle:
               ma poi che vide che poco gli attese,
               e ch'oltra soggiornar seco non volle,
               di cento punte l'asinello offese;
               né di sua tardità però lo tolle:
               e poco va di passo e men di trotto,
               né stender gli si vuol la bestia sotto.
    ……………………………………………..
        46         Come la donna il cominciò a vedere,
               prese, non conoscendolo, conforto;
               e cessò a poco a poco il suo temere,
               ben che ella avesse ancora il viso smorto.
               Come fu presso, disse: - Miserere,
               padre, di me, ch'i' son giunta a mal porto. -
               E con voce interrotta dal singulto
               gli disse quel ch'a lui non era occulto.
        47         Comincia l'eremita a confortarla
               con alquante ragion belle e divote;
               e pon l'audaci man, mentre che parla,
               or per lo seno, or per l'umide gote:
               poi più sicuro va per abbracciarla;
               et ella sdegnosetta lo percuote
               con una man nel petto, e lo rispinge,
               e d'onesto rossor tutta si tinge.
        48         Egli, ch'allato avea una tasca, aprilla,
               e trassene una ampolla di liquore;
               e negli occhi possenti, onde sfavilla
               la più cocente face ch'abbia Amore,
               spruzzò di quel leggiermente una stilla,
               che di farla dormire ebbe valore.
               Già resupina ne l'arena giace
               a tutte voglie del vecchio rapace.
        49         Egli l'abbraccia et a piacer la tocca,
               et ella dorme e non può fare ischermo.
               Or le bacia il bel petto, ora la bocca;
               non è chi 'l veggia in quel loco aspro et ermo.
               Ma ne l'incontro il suo destrier trabocca;
               ch'al disio non risponde il corpo infermo:
               era mal atto, perché avea troppi anni;
               e potrà peggio, quanto più l'affanni.
        50         Tutte le vie, tutti li modi tenta,
               ma quel pigro rozzon non però salta.
               Indarno il fren gli scuote, e lo tormenta;
               e non può far che tenga la testa alta.
               Al fin presso alla donna s'addormenta;

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