mercoledì 15 aprile 2015

Sul Rinascimento (II parte)


7)      Fatta questa premessa, si tratta di mettere a fuoco un passaggio decisivo per caratterizzare la pienezza del Rinascimento, ovvero l’affermarsi del cosiddetto ideale della kalòkagathìa. Il pieno Rinascimento si ha quando presso le corti, e quindi presso la cultura, si diffonde l’idea che la bellezza (intesa in senso classico, come armonia, equilibrio, serenità, luminosità), sia intrinsecamente buona, sia manifestazione sensibile del divino sulla terra. E’ un ideale elaborato presso la corte medicea di Lorenzo, alla fine del Quattrocento, ed è un’elaborazione a cui contribuisce in maniera decisiva il pensiero neoplatonico di Marsilio Ficino:  la luce - che è Dio - si manifesta in tutto il creato; l’anima la ritrova nel mondo come bellezza, ovvero ordine, proporzione, armonia; la bellezza è dunque “visibilità della luce interiore, dell’arte intima alle cose”; contemplarla è ritrovare nelle cose il raggio divino, ossia la strada per risalire a Dio (e dunque: se questo mondo non è che una rappresentazione imperfetta del mondo delle idee, dei modelli puri, ecco che il platonismo trapassa nel cristianesimo; ed anche: se la bellezza è un segno del divino, ecco fondato l’ideale della kalòkagathìa).

8)      Nelle arti figurative,

·         da Masaccio (preso come esempio di un’arte che riscopre la realtà, con la sua pesantezza – si pensi alla solidità voluminosa delle sue figure – e con la sua drammaticità – si pensi alla cacciata di Adamo ed Eva)

 

·         si passa a Botticelli (che opera alla corte di Lorenzo e che ci rappresenta una realtà idealizzata, una realtà “bella”, inquadrata secondo ordine e armonia: si pensi a opere come La nascita di Venere: quest’ultima, così poco realistica – ad esempio, nella lunghezza del collo, nelle spalle spioventi, nella strana torsione del braccio sinistro - eppure capace di evocare il sentimento di un’armonia superiore;



 o La Primavera, che sembra essere perfetta come sfondo per le Stanze per la giostra di Poliziano, che, non a caso, opera negli stessi anni e nello stesso ambiente)


9)      Ma torniamo alla kalòkagathìa. La trattatistica del Cinquecento insiste su questa idea che la bellezza vada ricercata ed amata, perché essa ci conduce al divino. Ho scelto dei passi di autori diversi, per mostrare la consistenza e la diffusione di questa idea. 

·         C’è un passo degli Asolani  in cui Bembo teorizza che il vero amore è desiderio della vera bellezza, un amore che nasce sul fondamento di due sensi (la vista e l’udito: il primo riconosce la bellezza del corpo, il secondo quella dell’animo), ma che conduce, attraverso il pensiero (che consente di amare la bellezza a prescindere dalla sua presenza), alla contemplazione del mondo trascendente.

·         Leggo poi un brano tratto da un dialogo di Angelo Firenzuola, il Dialogo delle bellezze delle donne, laddove non solo si ribadisce l’idea che la bellezza sia, nel mondo in cui viviamo, l’unico elemento che ci lascia intravedere il mondo perfetto di cui il nostro è una copia imperfetta, ma anche si danno indicazioni precise su quali debbano essere le giuste proporzioni perché si abbia quell’armonia che è propria della bellezza. Ho scelto solo il passo in cui si parla della fronte, ma poi il discorso continua (sugli occhi, sul naso, sulla bocca, ecc.). L’idea è che l’armonia sia riconducibile a precisi rapporti matematici e a precise figure geometriche (si pensi a Leonardo, che inscrive in un cerchio la figura umana).

10)  E poi c’è un passo esemplare, tratto dall’opera, Il cortegiano, che è considerata, giustamente, quella in cui trovano compiuta espressione gli ideali della cultura rinascimentale. Si propone il modello del perfetto uomo di corte, ma siccome l’uomo di corte è, in quella società, l’uomo per eccellenza, quello che ci viene proposto è il modello di uomo al suo più alto grado. Ed è un uomo, il passo in questione ce lo fa ben capire, dotato di “grazia”, che altro non è che la bellezza e l’armonia trasposte nei comportamenti. Il modello è quello di un uomo che appare bello (e dunque anche buono, secondo l’ideale della kalòkagathìa) in quanto aggraziato. Notate che è importante apparire, a prescindere da quello che si è naturalmente. La grazia è il prodotto di uno studio, di un controllo e di una repressione della propria naturalità. La naturalità non può emergere spontaneamente, perché questo comporterebbe la perdita di armonia ed equilibrio. La libera e naturale espressione dei sentimenti non è consentita, perché ciò toglie grazia, ovvero armonia, e quindi bellezza,  ai comportamenti. Dunque l’uomo che ha in mente il Rinascimento è un uomo artificioso (che ovviamente nasconde l’artificiosità), che persegue l’obiettivo di un razionale autocontrollo,  inteso ad occultare e a reprimere l’immediatezza dei sentimenti

 

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